Maltempo, le voci dalla Toscana: "Interventi strutturali e coraggiosi"

Il maltempo prima nell'Alto Mugello e poi nel Pisano e nel Livornese si sono fatti sentire e si fanno sentire ancora. Le associazioni di categoria e i politici hanno commentato l'attuale situazione toscana.

Confagricoltura: "Servono interventi coraggiosi"

“Servono interventi strutturali, coraggiosi e lungimiranti per mettere in sicurezza il territorio, per tenere in ordine fiumi, torrenti. Il maltempo di questi giorni ci ricorda che occorre, come diciamo da tempo, gestire e programmare".

A dirlo è il direttore di Confagricoltura Toscana Gianluca Cavicchioli dopo i danni dovuti alle abbondanti piogge che si sono verificate in varie zone della regione.

“Basta poco, se avessimo iniziato questo cammino quando era il momento oggi avremmo  meno problemi da risolvere. Invece siamo di fronte a occasioni perse, disagi riproposti, costi aggiuntivi e pesantissimi da onorare. E' opprimente  rincorrere il provvedimento,  chiedere interventi urgenti e straordinari,  incrociare le dita per le promesse di fondi immediati.  Il dibattito sul cambiamento climatico non deve essere una scusa per rimandare interventi”.

Giusti (Usb): "Non si risolve il problema ambientale con la finanziarizzazione delle polizze assicurative"

Invece di investire nella manutenzione del territorio e combattere le conseguenze del "cambiamento climatico" si preferisce investire nelle polizze assicurative, rabbia e cordoglio per i morti e gli sfollati.

Le alluvioni che hanno sommerso intere province italiane portandosi dietro distruzioni di case, negozi, infrastrutture sono ormai ricondotte al cambiamento climatico, a precipitazioni improvvise rispetto alle quali anche la mera prevenzione avrebbe pochi spazi di agibilità.

Non si dice che la manutenzione dei territori dovrebbe essere la prima scelta operata in termini preventivi, un grande piano di pulizia dei fossi, dei tombini, dei corsi di acqua, delle strade, il potenziamento reti fognare per  metterle in condizioni di ricevere e smaltire grandi quantità d'acqua.

Senza dietrologie di sorta possiamo asserire che molti piccoli interventi realizzati un tempo dalle aziende pubbliche oggi vengono realizzati in termini parziali, le alluvioni hanno sempre provocato danni ingenti ai territori, il loro ravvicinato ripetersi mette in ginocchio le attività produttive e scatena continue polemiche tra gli enti locali, le Regioni e il Governo nazionale, una sorta di scaricabarile (almeno questa è la idea diffusa nella cittadinanza) per non assumersi dirette responsabilità.

Una delle questioni più gettonate riguarda il capitolo economico ossia i risarcimenti dei danni e per questo da tempo si propongono polizze assicurative alle imprese e alle famiglie

Il Governo sta preparando la bozza di un  apposito decreto presentato a sommi capi alle associazioni datoriali affinchè le compagnie assicurative assicurino le imprese contro i danni catastrofali evitando allo Stato rimborsi onerosi per i danni subiti dalle aziende e dalle famiglie.

In attesa di conoscere il testo di questo decreto  e della successiva approvazione della Corte dei Conti e del Consiglio di Stati, pensiamo che la definizione di un piano pubblico di prevenzione delle catastrofi dovrebbe passare innanzitutto dalla manutenzione del territorio.

Ma servirebbe non solo la collaborazione attiva tra enti locali e stato ma anche e soprattutto investimenti cospicui e quindi si è trovata la classica scorciatoia per deviare il problema verso l’obbligo ad assicurare le imprese fin dal prossimo anno.

Ad oggi non esiste alcun obbligo per le imprese di sottoscrivere polizze contro frane, terremoti e alluvioni, il legislatore dovrà quindi trovare le soluzioni necessarie a raggiungere questo obiettivo o con una legge articolata oppure collegando la polizza alla possibilità di ricevere vari incentivi pubblici e prestiti bancari.

Le soluzioni, sopra citate, non trovano la opposizione delle associazioni datoriali che chiedono maggior tempo per adeguarsi all'obbligo assicurativo e magari presenteranno richieste di finanziamento adeguate a tale scopo.

Si apre la strada di un doppio confronto, con le associazioni datoriali in rappresentanza delle attività produttive e un secondo tavolo con gli istituti finanziari, di certo collegare gli incentivi con un obbligo assicurativo resta per noi non una soluzione al problema ma semplicemente una toppa

L'obbligo assicurativo, già introdotto dalla legge finanziaria 2024, dovrebbe entrare in vigore il 1 Gennaio 2025 per tutti i danni causati da calamità naturali ed eventi catastrofali a terreni, fabbricati, impianti, macchinari e attrezzature industriali e commerciali, iscritti a bilancio

La discussione è solo all'inizio e ricordiamo che le imprese assicurative guardano con particolare sospetto all'obbligo di corrispondere un anticipo del 30% del danno per i sinistri legati a eventi catastrofali che ormai rappresentano un evento periodico rispetto al quale le soluzioni in campo dovrebbero essere ben altre.

