Se solo Leonardo fosse stato nella sua Vinci alla partenza della tappa del Giro d’Italia avrebbe esclamato: “Sono fiero dei vinciani, hanno risposto alla grande. Però ragazzi la bici non l’ho inventata io, è un falso storico”.
Chissà invece chi avrebbe tifato il Genio: il beffato Viviani? I talenti di casa Sabatini e Sbaragli? Lo squalo Nibali? Oppure, data la sua vocazione internazionale, avrebbe preferito lo sferzante Yates e il compatto Ewan? Non ci è dato sapere, sta di fatto che anche lui si sarebbe goduto una giornata importante per la città e per tutto l’Empolese Valdelsa.
Dopo la Bologna-Fucecchio, ecco la Vinci-Orbetello, terza tappa del Giro e seconda in linea. Più di duecento chilometri piuttosto dolci con arrivo in pianura, ma soprattutto con in mezzo tanto Empolese Valdelsa.
Una corsa non indimenticabile, fatta eccezione per Viviani. Era arrivato primo, aveva già esultato, era pronto a riprendersi in volata quel che la volata gli aveva tolto a Fucecchio. E invece no, la giuria ha riscontrato irregolarità nel cambio di direzione e ha cambiato il verdetto: primo Fernando Gaviria, un nome da romanzo di Garcia Marquez, un profilo che risulta parecchio interessante.
C’è stato Leonardo, omaggiato in tutte le salse nel quinto centenario della sua morte. Là dove pochi giorni fa camminava Mattarella, stavolta hanno scaldato i cuori dei tifosi la maglia rosa Roglic e quella azzurra Ciccone, giusto per citarne due.
Una giornata di gioia, l’ultima per il Giro 2019 nell’Empolese Valdelsa. La corsa è passata da Vinci, Empoli, Montaione, Gambassi Terme, Castelfiorentino e Certaldo per nemmeno un’ora, ma il tempo percepito è stato molto di più. Si è toccato con mano il fermento per i campioni delle due ruote, anche se poi è stata la partenza l’unico istante in cui è stato possibile ammirarli a una velocità sostenuta e sostenibile.
Più l'inizio della corsa in sé, è stato il cerimoniale in toto a appassionare tutti. La firma dei corridori, gli autografi ‘rubati’, i cori, la musica a volume alto (troppo, a dire il vero), le bici che marciano lungo le strade del vino, i cappellini e le magliette rosa. Il Giro è stato tutto questo, e senz’altro da domani un po’ mancherà.
Chiedere conferma alla Valdelsa, terra di campioni che da troppo tempo non vedeva passare la Carovana dalle sue strade. È inutile negarlo, il Giro ha quel sapore vintage che porta indietro nel tempo e regala un sorriso un po’ a tutti, grandi e piccini.
C’è da ringraziare gli dei della pioggia, che per due giorni si sono fatti notare solo timidamente. Per lo spettacolo della gara, ossequi pure a Eolo: il vento ha reso più cinematografica la partenza e la sfilata tra le vie delle cittadine. Primoz Roglic, rimasto maglia rosa, ha commentato come meglio non si potrebbe: "Il vento mi ha fatto paura? Macché, siamo una squadra olandese, sappiamo come affrontarlo".
È stata una festa oltre le aspettative, visto che non era un festivo. Alla fine dei due giorni si può dire, il bilancio è positivo. La pianificazione è stata da applausi, ha creato un ulteriore villaggio all’interno delle varie città e ha restituito una bella immagine delle nostre zone. C’è da dire che era difficile far brutta figura con una macchina organizzativa del genere alle spalle.
Cosa resta del Giro? L’asfalto nuovo, dirà qualche malizioso, ma non c’è spazio per la polemica - quella lasciamola all'agone politico che scemerà tra pochi giorni.
Rimarranno i ricordi, che si trasformeranno in aneddoti da cena con gli amici o da bar, in sfondi del desktop o foto incorniciate sul comodino.
Per il grande pubblico, forse, le due tappe si perderanno nella cronologia del Giro come lacrime della pioggia. Per chi le ha vissute da vicino, per chi si è sgolato di fronte a Nibali e ha indossato il cappellino rosa, per chi si è riversato in strada assaporando brevi istanti di ciclismo vero, saranno una di quelle cose che fra cinque, dieci o vent’anni verranno raccontate con un sorriso sulle labbra e gli occhi un po' lucidi.
Gianmarco Lotti
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