Dopo lo straordinario successo di “Dimmi, Tiresia” al Museo Guarnacci, ecco che giovedì 28 giugno alle ore 18,30 va in scena il secondo spettacolo pomeridiano del Festival internazionale del Teatro Romano di Volterra, un altro “aperifestival”. Stavolta ci troveremo di fronte a Medea, nella versione che ne diede Seneca. Si tratta, anche stavolta, di un mito della classicità, ma presentato come eccezionale spettacolo di teatro contemporaneo . Il suggestivo "MedeAssolo", di e con Valentina Banci, è una performance assolutamente da non perdere, che diventa anche un concerto per corpo e percussioni. La musica è di Arturo Annecchino, maestro in arrivato di centinaia di spettacoli teatrali.
Nel 2015 la Banci, aveva portato in scena, al Teatro Greco di Siracusa, la “Medea” di Seneca per la regia di Paolo Magelli. Da allora questo testo la insegue, le pone interrogativi ossessivi, tanto da spingerla a ripensare alla tragedia fino a trasformarla in un monologo.
In questo nuovo lavoro resta l’efficace traduzione di Magelli, che modernizza pensiero di Seneca. La versione è estremamente audace e profonda, con tutti i personaggi interpretati dalla sola Valentina Banci. “MedeAssolo ci racconta – scrive la stessa Banci - in forma di concerto lo s- concert (o) di una donna invasa dalle voci di dentro, in cerca di una pace che è ormai impossibile da raggiungere, tormentata com’è dai fantasmi del passato. Tutto è già accaduto, il più terribile degli atti commesso, ogni cosa perduta; ma Medea continua a rivivere senza sosta il fatidico giorno che l’ha portata alla pazzia e i personaggi che lo hanno popolato, come se fossero presenze ossessive nella sua testa.
Sola in scena, il concerto per voce e batteria si intreccia con le meravigliose musiche originali del Maestro Arturo Annecchino. I tamburi ed i piatti, suonati dal vivo, sono come una drammaturgia dell’anima, espressione di una emozionalità estrema che cerca così di gridare tutta la sua sofferenza.
“Dove è Medea? – chiede ancoar l’attrice - In un luogo dello spirito o piuttosto dentro la sua mente? Ormai perduta “ negli spazi profondi del cielo senza dei”? La Medea di questo soliloquio è una donna oltre il dolore, al quale ho cercato di restituire quella umanissima disperazione che l’atto orribile dell’assassinio dei propri figli ci impedisce di considerare. Ho cercato così di scendere con lei negli abissi della pazzia e della fine della speranza per capire come una donna possa arrivare a compiere quel gesto estremo. E benché sia impossibile da perdonare , mi sono sorpresa ad asciugare le sue lacrime, sentendo con chiarezza che ogni essere umano solo, lontano dalla sua cultura, esule in terra straniera che viene ripudiato, che è odiato e al quale sono strappati brutalmente i sogni più grandi, può perdersi e finire in un buio tale da non credere più neppure nell’amore più grande, quello di madre”.
Perché Medea è anche e soprattutto la tragedia dell’abbandono, dell’esclusione, dell’esilio. Ed è ancora qua, a ricordarci che in fondo, come ci dice Jaques Lacan,“ Medea siamo noi”.
Fonte: Festival internazionale del Teatro romano / Festival dei Festival
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