80 anni fa l'Eccidio del Padule di Fucecchio, l'intervista alla sopravvissuta Tognozzi: "Memoria resti accesa"

Eccidio del Padule, l'intervista a Vittoria Tognozzi
Eccidio del Padule, l'intervista a Vittoria Tognozzi (foto gonews.it)

"I mosconi che coprivano il sole". È uno dei ricordi, tremendi, che ci ha raccontato in una intervista Vittoria Tognozzi, una delle superstiti dell'Eccidio del Padule di Fucecchio, di cui oggi ricorre l'ottantesimo anniversario. Un'immagine impressa nella sua memoria di bambina, quel 23 agosto 1944 aveva soli 7 anni, che evoca con una potenza simbolica impressionante l'orrore del nazifascismo e delle stragi compiute in questo territorio. Tognozzi racconta che "il sangue rimaneva attaccato agli zoccoli, si lasciava le impronte... I mosconi che coprivano il sole... facevano ombra come una pianta. I mosconi, i mosconi... quel ronzio... che se sento un moscone vicino oggi io do di fori". Quel suo ricordo, tremendamente reale e concreto, diventa per noi la metafora di una terribile stagione storica: il sole, la vita e la gioventù, 'oscurata' e portata via da una massa di 'mosconi' neri, i fascisti e i nazisti.

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Eccidio del Padule di Fucecchio, il racconto di Vittoria Tognozzi

Il 23 agosto del 1944 la ventiseiesima Divisione corazzata tedesca del generale Peter Eduard Crasemann uccise 174 civili: si tratta di una tra le prime cinque stragi naziste in Toscana per dimensione di morti. Si era a ridosso della linea del fronte, non sembra ci fossero formazioni partigiane così organizzate da costituire un reale pericolo, ma la cosiddetta 'politica del massacro' dei tedeschi, qui come altrove, seguiva altre logiche.

Tognozzi racconta la quotidianità distorta di una bambina durante la guerra: pochi giorni prima dell'eccidio, trovò una bomba con il cugino mentre giocavano, non sapevano cosa fosse. La bomba scoppiò, il cugino perse un braccio e morì qualche giorno dopo in ospedale, lei "aveva da patì ancora". Tognozzi, con le lacrime agli occhi racconta la giornata dell'eccidio: "Eravamo stati tutto il giorno sotto il sole, un caldo come quello..., avevamo sete e fame, eravamo distrutti". Poi la tremenda scoperta di quel che era accaduto: "Erano tutti schierati uno sopra l'altro a chi mancava il braccio a chi mezzo viso: erano mitragliati non solo ammazzati. Avevo sette anni, ma vi rendete conto vedere a sette anni queste cose dal vivo?"

La donna perse una decina di parenti, la madre e due sorelle, una di 13 mesi. La domanda che si pone è quella di tanti sopravvissuti: "Perché  - si domanda - venire a ammazzare persone innocenti, vecchi donne e bambini, uomini non c'è n'era, gioventù neanche, ma che soddisfazione ci avranno trovato? Non c'era nemmeno un coltello per taglia il pane, armi non ce n'erano".

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La politica del massacro e l'Eccidio del Padule

Questa è solo una delle tante stragi naziste che insanguinarono la Toscana e il Centro Italia. La storiografia, in particolare dagli anni Novanta, ha ricostruito nel dettaglio questa scia di sangue. Una pubblicazione fondamentale nell'approccio verso le stragi è indubbiamente il testo di Michele Battini e Paolo Pezzino, per anni docenti in storia dell'Università di Pisa, dal titolo 'Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro, Saggi Marsilio, 1997'. Vale la pena citare, per fare altri esempi e avere un qaudro complessivo, il lavoro curato dal professore dell'Univrsità di Pisa Gianluca Fulvetti e Francesca Pelini 'La politica del massacro. Per un atlante delle stragi naziste in Toscana, L'Ancora del Mediterraneo, 2006, il lavoro di Fulvetti 'Uccidere i civili: le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Roma, Carrocci, 2009' e il più recente volume realizzato con il professor Paolo Pezzino 'Zone di guerra, geografie di sangue. L'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), Il Mulino, 2017. O ancora il recentissimo I crimini di guerra tedeschi in Italia, Einaudi, 2022, di Carlo Gentile, lo studio sulla strage di Marzabotto

Stragi e efferati omicidi che spesso sono rimasti chiusi nei cassetti della memoria privata, contesi tra memorie condivise, o scarsamente approfonditi. La scoperta del cosiddetto 'armadio della vergogna' (Franco Giustolisi, L'armadio della vergogna, Roma, Nutrimenti, 2004), l'archivio scoperto nel 1994 che raccoglieva documenti sui reati commessi dai tedeschi in Italia, ha innestato una nuova fase sia a livello storiografico che processuale, con l'avvio di alcune inchieste a carico dei responsabili delle stragi. Negli anni sono stati realizzati anche diverse ricerche di storia locale, ad esempio è in uscita in occasione dell'80esimo anniversario un documentario con le testimonianze di alcuni sopravvissuti.

