Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera aperta di ringraziamento al personale sanitario dell'ospedale San Giuseppe di Empoli, firmata da un nostro collega, il giornalista e noto volto televisivo Alessandro Lippi. Ad Alessandro, come a centinaia e migliaia di altri toscani e italiani, è toccata la via del dolore a causa del covid. Dai primi sintomi al ricovero con tanto di casco per aiutare la respirazione.
Finito l'incubo dopo più di due settimane, è sembrato giusto per Alessandro scrivere una lettera con il cuore in mano per ringraziare chi ha reso possibile la ripresa di una vita normale. La pubblichiamo per intero di seguito.
GRAZIE
Capita, nella vita, come descrive con dei magnifici versi il poeta ungherese Attila József che il dolore, con le sembianze di un postino grigio e silenzioso, bussi e porti una lettera per te, sotto forma, nel mio caso, di un ricovero per 16 giorni nel reparto 4A1Covid dell’Ospedale “San Giuseppe” di Empoli.
Capita, poi, a vicenda felicemente conclusa, che anch’io porti una lettera scritta con entusiasmo ma stentando a trovare le parole giuste, quelle più adatte per ringraziare il personale per le amorevoli cure prestate.
Li ricordo bene nascosti ma brillanti nei loro scafandri, gli occhi della Capo Sala Paola Sardelli, degli infermieri Valentina Viatori, Serena Santanelli, Nadia Bravi, Donata Bartilucci, Rossella Felicetti, Elida Bardelli, Marco Casarin, Sara Ciofi, Stefano Serafini, Sonia Volterrani, Alessandro Lippi (il destino ha voluto incrociassi un omonimo), Antonella Marra, Ina Korita, Vanessa Malgieri, Stefano Forti, Maria Giulia Vazzana, Beatrice Ventra, Alessandra Perasole, Francesco Scardigli, Silvia Sani, degli operatori socio sanitari Franco Feliciani, Claudia Ancillotti, Corrado Passaponti, Rossana Sorrenti, Daniela Viso, Giacomo Pascucci, Elvira Falco, Cinzia Morelli, Martina Balsotti, Maria La Tona.
Mi sono rifugiato per giorni nella luce intensa dei loro occhi colmi di speranza e nelle vibrazioni calorose di quelle voci, usate come le note di un bravo pianista in cerca dello spartito migliore.
Già perché una cosa l’ho capita bene. Persino io (forse), sarei riuscito dopo qualche tempo a somministrare una terapia o a registrare i parametri con i gorgogliatori dell’ossigeno come ininterrotta colonna sonora di ogni giorno e di ogni notte.
Ma non sarei riuscito ad essere diverso con tutti, pronto a cogliere le varie sensibilità e a personalizzare parole, gesti, sguardi, calibrandoli su pazienti colpiti dalla stessa malattia, ma con le necessità, spesso psicologiche, di ricevere risposte diverse.
Li ho visti, giorno dopo giorno, senza che venisse mai meno la dedizione spontanea, che mancasse la pazienza certosina, che vacillasse la disponibilità assoluta verso pazienti sofferenti per la malattia o per la pratica preziosa, ma invasiva del casco, usato per distribuire elevati flussi di ossigeno.
L’ho già scritto e lo confermo. Non sono eroi Paola, Valentina, Serena, Nadia, Donata, Rossella, Elida, Marco, Sara, Stefano e tutti gli altri.
Sono uomini e donne comuni, ma portatori di una straordinaria e appassionata normalità che è il vero indicatore della ricchezza morale di un Paese.
Non li dimenticherò e quando li penserò, li assocerò al sostantivo grazie.
Ho riflettuto in questi 16 giorni sul valore di un 'Grazie'. Sono 6 piccole lettere che diventano addirittura piccolissime, formando una parola persino insignificante se pronunciata tanto per fare, anzi per dire, come un banale e meccanico esercizio formale.
Grazie è invece qualcosa di grande, di impegnativo, di solenne. Quelle sei minuscole lettere possono comporre una parola gigantesca capace di trasformarsi nella più maestosa e luccicante del vocabolario.
Non userò, non usiamo per Paola e tutti gli altri, dei grazie che non siano dei veri e potenti GRAZIE. Non lo meriterebbero.
Alessandro Lippi
Notizie correlate
Tutte le notizie di Empoli
<< Indietro