La saga dei Turi, santacrocesi presenti fin dal 1300

"Una traccia del primo Giovanni Turi, mio remoto antenato – afferma Giorgio Lionetto Turi nel suo monumentale Storia della famiglia Turi da Santa Croce sull'Arno in Valdarno Inferiore, Firenze, settembre 2014 - si trova nel Diplomatico del Monastero di S. Cristiana in Santa Croce, e precisamente in un atto notarile dell' 8 settembre 1286, rogato da Giovanni, Giudice ordinario, Notaro".

Così inizia la narrazione storica sulla famiglia Turi, venuta nel nostro Valdarno di Sotto nel XIV secolo dalla città di Turo odierna Tours, al seguito di Carlo V d' Angiò. Pittoresco è lo stemma con un rastriglio o lambello rosso in alto con il giglio di Francia al centro.

Si tratta di due rami della stirpe dei Turi, che giunsero in Cerbaie percorrendo la via Francigena di Sigerico, e poi la sua deviazione del XIII secolo, fino al ponte di Rosaiolo sull'Usciana. Un ramo della casata in odore di nobiltà, mai però certificata, si fermò a Castelfranco di Sotto, e l'altro giunse nel territorio di Santa Croce per poi inoltrarsi nella terra murata in contrada San Michele, oggi la zona fra il campanile della collegiata e il Monastero.

Questo repertorio delle vicende della famiglia ma non solo, donato dall'architetto Giorgio Turi che vive a Firenze, è disponibile per consultazioni nella Biblioteca Comunale di Santa Croce. E' una storia lunga otto secoli. E' un contributo notevolissimo alla conoscenza della storia di Santa Croce, spaziando dall'urbanistica del castello: il centro storico medievale, alle notizie sul contado, a singolari figure femminili: Donna Tessa, prodiga di donazioni al Monastero, ai rapporti dei Turi con le famiglie Banti, Pacchiani, Cerrini e Dani per citarne alcune. In questa raccolta di dati veramente imponente non mancano interessanti notazioni urbanistiche.

Fra queste la vendita, nel 1356, che fece Giovanni del fu Meuccio da Santa Croce, a Menico del fu Turo di una casa posta in luogo della contrada San Michele oggi via Ciabattini-Rosselli; la donazione del 1363, da parte di Donna Tessa al Monastero, di una casa posta in contrada San Michele e due casalini in contrada San Biagio, odierna via Vettori; la citazione nel 1379, di terreni acquistati da un Giovanni del fu Michele di Giovanni, in luogo Rosaiolo: la dimora degli antichi conti in Poggio Adorno. Ai Turi, attraverso vari passaggi ed acquisti, arrivò il palazzo della famiglia Lami dell'emerito Giovanni Lami, straordinario erudito e letterato, edificato nel 1600 vicino a porta Pisana nella contrada via Santa Maria, l'odierna via Lami.

Se di questo tomo, seicento pagine formato vocabolario, si è fatta una sintetica recensione, è perché pensiamo che certamente darà una notevole gratificazione a quei santacrocesi e non solo, che vorranno conoscere meglio la propria comunità addentrandosi, con la lettura di queste pagine, nel corpo vivo della società e nelle sue dinamiche.

Si attraversa la vitalità del Trecento con la nascita del castello come nodo strategico sull'Arno, ci si affaccia al periodo buio della sua quasi scomparsa nel 1427 quando, dopo una serie di terribili pestilenze erano rimasti solamente 536 abitanti in un contesto di miseria e squallore. Povertà e degrado a cui non sfuggirono neppure alcuni dei Turi che figurano fra i condannati per danno dato, per fame, alle colture agricole. Fu un periodo oscuro a cui si sottrassero poche famiglie dell'epoca.

Il riscatto dalle ristrettezze giunse soprattutto con l'esercizio dell'attività notarile per cui alcuni membri della famiglia Turi si ritrovarono con importanti incarichi come officiali dell'Abbondanza, consiglieri del Consiglio Generale del comune, notai, magistrati.

Un ser Lorenzo Antonio Turi figura come redattore di un atto di transazione per conto di Lorenzo il Magnifico. I Turi figurano ancora come preti, notai, navalestri, navicellai che si muoveranno lungo l'Arno per tutto il secolo XVI.

Se dal 1600 al 1700 alcuni Turi sono annoverati come criminali e violenti, ce ne sono anche di generosi e gente pia. E' del 1731, un Ceo Novellino Turi che creò il Pio legato Turi per l'assistenza alle fanciulle povere.

Si apprende che molti Turi, fra i quali Agostino Salvatore Turi e Giuseppe Gaspero, furono vetturali per la Maremma. Figure importanti perché, è ormai una verità consolidata, che proprio dalle acquisizioni di conoscenze come quelle che trasmettevano i vetturali, si posero le basi per la nascita delle prime conce.

E fu proprio un Giovanni Luigi Turi (1795-1864) vetturale e conciatore, insieme a Banti, a condurre una concia sui fossi di San Carlo che durerà fino agli anni settanta del Novecento. Con il matrimonio, nel 1814, fra Giovanni Luigi Turi e la diciassettenne Cristiana sorella di Stefano Banti, ci troviamo di fronte ad uno dei primi matrimoni combinati per unire potenze finanziarie.

Dobbiamo essere grati a Giorgio Lionetto Turi per l'aver messo in evidenza, in questo suo lavoro, gli innumerevoli mestieri a Santa Croce dal 1768 al 1787 attraverso le famose carte Gianni. Notizie in gran parte note agli studiosi, ma che questo lavoro divulga, insieme alla stratificazione sociale della popolazione. Emergono anche notizie inedite sulla formazione di una Società Mercantile di Concia nel 1824, iniziativa pionieristica e primo gruppo societario creato da Giovanni Turi e Stefano Banti. Tutto da esplorare, e contiamo di farlo quanto prima, è il rapporto con una famiglia Dani di Ponte a Egola, di cui un Francesco Pellegrino Turi sposerà Ancilla Dani. Questo al fine di ricercare inediti rapporti commerciali fra le due rive dell'Arno.

Dall'acquisto, nel 1838, della conceria del cognato Stefano Banti, a quello del palazzo Lami nel 1846, è travolgente la crescita economica e finanziaria della famiglia di Giovanni Turi che giungerà a possedere nel 1872, con il compatronato laicale della Cappellania di S. Antonio, gran parte del centro urbano: immobili e terra, nella sua parte occidentale.

Protagonisti della vita sociale ed economica di Santa Croce per gran parte dell'Ottocento, i Turi lo saranno anche nel Novecento, come imprenditori conciari e proprietari terrieri, fino alla morte di Nonna Amelia nel 1968, l'ultima Turi ad abitare nel palazzo di via Lami.

E il Novecento si aprì per Lionello Turi con il suo matrimonio con Amelia Rossi nel 1904. Si attraversano le vicende legate alla guerra di Libia del 1911-12, le imprese commerciali fino al porto di Marsiglia, i rapporti con i Cerrini e i Puccini, la tragedia della Grande Guerra.

Essenziale per quello che potrà essere un contributo al Museo della conceria, è la sezione che riguarda i reperti cartacei del palazzo Turi: lettere, ordini, contratti per 25 pagine. Inoltre da leggere e meditare è un libretto allegato: un lavoro di una trentina di pagine, che riguarda i rapporti di Lionello Turi con il fascismo e con i fascisti delle famiglie Duranti e Lami dal 1919 al 1939. Ma questa è un'altra storia.

 

Valerio Vallini

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