Perché il successivo passaggio sarà estendere l'obbligo anche ai proprietari di case (magari proprietari della case dove abitano) trasformando la urgenza della cura e manutenzione del territorio in una problematica finanziaria.

Un tavolo con agronomi e geologi

In risposta ai recenti eventi alluvionali che hanno colpito la Romagna, l’Alto Mugello e la Val di Cecina, la Federazione degli Ordini dei Dottori Agronomi e Forestali e l'Ordine dei Geologi della Toscana annunciano la creazione di un tavolo di confronto per affrontare l'emergenza climatica e ridisegnare le politiche di gestione del territorio aperto. L’incontro si terrà il 4 ottobre presso la sede della Federazione, in via Fossombroni 11, a Firenze, e servirà per riflettere insieme sulle possibili politiche di gestione del territorio aperto, a difesa delle aree urbane e della sicurezza ambientale.

La recente alluvione che ha interessato la Romagna e i dissesti che hanno colpito l’Alto Mugello e la Val di Cecina ripropongono uno scenario già visto: fenomeni che dovrebbero essere osservati una volta nella vita, come ci dice la statistica applicata alle serie storiche degli eventi eccezionali nei decenni passati, ma che si ripetono ormai a distanza di pochi mesi. L'aumento della frequenza di eventi di enorme portata è effetto di dinamiche climatiche globali nuove e imprevedibili nella loro evoluzione.

La necessità di avviare un confronto tra Agronomi Forestali e Geologi, scaturisce dalla consapevolezza dell'urgenza di una nuova e più ampia riflessione sui cambiamenti climatici e dalla necessità di un cambio di passo nella pianificazione territoriale.

«In uno scenario in cui sempre più frequentemente ci troveremo a misurarci con eventi meteo violenti ed improvvisi, il territorio aperto deve avere una funzione di presidio per le aree urbane, oltre a garantire la sicurezza degli ecosistemi che ospita – commenta Riccardo Martelli, Presidente Ordine Geologi Toscana - Riteniamo per questo necessario studiare, insieme a chi progetta e pianifica le attività agricole e forestali, nuove politiche di pianificazione per tali aree. È ad esempio fondamentale adottare sistemi di governo delle aree agricole e boscate capaci di rallentare e diminuire gli afflussi di acqua che si generano nel corso di eventi eccezionali e che impattano in modo pesantissimo sulle nostre aree urbane» conclude Martelli.

«Osserviamo un’accelerazione degli effetti dei cambiamenti climatici in corso che continua a recare danni ai territori e che impone idee nuove e interventi risoluti. Un cambio di passo nelle misure di governo delle aree rurali diventa necessario e urgente , sia nel breve che nel medio-lungo periodo – commenta Alessandro Trivisonno, Presidente Federazione degli Ordini dei Dottori Agronomi e Forestali della Toscana - Desideriamo quindi mettere a disposizione del decisore pubblico le migliori competenze professionali insieme ai geologi, con cui accettiamo la sfida di proporre soluzioni alternative alla gestione del territorio aperto, dall'adozione di pratiche agricole e forestali che favoriscono l’assorbimento dell’acqua alla riconversione degli insediamenti in “città spugna”, riducendo così la vulnerabilità dei territori alle inondazioni».

Casagli: "Con eventi estremi imparare a convivere con il rischio"

Il maltempo picchia duro e fa male in Emilia-Romagna, in Toscana, in Veneto. Al sud come al nord, con gli eventi che si rincorrono e si affastellano nelle cronache. "Succede e succederà quest'anno, l'anno prossimo, tra dieci anni. Perché il problema del dissesto geologico in Toscana, così come in tutta Italia e direi in gran parte dell'Europa meridionale, è un ormai cronico". Lo segnala all'Agenzia Dire Nicola Casagli, geologo, docente all'Università di Firenze, presidente dell'Ogs (l'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale) e membro della commissione grandi rischi che supporta la Protezione civile.

