"Ho voluto raccontarvi la mia storia. Perché non si tratta solo di me, perché rendere difficile l'applicazione di un diritto equivale a negarlo", il racconto dell'attrice fiorentina, dopo la sentenza della Corte suprema americana
"Io sono di Firenze e abortire a Firenze non è stato per nulla facile". Inizia così il racconto di Gaia Nanni, attrice fiorentina, pubblicato oggi pomeriggio sulla sua pagina facebook. Nanni riporta la sua testimonianza sull'interruzione volontaria di gravidanza, dopo la decisione della Corte suprema americana di abolire la sentenza con la quale l'aborto era stato legalizzato, aprendo ai singoli Stati la libertà di applicare le loro leggi in materia.
"La brava ginecologa che mi seguiva da una vita era obiettore - racconta Nanni - quindi entro nell'iter del 'troviamo qualcuno che metta una firma e attesti che effettivamente io voglia davvero interrompere la mia gravidanza'. Ero una donna che voleva mettere fine alla sua gravidanza ma la sua firma a nulla serviva". L'attrice parla di più incontri con una psicologa e un'assistente sociale, che alla fine della prima seduta le fissa un altro appuntamento dicendole 'vede, lei è emotivamente scossa. Piange. Non siamo sicure che lo voglia davvero'. Così scorre il tempo, "e passano i giorni. Che sembrano mesi. Le settimane, anni" continua il post sui social. "Arrivo alla benedetta firma con annessa ecografia che attesti la gravidanza in corso. Il medico mi fa sdraiare. Non mi guarda in faccia. Non parla con me. Si gira verso la specializzanda e dice mentre mi visita: 'Questa ha l'utero retroverso'. Da quel momento Quella - che sono io - finisce in ambulatori e stanze dove si mettono al mondo bambini, accanto a chi chiama la futura nonna e a chi ha già scelto il nome e te? E Quella? Io no. Non mi chiedono un numero di telefono. Non mi chiedono se avessi un accompagnatore all'accettazione. Ricordo solo lo sguardo gentile di una infermiera che mi portò del the e dei biscotti".
Gaia Nanni prosegue nella lettera aperta, affermando infine che da allora, da quei momenti, "sono passati molti anni". "Mi chiedo se serva ancora oggi la firma di qualcun altro che ci dica cosa possiamo fare del nostro corpo e della nostra vita. Il dolore di quello che è stato non ve lo racconto, l'unico balsamo sarebbe non farci passare nessuna altra donna da quell'iter disumano. Oggi che tutti ci indigniamo - giustamente - per la mostruosa sentenza della Corte suprema Usa sull’aborto, ho voluto raccontarvi questa storia. La mia storia. Perché ancora una volta, non si tratta solo di me e perché rendere difficile l'applicazione di un diritto equivale a negarlo".
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