Sull'Eccidio del Padule di Fucecchio si è discusso molto in merito alle motivazioni che portarono all'operazione tedesca e sulla presenza o meno di bande partigiane o pericoli militari per la Wermacht in un'area prossima al fronte. Tra coloro che hanno studiato più a fondo c'è Lauca Baiada, giudice della Corte militare di appello, che nel 2012 ha partecipato al processo sulla strage del Padule ed è autore di un volume che ripercorre quei fatti e raccoglie testimonianze e dati: si tratta di Raccontami la storia del Padule. La strage di Fucecchio del 23 agosto 1944: i fatti, la giustizia, le memorie, Ombre corte, Verona 2016. Come ci spiega Baiada nelle stragi "i rapporti causa-effetto cambiano secondo il punto di vista":

"I nazisti avevano una visione strategica ampia, internazionale, i contadini del Padule una visione di paese, gli storici hanno i loro schemi di ricerca e i giudici i codici. La Resistenza nel Padule sembra piccola, ma tante resistenze locali hanno dato filo da torcere al Terzo Reich, ed è un merito di cui andare a testa alta. Per i tedeschi il rischio di un attacco a sorpresa era sempre grosso, per questo usavano il terrorismo, anche sui bambini; era il loro metodo criminale, a scopo di dominio. Lo scontro militare appoggiato da buona parte del popolo, con la sconfitta del nazifascismo, fu epocale".

La 'politica del massacro' compiuta dall'esercito tedesco nell'estate del 1944 è una ferita che ha messo le radici nella memoria e nella vita di tante persone: "La strage  -  ci racconta ancora Baiadasegnò duramente le famiglie colpite, alcune persero più di dieci persone. Consideriamo che quel giorno, quando i soldati si avvicinavano, gli uomini scappavano pensando di essere catturati per lavorare, mentre donne e bambini restavano a casa o sull’aia; ecco perché morirono tante spose e bambini. Il danno fu a tutto campo. Con la perdita di braccia diminuiva la forza lavoro della famiglia contadina, il padrone licenziava: insomma, i superstiti perdevano casa e lavoro. Tanti hanno raccontato il massacro insieme alla miseria, alla fame, ai suicidi fra i superstiti. Naturalmente ci fu l’offesa agli affetti, alle possibilità di essere felici, alla vita. Fra i sopravvissuti c’è chi ancora oggi ne risente nel corpo e nello spirito, e a volte è così anche tra i loro figli. Le famiglie hanno diritto a risarcimenti che non sono stati pagati, né dalla Germania né dal governo italiano, che pure l’ha promesso con una legge del 2022".

L'Eccidio del Padule di Fucecchio, rimasto ricordo vivo e doloroso per le popolazioni locali, spesso è passato anche sottotraccia, come lamentato molti dei superstiti: "Se ne è sempre parlato, - spiega Baiada - ma dentro le famiglie colpite, quando nessuno le aiutava, neanche a mettersi in contatto con quelle dei comuni vicini. Per me, vittime e familiari meritavano la solidarietà dovuta agli eroi e ai fratelli, invece l’Italia del dopoguerra fu indifferente con loro. Solo in tempi recenti c’è stata attenzione, ma deve essere più forte nei fatti e non solo a parole Le autorità e la cultura ufficiale hanno trascurato la cosa. In Italia, nel secolo scorso, si è parlato in pubblico di pochi casi noti, come le Ardeatine, ma le stragi nelle campagne sono rimaste ai margini. Quella del Padule, poi, è stata sfavorita perché riguardò quasi solamente contadini poveri, sfollati sconosciuti e qualche pastore forestiero. Pubblicarono subito qualcosa il frate Egidio Magrini e il giornalista Bruno Schacherl; ma il primo libro, di Riccardo Cardellicchio, dovette aspettare il 1974: trent’anni. Poi, negli anni Novanta, a Roma si rimise mano all’archivio chiamato “Armadio della vergogna”, che insieme a tanti altri casi conteneva le indagini inglesi sul Padule, fatte nel 1945, precisissime. Il processo si chiuse nel 2012 con condanne non eseguite, perché la Germania non consegnò i nazisti, ma almeno se ne parlò. Persino il numero dei morti, 174, fu accertato solo nel 2001".

L'80esimo anniversario dell'Eccidio del Padule e l'importanza della memoria

Quest'anno, in occasione dell'80esimo anniversario, diventa simbolicamente ancor più importante ricordare la strage che, purtroppo, molti giovani ignorano. La sproporzione tra la grandezza di queste tragedie umane, il loro radicarsi nelle memorie e nelle storie delle famiglie, e il progressivo oblio che cala su di esse deve mettere in guardia. Piero Calamandrei nel 1955 disse ad un gruppo di giovani studenti alla Società Umanitaria a Milano che "se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove fuorno impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione".

Da quella tragica pagina della storia recente nasce l'Italia di oggi. Comprendere le radici della libertà e della democrazia, che spesso diamo per scontato, è una scuola di cittadinanza, aiuta a costruire un futuro contro ogni forma di violenza: "Con la violenza non si va da punte parti", dice con la genuinità del suo 'toscanaccio' la Tognozzi.

Mentre il tempo passa, quella pagina diventa più sbiadita, gli orrori si trasformano in un oggetto da museo, il nazifascismo in una sorta di archeologia e le camicie nere in goliardici bontemponi. Mantenere viva la memoria significa ricollegarsi alle radici della nostra democrazia, significa ridare importanza a cosa è stato il fascismo e la sua tremenda dittatura, significa prima di tutto rifuggire da ogni mito della violenza, da ogni avventurismo e da ogni celebrazione di capi e capetti, da ogni mito della 'democrazia autoritaria', un ossimoro. Dimenticare è un rischio e una sconfitta di tutti. "Che questa memoria rimanga sempre accesa -  ci dice Tognozzi - si dice uh, so passati 80 anni, è una cosa lontana...a me mi pare 80 giorni".

(foto gonews.it)

A cura di Giovanni Mennillo e Margherita Cecchin



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