Ecco il testo dell'Omelia del Cardinale Betori in occasione del Mercoledì delle Ceneri.
"Il gesto che la Chiesa chiede di compiere in questo giorno che apre il cammino della Quaresima ha una sua indiscutibile suggestione. Siamo invitati a lasciarci imporre sul capo un po’ di cenere che, come spiegano i due testi che alternativamente lo accompagnano, dovrebbe sia risvegliare in noi la consapevolezza della nostra radice creaturale – «Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai» – sia far risuonare in noi la chiamata a orientare la nostra vita verso Gesù e la sua parola – «Convertitevi, e credete al Vangelo».
È un gesto che ha delle innegabili risonanze penitenziali, contribuendo a risvegliare in noi la coscienza del nostro limite umano, del legame che ci accomuna alle creature e ci distingue da Dio, come pure la coscienza della nostra condizione di peccatori, che necessitano quindi di un movimento di ritorno alla radice della loro verità lasciandosi illuminare dalla parola di Gesù. Un gesto di umiltà, che non va tuttavia confuso con uno stato di svilimento, quasi che Dio e con lui la Chiesa vogliano umiliarci, per lasciarci poi nel nostro disonore.
A correggere questa sensazione provvede la stessa liturgia, che nelle due orazioni proposte per la benedizione nostra e delle ceneri, orienta questo gesto verso la Pasqua del Signore. Ci si rivolge a Dio, nostro Padre, affermando che si riceve «l’austero simbolo delle ceneri» per giungere «completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio, il Cristo nostro Signore». Ovvero, si prega perché «l’esercizio della penitenza quaresimale ci ottenga il perdono dei peccati e una vita rinnovata a immagine del Signore risorto».
Propongo al vostro ascolto alcuni versi di una poetessa fiorentina, Margherita Guidacci, di cui alla Certosa, nei giorni scorsi, un convegno ha ricordato i venticinque anni dalla morte, e che così scrive in una sua poesia dal titolo 7 marzo 1984: Mercoledì delle Ceneri:
[…] dopo il grigio
immaginarmi polvere, che nuovo
e caldo fremito pensare che le anime
saranno allora accanto senza ostacoli
e questa stessa polvere – la mia
e la tua mescolate – danzerà
nel vento e brillerà nel sole e avrà
dall’acqua, come al tempo dell’origine,
un così gaio slancio
verso la vita!
Abbiamo bisogno di ricuperare quest’ottica pasquale nella quotidianità della vita di fede, che troppe volte, anche per nostra colpa, rischia di apparire agli occhi del mondo come una rinuncia alla vita e non come la sua più piena attuazione. È quanto il Papa ci chiede con il suo richiamo a riconoscere che «con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Evangelii gaudium, 1) e che «giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero» (Ivi, 8).
È questa ottica di vita piena quella che traspare già nelle parole del profeta Gioele, il cui invito a ritornare al Signore è sì «con digiuni, con pianti e lamenti», ma non per restare nella privazione e nella mestizia, bensì per poter fare esperienza del cuore «misericordioso e pietoso» di Dio, per entrare nel mistero del suo «grande amore». Ciò che dà senso al cammino è la meta, e questa meta è precisamente Dio stesso, la pienezza di ogni vita. E in lui non solo ciascuno ritrova se stesso, ma si ritrova con gli altri, in una comunione che il profeta tratteggia nel raduno di un popolo, in cui si ritrovano tutti, uomini e donne, vecchi e bambini, tutti accomunati dall’amore di Dio che li avvolge e li attira a sé.
Questo orizzonte di comunione è anche il contenuto del «momento favorevole» di cui parla l’apostolo Paolo e che la liturgia applica al tempo quaresimale come tempo di conversione. La meta anche in questo caso è la ricostituzione dei legami che ci restituiscono la nostra verità: la riconciliazione con Dio mediante la quale egli ci convoca alla comunione con sé, una comunione al plurale, perché tutti ci ritroviamo nell’abbraccio dell’unico Padre in forza del sacrificio del Figlio suo unigenito. Una prospettiva che dona speranza in un tempo in cui soffriamo gli esiti delle tante lacerazioni e frammentazioni che logorano l’identità delle persone, insidiano la coesione sociale, minacciano l’aspirazione dei popoli alla pace.
L’orizzonte della Pasqua, a cui volgiamo lo sguardo fin dall’inizio della Quaresima, ci aiuta anche a leggere le opere quaresimali che il testo del vangelo di Matteo ci propone nella loro radice, che è l’insegnamento stesso di Gesù, non come esperienze di rinuncia o di fuga spiritualistica dalla concretezza della vita, ma come rivelazione di ciò che conta veramente per noi.
Ciò vale anzitutto per il gesto dell’elemosina, con cui ci è chiesto di riconoscere come tutto quello che abbiamo, ci è stato a sua volta donato da un Padre amorevole e va condiviso con i fratelli. Da qui nasce l’autentica carità, cui siamo chiamati anche in questa Quaresima, seguendo le sollecitazioni della Caritas diocesana. A combattere il raffreddamento della carità ci esorta Papa Francesco nel Messaggio per questa Quaresima, richiamandoci in particolare a guardarci dall’avidità del denaro, dalla «violenza che si volge verso coloro che sono ritenuti una minaccia alle nostre “certezze”: il bambino non ancora nato, l’anziano malato, l’ospite di passaggio, lo straniero, ma anche il prossimo che non corrisponde alle nostre attese». E continua il Papa segnalando che «anche il creato è testimone silenzioso del raffreddamento della carità», per giungere infine a denunciare come l’amore si raffreddi nelle stesse comunità cristiane per «l’accidia egoista, il pessimismo sterile, la tentazione di isolarsi e di impegnarsi in continue guerre fratricide, la mentalità mondana che induce ad occuparsi solo di ciò che è apparente, riducendo in tal modo l’ardore missionario».
Quanto alla preghiera, le parole di Gesù ci invitano a riscoprire che nel dialogo con Dio è offerta la strada per uscire da noi stessi, dal nostro egoismo, riconoscendoci bisognosi di ascolto, anzitutto, per diventare capaci di parole significative. Una vera preghiera riconosce che non è possibile parlare a Dio senza ascoltare lui, così che le nostre parole siano in sintonia con le sue, curando di purificare nel silenzio le nostre parole, e infine arricchire la nostra preghiera con l’esperienza della vita.
Il digiuno che Gesù propone non va confuso con una qualsiasi pratica di ascesi, che molti sono pronti a fare oggi per migliorare le proprie condizioni corporee. Il digiuno cristiano è invece riconoscimento che anche il nostro corpo è un dono di Dio e che il nostro corpo non è tutto. L’imposizione del limite, al cibo o a qualsiasi altro beneficio corporale, significa riconoscere che siamo creature e che la nostra esistenza non è nelle nostre mani ma in quelle del Creatore. Noi siamo più delle cose, perché noi siamo figli di Dio.
Incamminiamoci dunque verso la Pasqua con la gioia di chi sa che seguendo la parola di Gesù ritrova se stesso e raggiunge la pienezza della vita. Nella Quaresima la vita si illumina dalla consapevolezza che abbiamo un Padre e che volgendo lo sguardo a lui dal profondo di noi stessi è possibile lasciarci raggiungere dalla sua grazia che ci fa creature nuove".
Fonte: Diocesi di Firenze
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