Elezioni, Lotti: "Un'ingiustizia la mia esclusione, ma continuo con la politica". Sul PD: "Si decida chi siamo"

(foto gonews.it)

Riceviamo e pubblichiamo la nota di Luca Lotti, ex Parlamentare PD ed Ex Ministro dello Sport, dopo la sua esclusione dalle liste PD nelle recenti politiche dello scorso 25 settembre:

Chi sta già pensando “ecco il solito post astioso del candidato mancato o non ricandidato da Letta” può evitare di proseguire nella lettura.

È passata poco più di una settimana dalle elezioni politiche e sulle analisi per il risultato del Pd ho letto di tutto. Sentito di tutto. E soprattutto visto post di tutti i tipi.

Credo sia impossibile fare una disamina lucida e completa in poche righe o con un tweet; quindi neppure questa mia riflessione ha la pretesa di essere esaustiva. Spero invece che nei tempi e nei luoghi giusti ci sia la possibilità di affrontare tutti i problemi e tutte le contraddizioni che l’esito elettorale ci ha consegnato. Ritengo tuttavia necessario fissare alcuni punti.

La vita mi ha insegnato che sono poche, purtroppo, le persone che vedendo i propri errori sanno riconoscere le proprie responsabilità. Con tutta evidenza, in quest’ultimo periodo sono stati commessi errori enormi: mi auguro che per il bene del Pd ci sia una assunzione di responsabilità altrettanto grande, sia a livello nazionale che in Toscana.

Parto quindi da me stesso.

Facevo parte della classe dirigente che nel 2018 subì quella che venne definita la “peggiore sconfitta” del Pd e del centrosinistra dal Dopoguerra. Adesso quella sconfitta è diventata la “seconda peggiore”, superata da quella del 25 settembre. Ecco, noto già una prima e importante differenza da dire e dirci se vogliamo essere onesti fino in fondo: cinque anni fa, giustamente, partirono processi e accuse all’allora segreteria che poi si presentò dimissionaria all’Assemblea e innescò il percorso congressuale.

Oggi vedo invece un clima di autoassoluzione generale che guarda al Congresso come alla panacea di tutti i mali. Evito di postare vecchie interviste e analisi spietate di chi oggi è vicesegretario o responsabile enti locali o guru e leader di area; ma non partire da qui sarebbe una ulteriore mancanza di serietà verso elettori e iscritti.

Non sono interessato a crocifiggere nessuno, anzi penso che l’analisi collettiva sia la prima pietra sulla quale ricostruire e ripartire insieme. Ma non si ricostruisce solo con un Congresso o rinchiudendosi nei gruppi parlamentari, altrimenti si compie lo stesso errore commesso nel post 2018.

Davvero basta un Congresso? Non credo.

Davvero abbiamo perso le elezioni perché gli altri erano troppo forti? O le abbiamo perse perché abbiamo chiesto di votare contro qualcosa anziché a favore di qualcuno (cioè noi)? Cosa siamo noi? Questa, a mio modo di vedere, è la domanda più importante che forse fa paura, ma che è la prima da fare e farci guardandosi negli occhi.

Facciamo però un passo indietro.

Votai senza troppo entusiasmo il taglio dei parlamentari e lo feci con la promessa (sì, in politica hanno senso anche le promesse) di un cambiamento abbinato al voto della legge elettorale. Il primo grande errore che è stato commesso è non aver cambiato la legge elettorale.

Non si poteva dirà qualcuno. No, si poteva e c’era lo spazio, ma scegliere (come successe a me nel 2018) il futuro gruppo dirigente è più comodo e quindi perché cambiarla? Almeno così non siamo ipocriti, perché questo è stato.

Qualcuno si chiede: con un proporzionale avremmo numeri diversi o avremmo vinto? No, per niente e non deve essere un alibi sull’esito del voto. Senza dubbio è quantomeno un primo motivo di ‘tattica politica’ per spiegare bene almeno cosa è successo e come siamo arrivati a questi numeri.

Sempre rimanendo sui numeri più che un “campo largo” forse serviva una “alleanza larga” che comprendesse tutto il fronte che si opponeva alla destra.

Che se ci fate caso è ciò che ora viene chiesto di fare in Parlamento: un po’ tardi direi. Anche qui è colpa solo del Pd? No, ma sono abituato a guardare in casa mia e a pensare che prima devo aver fatto bene i compiti per poter guardare fuori e fra i compiti della classe dirigente del mio partito c’era di vedere e capire questo scenario. Chiamatela “mucca nel corridoio” o “elefante in soffitta”, chiamatela come volete, ma per chi fa questo mestiere non si può non capire.

Però, direte voi, siamo sempre sui numeri, sulla tattica e poco sulle idee. Vero. Ma queste premesse mi servivano per arrivare la punto più importate.

Come Partito democratico abbiamo lanciato le Agorà, un progetto che ho condiviso. Abbiamo detto di voler allargare: giusto. Ma lo abbiamo fatto costruendo un cartello elettorale, che fin da subito è apparso privo di strategia, e soprattutto lo abbiamo fatto senza parlarne, senza capire perché e lo abbiamo fatto senza spiegarlo a nessuno. A nessuno sui territori, a nessuno degli amministratori locali, pretendendo che quasi per magia lo capissero gli elettori. Qui, come è evidente a tutti, non è questione di numeri ma di politica.

E se non ci diciamo che è stata una mera “fusione a freddo” il progetto esclusivamente elettorale che ha portato all’offerta politica delle liste dei democratici e progressisti, allora è inutile fare altre analisi.

Infine la parte più difficile, ma anche la più bella: più che provare a capire da dove ripartire, dobbiamo prima saper rispondere alla domanda “chi siamo?”. Pensiamo che ciascuno si salva, si spiega, si assolve e si giustifica da solo? Quante frasi autoassolutorie abbiamo sentito in queste ore: io ho vinto a casa mia (qualcuno non può dire neanche quello) e da qui riparto. Io sono un ‘modello’ che funziona. Io ho fatto il massimo, ma il vento era troppo a destra. Ma io aspetto l’alleanza con Conte. E potrei continuare. Eppure nessuna di queste affermazioni di validi dirigenti del Pd risponde alla domanda “chi siamo?”.

Non credo che un Congresso divisivo sui nomi o sul dilemma “Conte sì, Conte no” se affrontato così possa darci una risposta. Appartengo alla categoria, può sembrare strano, di quelli che non vogliono la vendetta sulle macerie del Pd, ma che prima di pensare a chi ci guida si chiede cosa è successo e cosa siamo.

Nota finale

Tanti amici mi chiedono cosa faccio ora, cosa facciamo ora. La politica non si fa solo stando in Parlamento. Certo ritengo di aver subito un’ingiustizia rispetto a scelte spiegate con motivazioni imbarazzanti (per chi le ha date) e da chi si è nascosto nell’ombra della propria viltà. Le cattiverie lette o l’ipocrisia che ho visto nei miei confronti farebbe venire voglia di lasciare andare tutto. Ma la politica non ti lascia e non si lascia abbandonare così. Un amico ha scritto queste belle parole: “Amo la politica. Follemente. E quando ami qualcosa alla follia non può essere il titolo di ‘onorevole’ a farti battere il cuore per Lei”. Ha ragione, il tempo che abbiamo davanti non consente ritirate o fughe davanti al nemico.

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