“Quel che è accaduto giovedì nella Casa Circondariale Mario Gozzini di Firenze con la violenta, proditoria e ingiustificata aggressione di un detenuto tunisino ad un poliziotto, ha riportato alla ribalta le difficoltà della struttura detentiva fiorentina e delle gravi condizioni operative nelle quali lavora ogni giorno il personale di Polizia Penitenziaria, aggravata dalla totale assenza di relazioni sindacali con la Direzione. Dove sono ora quelli che rivendicano ad ogni piè sospinto più diritti e più attenzione per i criminali ma si scordano sistematicamente dei servitori dello Stato, come gli Agenti di Polizia Penitenziaria e gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, che ogni giorno rischiano la vita per la salvaguardia delle Istituzioni?”.
È la domanda che si pone il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, per il tramite del Segretario Generale Donato Capece, dopo il grave episodio accaduto ieri nel carcere di Firenze.
“Quel che è accaduto, di una violenza inaccettabile, ci ricorda per l'ennesima volta quanto sia pericoloso lavorare in un penitenziario. Rinnoviamo, alla luce del grave fatto accaduto a Firenze, la richiesta di un incontro con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando per affrontare eventuali interventi che possano essere messi in campo dalla politica. Per altro, sarà anche l’occasione per evidenziare al Guardasigilli che la realtà detentiva italiana è più complessa e problematica di quello che lui immagina e che il SAPPE denuncia sistematicamente”.
Pasquale Salemme, segretario nazionale per la Toscana del SAPPE, aggiunge: “È successo che un detenuto tunisino - in carcere per lesione personali, resistenza a pubblico ufficiale e analoghi reati commessi anche durante la detenzione, chiedeva di conferire con il poliziotto penitenziario addetto all’Ufficio Conti Correnti, che però era momentaneamente addetto ad altro. Questo ha scatenato l’incredibile reazione del detenuto, che pretendeva di parlare subito con l’Agente, ed ha quindi aggredito il poliziotto dal quale aveva appena avuto rassicurazioni sul fatto che sarebbe stato quanto prima avvisato e ricevuto. Il personale della casa circondariale di Firenze è riuscito, nonostante le grandissime difficoltà a riportare alla calma il detenuto ed a ripristinare le condizioni di sicurezza all’interno del reparto”.
Capece evidenzia: “E’ vero quel che ha detto durante la consueta conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ossia che avere un sistema carcerario più moderno e più umano aiuta la sicurezza. Ma oggi la realtà in Italia non è affatto così. Oggi, nelle 190 prigioni del Paese, sono presenti 58.115 detenuti, quasi 20mila dei quali sono gli stranieri, ossia ben oltre la capienza regolamentare, e gli eventi critici tra le sbarre (atti di autolesionismo, risse, colluttazioni, ferimenti, tentati suicidi, aggressioni ai poliziotti penitenziari) si verificano quotidianamente con una spaventosa ciclicità. I suicidi di detenuti in cella, poi, sono stati oltre 50 dall’inizio dell’anno, cifra mai raggiunta prima dalla nascita della Repubblica a testimoniare che il sistema penitenziario, per adulti e minori, si sta sgretolando ogni giorno di più, con gravi ripercussioni sull’operatività delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, umiliati dalle continue offese di una parte di ristretti intolleranti alle regole, all’ordine e alla sicurezza delle carceri. E deve fare seriamente riflettere la constatazione che l’aggressione di un poliziotto in servizio non merita lo sdegno pubblico di coloro – radicali, amici di Caino ed associazionismo vario – sempre pronti a schierarsi dalla parte dei detenuti a prescindere. Gravissimo, poi, constatare che la direzione del carcere Mario Gozzini trascura completamente le relazioni sindacali: gravissimo e inaccettabile”.
Netta è la denuncia del SAPPE: “Da tempo il SAPPE denuncia, inascoltato, che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale – visto che le nuove assunzioni non compensano il personale che va in pensione e che è dispensato dal servizio per infermità -, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e se non accadono più tragedie più tragedie di quel che già avvengono è solamente grazie agli eroici poliziotti penitenziari, a cui va il nostro ringraziamento. Per questo nelle carceri c’è ancora tanto da fare, ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale è fine a se stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo”.
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