I turisti sono tornati in Toscana. Non solo sulla costa, ma anche e soprattutto nelle città. Lo testimoniano le code davanti ai musei o le piazze finalmente gremite come nei bei vecchi tempi, ricordi che stavano sbiadendo dietro mascherine e distanziamento.
Un sospiro di sollievo per tutti, in particolare per i professionisti del settore food sfiancati da due autunni trascorsi con i locali chiusi a causa del lockdown e un’estate resa problematica dall’istituzione del green pass.
Il certificato verde e il suo il QR code sono diventati in Italia una realtà quotidiana, nonché conditio sine qua non per una consumazione all’interno di ristoranti e pub. Tuttavia, quella che dovrebbe essere diventata una routine per titolari e clienti, in realtà pare aver incontrato una nuova criticità, stavolta legata non alle intemperanze dei no vax quanto alla mancanza di preparazione di alcuni lavoratori del settore.
Infatti, cosa potrebbe rispondere un turista americano alla richiesta di un green pass, che fuori dall’Europa non è uno strumento utilizzato? Ce lo racconta Stefano, 37enne expat in Usa, precisamente in Oregon, tornato per qualche giorno a Prato per riabbracciare parenti e amici. Residente nel cosiddetto “Beaver State”, Stefano ha effettuato la campagna vaccinale proprio negli Stati Uniti.
“Dopo la seconda dose, negli Usa ti consegnano la CDC card, ossia una tessera cartacea che riporta, oltre a nome e cognome del vaccinato, il tipo di vaccino e il numero del lotto, nonché le date in cui sono state somministrate le due dosi. Va specificato, però, che questa tessera non ha la funzione del green pass, perché negli Stati Uniti non ci sono limitazioni paragonabili a quelle italiane ed europee. Non esiste una legge che imponga la vaccinazione per entrare nei locali o partecipare a concerti, quindi è raro che ti venga richiesto di esibire la CDC card”.
Poco utile in patria, la CDC card diventa però fondamentale all’estero, perché funge da green pass nei paesi europei che vincolano alla copertura vaccinale gran parte delle attività tipiche dei turisti, dalla visita ai musei al pranzo al ristorante. Ed è proprio qui, all’ingresso di un ristorante di Prato, che è avvenuta la disavventura di Stefano.
“Ero insieme a mia madre e volevamo mangiare al chiuso, visto che fuori la temperatura sfiorava i 40 gradi. Purtroppo, alla vista della mia “strana” card, l’addetto al controllo green pass mi ha bloccato. Mi ha spiegato che era autorizzato a far entrare solo coloro in possesso del certificato, non sapeva nulla in proposito della card americana. Eppure, sul sito del ministero della Salute è scritto chiaramente e in bella vista che la CDC è equipollente al green pass italiano. Abbiamo provato in un altro ristorante e pure in quel caso l’unica opzione per me sarebbe stata un tavolo all’aperto. Al terzo tentativo infruttuoso – prosegue nel racconto – mi sono arreso e insieme a mia madre ho “scelto” un tavolo fuori al locale. Ma non è finita qui: quando ho chiesto al cameriere di poter andare in bagno, questi è rimasto nuovamente interdetto e dopo una breve discussione con il titolare l’impasse è stato superato”.
Una situazione assurda, che si spera dovuta solo ad un’ignoranza temporanea: non si può parlare di “falla nel sistema” dal momento che sul sito del Ministero le informazioni sono chiare, sia per l’esposizione che per la posizione in pagina.
“Quel pranzo a 40 gradi mi ha fatto capire quanta poca conoscenza ci sia non solo a proposito del funzionamento del green pass – infatti mi hanno addirittura chiesto se non potessi richiedere un green pass in Italia, pur non avendo sostenuto qui il ciclo vaccinale – ma anche sul funzionamento dei certificati sanitari esteri in genere. Come potevo avere un pass che forniscono solo in Italia, se io la vaccinazione l’ho fatta in Usa? Non sanno che il green pass, così come è stato concepito, è una tecnologia prettamente europea? Mi auguro che i ristoratori ancora poco ferrati in materia si aggiornino presto, perché turisti e studenti nordamericani erano in epoca pre-Covid un elemento portante dell’economia di città come Firenze e Pisa. Forse è solo Prato a essere rimasta un po’ indietro”.
In effetti, i nostri connazionali residenti all'estero, una volta giunti in territorio italiano, potrebbero chiedere il green pass recandosi presso le aziende sanitarie locali di competenza con la documentazione apposita, ma sarebbe una ridondanza, visto che la CDC card ha la medesima funzione qui in Italia. Senza contare i tempi "burocratici" necessari per un'operazione come questa.
Per quanto riguarda studenti e turisti Usa, non sono pochi i problemi creati da questo misunderstanding, tanto che a Firenze l'assessore Meucci ha voluto chiarire che white card (la tessera CDC) e green pass sono equivalenti.
Comunque, tra il modello Usa “senza vincoli” – in cui l’idea di un green pass è stata stroncata sul nascere dal valore predominante che la libertà personale occupa nella cultura a stelle e strisce – e quello italiano all’insegna del certificato verde, Stefano propende nettamente per quest’ultimo.
“Vorrei che anche negli Stati Uniti venisse introdotta la logica del green pass: se andassi a un concerto, mi sentirei molto più sicuro sapendo che le tante persone che si trovano vicino a me sono tutte vaccinate e sono state controllare prima di entrare. Un documento digitale come quello italiano sarebbe davvero molto comodo. Da questo punto di vista siete più avanti, perché io devo comunque portarmi dietro una tessera fisica”.
Ovviamente, non c’è sicurezza senza controlli adeguati e su questo punto l’esperienza di Stefano non è positiva.
“Nonostante i molti documenti necessari per il viaggio in aereo, in partenza negli States mi hanno chiesto se fossi vaccinato e si sono ‘accontentati’ solo del mio ‘sì’, senza controllare. Nei Paesi Bassi, il mio scalo europeo, ho mostrato solo il passaporto. Giunto in Italia, poi, nonostante arrivassi dagli Usa, un paese a rischio alto di contagio, nessuno mi ha chiesto documenti o certificazioni. In teoria a Peretola sarebbero esposti alcuni moduli da compilare, ma nessuno ti blocca se esci dall’aeroporto senza averlo fatto. Insomma, ho compiuto un viaggio intercontinentale da Portland a Firenze – due aerei con scalo ad Amsterdam – senza mostrare mai un documento Covid”.
Giovanni Gaeta
Notizie correlate
<< Indietro