È una mostra importante questa di Chiara Campigli, Gianni Ceccatelli, Michela Cianchini, Amedeo Crescenzo, Antonella Fiore, Filippo Gemignani, Enzo Marconcini, Edoardo Melani, Claudio Occhipinti, Lina Papol e Sandra Spinelli, che si tiene al Palazzo delle Arti di Fucecchio e ci dà una nuova occasione per parlare di Colori in Corso, un gruppo di azione ed arte contemporanea, che opera da più di vent’anni, dando prove importanti della propria ricerca creativa.
C’è stata – e va subito segnalata – una decisione a monte del Comune di Fucecchio, che ha individuato come sede del gruppo, una struttura come la Villa dell’ex Opera Pia Landini Marchiani. Un luogo in una zona molto bella, tra i boschi delle Cerbaie e il Padule di Fucecchio, nei pressi di Ponte a Cappiano, con vista su San Miniato e sul Valdarno.
La villa non è in ottime condizioni, ma forse proprio per questo dimostra il suo fascino, assume l’aspetto di un grande laboratorio, con i suoi quadri non finiti, le colature di colore, i gessi e le crete, le strutture – in legno, in ferro o in altri materiali - che non si sa più a cosa siano servite. Tutto sembra raccontare una storia, un percorso artistico: sarebbe importante aprire questo luogo a possibili visitatori, organizzare una mostra lì, sul lavoro di tutti questi anni, con una continuità che non sarebbe stata possibile altrimenti. Si tratta di una ricerca che ha prodotto quasi niente in termini economici, ma che ha invece realizzato moltissimo in campo culturale. D’altra parte, la cultura non produce denaro, o comunque ne produce poco. Con l’azione culturale certo qualcosa si mangia ma, soprattutto negli ultimi tempi, sono pasti piuttosto parchi.
C’è però il rapporto umano, il piacere di stare insieme, la bellezza dell’intervento di gruppo, che non possono essere messi in un cantone, che sono l’elemento centrale e che rendono poco importante tutto il resto, anche la qualità del lavoro, nel senso che a rigore non importerebbe segnalare queste opere, il loro rapporto con l’espressione artistica. Infatti, ciò che qui è importante e che ci fa parlare diffusamente di Colori in Corso e della sua storia (compreso adesso, poco più di una citazione, per un maestro come Claudio Occhipinti, da sempre collante, pasta aggregante, elemento perno dello stesso gruppo) è legato appunto al suo semplice esistere, al fatto che ha superato gli ostacoli e che è restato fermo, ponendosi come unico obiettivo la libertà espressiva dei propri artisti, senza considerare la loro capacità e qualità.
Ma proprio qui c’è una crescita davvero esponenziale, alcuni di questi artisti lavorano ormai con continuità, con una maturità acquisita, non possiamo non entrare nel merito. Prosegue naturalmente il loro percorso di équipe, ma c’è anche una crescita personale ed è questa che dobbiamo tener presente in sede critica. Chiaramente si tratta di maturazioni diverse, più o meno accentuate dalle varianti anagrafiche: si va dagli under 30 agli over 70, dunque anche le opere possono risentirne e non poco. Ma nel nostro caso, entra anche in gioco la vita vera delle persone, il fatto che alcuni di loro sono stati per anni “pittori della domenica”, o comunque del tempo libero, non hanno potuto, per esigenze di sopravvivenza, dedicarsi interamente all’arte, comunque a qualcosa che li ha coinvolti fin dall’inizio.
Ma per quale motivo Colori in Corso e le persone che ne hanno fatto parte, continuano a vedersi e si aggregano, si riuniscono - una o più volte alla settimana - per lavorare a progetti d’arte? Senza dubbio per un bisogno di confronto, di rapporto con uomini e donne che hanno i tuoi stessi bisogni e desideri. Per una legittima necessità di mettere le proprie opere davanti ad un giudizio assolutamente imparziale e privo di giri di parole, quello cioè dei propri amici di gruppo, che senza peli sulla lingua, discutono sulle opere che sono portate davanti alla loro attenzione.