La questione parte da lontano ed è legata "a due fattori ugualmente importanti": il cambiamento climatico e il massiccio consumo di suolo. Il primo ha cambiato il volto delle piogge. In generale, guardando alle medie annue, "piove meno, ma in maniera più violenta e concentrata su aree ristrette". E qui Casagli va dritto al punto: "Gli eventi che avvengono e che avverranno nei prossimi anni saranno di una violenza tale da mettere in crisi qualsiasi territorio, indipendentemente dalle opere che si possono fare. Perché, quando piovono 200, 300, 400 millimetri di pioggia in poche ore, pressappoco la metà della pioggia che cade a Firenze in un anno, non c'è territorio che tenga per quanto lo possa regimare". Questa "è una cattiva notizia", un fatto che "però contiene anche degli aspetti positivi: non ci aspettiamo più alluvioni ricorrenti tipo quella di Firenze del '66. Che non fu solo l'alluvione a Firenze, ma anche del nord-est Italia. Voglio dire, cose così grandi ed estese non saranno impossibili, ma più rare". Tuttavia, per stare in Toscana, "eventi come a Livorno nel 2017, a Campi Bisenzio nel 2023, a Marradi nel 2023 e di nuovo nel 2024, sono ormai da mettere all'ordine del giorno".

C'è poi il secondo fattore di peso specifico uguale al primo, il consumo di suolo. "Abbiamo costruito in maniera troppo allegra e disinvolta dovunque, in zone franose, alluvionabili, nelle golene dei fiumi, sugli argini e su pendii instabili, sui vulcani e sulle faglie. E continuiamo a farlo perché il consumo di suolo, monitorato ogni anno dall'Ispra, non accenna a diminuire". E qui l'ingranaggio si inceppa soprattutto per una questione economica: "Costruire su un terreno vergine costa molto meno che recuperare un'area dismessa". Proprio per questo se sul cambiamento climatico il processo di inversione della rotta, a cui si dovrebbero legare le politiche dei Paesi del globo, "è molto lungo", sul consumo di suolo "c'è più possibilità di agire, ad esempio rendendo più conveniente, anche con incentivi istituzionali, costruire sul costruito e demolire tante schifezze fatte in passato per ricostruire in maniera più appropriata".

Questo è il quadro descritto da uno dei massimi esperti su piazza: "C'è una combinazione di due fattori e su uno è difficilissimo incidere. Sull'altro, invece, si potrebbe agire. Tutto il resto sono palliativi. Per carità- precisa- tutto fa bene, però quando piovono 2-300 millimetri di pioggia...". La chiave, quindi, "è imparare a convivere con il rischio. E cito le Nazioni Unite: al primo posto del protocollo di Sendai c'è proprio la comprensione del rischio dei disastri. Bisogna comprendere come funziona un fiume, una frana, un terremoto. E farlo comprendere ai cittadini, che, se lo fanno, si possono difendere meglio. Mi spiego: i 226 millimetri di pioggia caduti sulla costa toscana sono una quantità spaventosa. Non c'è territorio che possa resistere. Ma le persone possono organizzarsi per subire meno danni possibile", salvandosi la vita.

"Ancora oggi, infatti, la gran parte delle vittime, così come dei danni alle persone, succedono per comportamenti sbagliati. Faccio un esempio tipico: inizia a piovere forte. C'è l'allerta meteo, ma non ci faccio troppo caso ed esco per spostare la macchina. Questa è la cosa più stupida da fare: quando ho più di 50 centimetri d'acqua sul terreno la macchina comincia a galleggiare; quando ne ho più di 80 non si aprono più gli sportelli e resto in trappola. Se questa cosa la insegnassimo a scuola guida, un sacco di persone si salverebbero. Si muore in macchina durante le alluvioni, raramente in casa. Succede anche quello, ma è molto più difficile".

Torna urgente e ciclica, però, la riflessione (e le polemiche) sul sistema di allertamento. Un nodo che per Casagli si deve sciogliere mettendo a sistema e meglio i dati che la macchina in gran parte già possiede. "Fino al 2010-12 l'allertamento era incomperabile dalla popolazione. Poi sono stati introdotti i codici colorati: giallo, arancione e rosso. Lì, con il sistema a semaforo, le persone hanno cominciato a capirlo. E posso testimoniare, anche sulla base dell'esperienza maturata in commissione grandi rischi, che il piano ha salvato molte vite". Il punto, piuttosto, sta nel modo con cui vengono maneggiati i dati. "Nel sistema di allertamento nazionale è già incorporato il monitoraggio satellitare". A fianco di questi ci sono "le reti di sensori a terra. Dieci, quindici anni fa costavano un sacco di soldi", adesso che le spese si sono decisamente abbassate "li possiamo disseminare a centinaia di migliaia sul territorio. Questo già avviene", però "tutte le attività sono un po' scoordinate. I progetti sono tanti, ma non c'è un sistema organico e integrato capace di mettere insieme tutti gli attori per poter suonare insieme come in un'orchestra. Ci sono tanti solisti, tanti dati e informazioni, ma ancora siamo un po' lontani dal farli suonare insieme, in maniera armonica. Ecco, c'è bisogno di questo".

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