“Fiere e sagre sono chiuse da un anno in tutta Italia, i mercati settimanali e di quartiere in zona rossa sono aperti solo per l’alimentare. E in Toscana ci sono province rosse da oltre un mese. Non ce la facciamo più a tirare avanti: se non moriamo di Covid moriamo di fame”. Il presidente degli ambulanti toscani di Fiva (Federazione Italiana Venditori su Area Pubblica) - Confcommercio Rodolfo Raffaelli non usa giri di parole per descrivere l’onda di disperazione che sta travolgendo la categoria, pronta a scendere in piazza in tutte le città toscane per occupare simbolicamente gli stalli dei mercati rimasti vuoti da troppo tempo.
“Chiediamo alle istituzioni, alla Regione prima di tutto poi al Governo, di riaprire i mercati in toto, anche per la parte non alimentare, indipendentemente dalla classificazione delle aree”, dice Raffaelli portando a sintesi le richieste dei colleghi. “I mercati”, aggiunge il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni.si svolgono all’aria aperta, adottano le misure utili al contenimento del contagio, come il distanziamento, i percorsi obbligati e il contingentamento dei clienti, l’apertura dei banchi da un solo lato per evitare assembramenti, la sanificazione. Gli ambulanti sono anche disposti a fare di più, pur di tornare al lavoro. Ma davvero non si riesce a comprendere come fare la spesa al mercato possa essere più pericoloso che farla in un supermercato della grande distribuzione, o utilizzare un mezzo di trasporto pubblico”.
“Il commercio ambulante” prosegue Marinoni, “conta meno di 13mila imprese in Toscana (12.826), delle quali solo 3.600 si occupano di prodotti alimentari e possono quindi continuare a lavorare senza restrizioni, mentre le altre sono soggette ai cambi di colore. Ai fieristi va anche peggio, perché gli eventi nei quali si sono specializzati non vengono organizzati più dal febbraio 2020. Resistere in queste condizioni è impossibile, anche perché si tratta di aziende per lo più fragili e poco capitalizzate, a conduzione familiare, dove il titolare ha investito i risparmi di una vita contando sul flusso di cassa per tirare avanti, pagare la merce e le spese, con margini di guadagno che già negli ultimi anni si erano molto ridotti. Ora che le entrate sono ferme, ma non le uscite, non sanno più che fare”.
“Più che questione di sicurezza, è diventata una questione di giustizia sociale e di concorrenza leale”, aggiunge Tatiana Di Mambro, giovane e combattiva ambulante che siede nel consiglio direttivo di Fiva-Confcommercio Toscana, e da qualche settimana anche in quello di Fiva nazionale, “per fare un esempio: perché un negozio di ferramenta in base all'allegato 23 del DPCM 2 marzo 2021 può restare aperto in zona rossa ma un banco ambulante che vende gli stessi prodotti no? Non si capisce questo accanimento contro la nostra categoria, questo volerci fiaccare nello spirito, togliere ogni dignità. So di colleghi che si sono rivolti alla Caritas per mangiare, altri vanno avanti con la pensione dei genitori anziani, ma siamo tutti allo stremo. Nel 2020 abbiamo perso una media del 50% di fatturato, con punte fino al 90% nel caso dei fieristi o di chi lavorava con i turisti nelle città d’arte. I ristori? Chi ha perso più del 30% del fatturato ha avuto solo mille euro, che bastano a malapena a fare la spesa di un mese per la famiglia… Ce l’abbiamo messa tutta per resistere, chi ha potuto si è attivato con i social e le consegne a domicilio, ma i nostri clienti sono sparsi su un territorio molto ampio, organizzare una rete di vendita a domicilio non è facile, richiede un investimento di soldi ed energia che non tutti possono permettersi”.
“Siamo rimasti a stringere i denti in silenzio per tanto tempo, nel rispetto di chi in questa pandemia ha perso la vita e gli affetti, poi per non causare alcun problema di ordine pubblico”, prosegue Tatiana Di Mambro, “ma adesso la misura è colma. Anche noi, come i colleghi di altri settori, diciamo basta con la forza della disperazione. Pretendiamo più attenzione e risposte”.
“Sul futuro del commercio ambulante grava una pesantissima condanna a morte”, chiude il presidente di Fiva-Confcommercio Toscana Rodolfo Raffaelli, “ma a chi giova far sparire fiere e mercati? Sono luoghi di socialità importanti, animano le nostre città e forniscono un servizio fondamentale, a prezzi ridotti, a fasce di popolazione che altrimenti non avrebbero occasione di fare spese: penso agli anziani dei paesi più piccoli, dove i negozi sono praticamente scomparsi, che aspettano in gloria il giorno del mercato. Le istituzioni dovranno rispondere anche a loro, perché se gli ambulanti scompaiono scompare anche l’ultimo presidio di tanti piccoli centri”.
Sono molte, fanno sapere da Fiva Toscana, le criticità che vive il commercio su area pubblica. Le limitazioni agli spostamenti imposte dai vari decreti, per esempio: “il fatto che la gente non possa varcare i confini comunali ha indebolito il richiamo di tanti mercati settimanali, che fino all’anno scorso servivano un bacino di utenza molto vasto. Così, anche gli ambulanti aperti si sono trovati a fare i conti con una clientela dimezzata. In più, con lo spostamento delle postazioni imposto dalle nuove regole di distanziamento, da maggio 2020 ci sono stati inevitabili disagi anche per la clientela, che non riusciva a trovare più nel consueto spazio il proprio operatore di fiducia. E anche questo aspetto ha inciso sul calo del fatturato delle imprese”. Pure le limitazioni imposte all’attività di bar e ristoranti hanno inciso negativamente sugli incassi dei banchi di prodotti alimentari, frutta e verdura, che nei mercati rionali vedevano tra i clienti proprio baristi e ristoratori.
Sul fronte dei sussidi non va molto meglio. “Nella migliore delle ipotesi, con i ristori ricevuti le aziende sono riuscite appena a pagare i contributi previdenziali”, sottolinea il direttore di Confcommercio Toscana Marinoni. “In pratica, hanno “girato” all'Inps fino all’ultimo euro ricevuto pur di avere la regolarità contributiva, conditio sine qua non per ottenere il rinnovo delle concessioni e per accedere ai sostegni regionali. Sostegni che sono stati comunque insufficienti, se non addirittura una chimera per i fieristi: quasi nessuno di loro aveva partecipato a 80 fiere nel 2019, un limite minimo troppo alto”.
A questi fattori, si aggiunge l’estrema incertezza legata al mancato rilascio delle concessioni scadute al 31 dicembre 2020 da parte delle amministrazioni comunali. “Inconcepibile che proprio in questo frangente qualche Amministrazione imponga agli operatori obblighi che comportano un investimento economico, come il cambio del furgone Euro 3 o Euro 4 imposto dal Comune di Firenze. Per carità, la finalità di ridurre le emissioni di CO2 è giusta e condivisibile. Ma un obbligo così ora suona come una beffa…”, dice Marinoni, “sarebbe meglio che i Comuni pensassero a rimodulare la TARI, ancora troppo alta per le imprese, visto poi il crollo dei consumi e quindi dei rifiuti prodotti”.
Una cosa è certa: “senza sostegni adeguati e senza possibilità di lavorare, le micro e piccole imprese del commercio su area pubblica sono condannate a morte”
Fonte: Ufficio Stampa
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