Ho partecipato più d’una volta a questi interessantissimi momenti collettivi, consumati nella Villa dell’Ex Opera Pia. Sono stimolanti proprio a partire dalla descrizione dei quadri che vengono sottoposti al giudizio critico dei partecipanti, l’artista che si pone volontariamente davanti al “tribunale del popolo” (ma stiamo scherzando, naturalmente) racconta la sua opera, la tecnica con cui l’ha eseguita e il suo contenuto, l’uso di un colore o di un altro, la necessità di una presenza che equilibra il quadro, o anche di una semplice scala cromatica.
Non c’è niente che non funzioni in questa descrizione dell’opera sotto esame, c’è soltanto una grande sincerità, soprattutto quando l’esecutore “sotto esame”, confessa di non sapere bene perché ha dipinto un personaggio o una zona del quadro, preso soltanto da una necessità che diremmo tecnica, di costruire un’opera che stia in piedi da sola, che risponda ad alcuni precisi intenti di omogeneità, di pesi e contrappesi, di misure che la rendono affascinante (o anche dissacrante) nei confronti del proprio interlocutore, di chi guarda il quadro o l’affresco. Certo l’affresco, perché l’esempio che mi viene di più è quello delle grandi opere del Rinascimento, fino a Leonardo e a Piero della Francesca. La composizione di questi affreschi è musica, c’è un punto e un suo contrappunto. Ci sono gli apostoli rivolti verso Cristo, ma qualcuno guarda da un’altra parte, perché? Fondamentalmente ci saranno motivi più o meno teologici, in realtà si tratta di una ragione di ricerca, il pittore insegue la perfezione dell’opera, irraggiungibile se non si usa una sorta di diaframma, di membrana visiva. Ci sono – è vero - quadri dove ogni personaggio compie un’azione, nei confronti di un santo o di una divinità, poi esistono capolavori dove qualcuno, uno dei personaggi, fa un’azione diversa, un contrappunto. Del resto, Dio - lo sappiamo - ha creato Lucifero, l’Arcangelo prediletto, che finisce col rappresentare il male assoluto, pronto sempre ad illuminare il bene, dandogli appunto ancora più forza, mostrandolo in tutto il suo splendore.
Insomma, oltre alla visita dello spazio della villa, ci sarebbe da mettere in conto anche la partecipazione a questi momenti di discussione, che possono valere molto di più di tante lezioni di storia dell’arte o di tecniche pittoriche. Si entra dentro il laboratorio dell’artista, alla ricerca del suo rapporto con l’espressione. Non ci sono sconti, né concessioni, ho sentito spesso esaltare un’opera, ma anche stroncarla senza riserve; sempre stimolati dal desiderio di correggere l’eventuale errore, o di capire il perché di una scelta espressiva, di un atto più o meno provocatorio. Qui – e anche questo è da segnalare – si usa il pennello in un certo modo, anche il colore – dall’acrilico all’olio – sono stesi a spatola, col pennellino piccolo o con quello grande, e con infiniti altri strumenti e meccanismi, cioè con soluzioni tecniche estremamente variabili.
Ogni artista ha trovato una sua linea espressiva, c’è un maestro, ma questo ormai è diventato una sorta di organizzatore, riesce a creare opportunità, a creare programmi di lavoro. Da tempo ha rifiutato di “insegnare” qualcosa, che non sia un semplice aiuto alla creatività degli amici. Alla ricerca di un’azione qualitativamente importante, vincente.
Si possono vedere le opere in mostra, ognuna ha una sua caratterizzazione e va verso una direzione; insomma, ci sono almeno undici artisti che lavorano intorno ad un tema e offrire loro una opportunità espositiva collettiva dimostra soprattutto che ognuno di loro è pronto anche per esposizioni personali, con un numero di opere più consistente e soprattutto con una più precisa attenzione critica.
Quello che sappiamo e che vogliamo testimoniare qui e che il loro percorso è personalmente, ma anche collettivamente, in crescita, non torniamo volutamente ai nomi, alle differenze, ma sappiamo bene che già qualcuno ha accettato la sfida, si è messo in gioco da solo, attento al giudizio del pubblico e della critica. Ci sarà da divertirsi, intanto proviamo a confrontarsi con le opere in mostra e soprattutto con i bravi artisti che le hanno eseguite. Per l’arte c’è ancora speranza, se questo accade a Fucecchio.
La Conchiglia di Santiago
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