Con uno sguardo rivolto sempre al futuro, continua a Palazzo Strozzi la volontà di portare l’arte contemporanea a Firenze. Si era già sentito qualcosa nell’aria a Milano, settimane fa quando è appara una scultura di Jeff Koons di fronte alle Gallerie d’Italia. L’artista americano, protagonista della scena mondiale dell’arte sarà in mostra da oggi a Firenze fino al 30 gennaio, alla Fondazione Palazzo Strozzi con opere consistenti provenienti da prestiti che giungono dai quattro angoli del mondo. Una mostra, a cura di Arturo Galnsino e Jhochim Pissazzo.
Koons aveva già marcato il suolo della città rinascimentale nel 2015 - su promozione anche di Fabrizio Moretti, segretario della Biennale dell’Antiquariato – collocandosi con una scultura proprio in piazza della Signoria. Il rapporto tra Firenze e l’artista è un dare avere di scambi e influenze.
“Firenze non è una vetrina ma una sfida - ha detto Dario Nardella, Sindaco di Firenze - la città si è aperta ai linguaggi dell’arte contemporanea; Firenze si era tramutata in una sterile rievocazione del passato e della sua cultura; la modernità è il coraggio e la forza di mettere in discussione dello status quo”. La mostra di Koons fa, quindi, parte, del cartellone d’avanguardia delle grandi esposizioni del contemporaneo, promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio, Polimoda, Camera di Commercio e Regione Toscana.
Contemporanea e futuristica insieme, Jeff Koons è conscio all’antico assunto che l’opera debba contenere un germe sensoriale che possa scaturire sentimenti nello spettatore. Ha sviluppato attraverso un virtuosismo eclettico e maniacale, un linguaggio semplice ed elementare, affondando nelle radici nella curiosità e nel bisogno infantile di ritrovare la semplicità dell’arte.
“Credo nella memoria biologica – afferma l’artista - cerco sempre qualcosa al di fuori delle cose poiché i nessi nell’arte generano energia”
L’artista si rifiuta di farsi intimidire dall’arte, abbracciando tutte le opere dei predecessori, ma si oppone anche ad essa e alle sue teorie agganciandosi così a quella meteora dadaista che fluttua e vive nello spazio e nel tempo infinito dell’arte cosi detta contemporanea. Si, perché se esiste una radice in ciascun artista, Koons le ha messe da subito, sin dai primi lavori degli anni Ottanta, nell’orticello di Marcel Duchamps divenendo a tutti gli effetti uno dei tanti figliocci spirituali del Ready Made. Sarebbe troppo semplice come etichetta. Koons però appartiene ad una generazione lontana dagli anni dadaisti di Tristan Tzara & Co; tanto meno i movimenti spirituali e i fermenti politici dell’Arte povera e Minimal presenti sulla scena europea ed americana degli anni Settanta, sembrano avere riflessi nelle opere di questo geniale personaggio.
È dall’arte Pop, specie di Andy Warhol e Claes Oldenburg, che Koons si nutre arrivando al nocciolo di una questione concettuale molto più ampia che, forse, nemmeno i padri americani della Pop Art erano riusciti a sfiorare. Ma cosa rende oggi Koons l’artista contemporaneo più noto?
La riconoscibilità delle opere. Forse sarebbe meglio chiamarli oggetti. Ciò che l’America attraverso la Pop Art è riuscita a fare in questi anni, è stato comunicare al mondo una propria idea, una superiorità dell’immagine, immediata e semplice, che rappresentava l’identità stessa degli americani. L’arte diventa una bandiera da sfoggiare. Grande simbolo di potere, così come
Nel linguaggio di Koons c’è tutto quello che c’è da sapere sulla Pop Art: l’oggetto di uso comune assunto ad opera d’arte, la riproducibilità, l’effimero della sostanza materiale e della sua destinazione d’uso. Ma c’è qualcosa di più, nel Ready Made c’è l’abbraccio del mondo – materiale - che ci circonda, va solo sviluppato. Così come gli aveva suggerito il pittore, Ed Paschke, suo maestro alla scuola d’arte di Chicago. Così il ready made diventa un luogo metafisico dove gli oggetti manipolano il tempo e la memoria. Ecco che i giocattoli, i ninnoli ci riportano alla memoria di uno stato fisico e mentale, spesso piacevole,
Persiste una spiritualità fisica degli oggetti e dei soggetti, emanata anche dal materiale di cui si compongono; alcuni riescono ad essere “luminosi”, altri specchianti come eteree figure trascendentali dall’aurea medioevale. Koons ha sviluppato una koinè che abbraccia tutto senza pregiudizi di sorta, creando le basi per una estetica del “chip”.
Tuttavia, le opere restano fissate nella mente come una polaroid del XXI secolo; uno dei requisiti di un’opera d’arte sta proprio nella capacità di rappresentare una epoca. Decantata o decadente, ai posteri la sentenza.
Alfonso D’Orsi
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