Nello studio di Serena Tani

Artista importante Serena Tani, che viene dal lavoro nella moda e dal fashion design, lì si è impegnata per vent’anni, con una parentesi dedicata anche all’insegnamento, in istituti professionali dove erano stati aperti settori specifici dedicati appunto alla moda. Tutto questo con sua soddisfazione personale, a fianco di grandi firme, che però - dice la Tani - sono andate sempre più depauperando la loro catena produttiva. Per fortuna lei ha sempre avuto una valvola di sfogo, è passata da un figurativo di forte espressività alle esperienze degli ultimi anni - dal 2015 e 2016 -, che lei stessa non sa se definire - se scultura, collage, pittura -, ma che certo sono - e questo lo diciamo noi - di grande suggestione, coinvolgimento visivo ed emotivo.

La Tani ama l’arte e il costume orientale, giapponese, zen. Lo venera come suggerimento di vita, di esperienza, e questo si vede nel suo lavoro, ma anche nel suo bellissimo studio, dentro l’antica Fornace Cioni Alderighi di Montelupo.

Siamo in uno spazio che diventerà straordinario, anche se per il momento l’artista vive in forzato isolamento. “Sono il fantasma della fornace” - lei dice scherzando, ma anche raccontandoci di una serie di compagni, in un viaggio espressivo, dedicato al teatro, alla danza, alla ceramica. Ognuno, per motivi diversi, ha lasciato quello spazio, che è del Comune e per il quale sono stati realizzati una serie di progetti che presto lo vedranno attivo, in un percorso legato soprattutto all’apprendimento dell’arte della ceramica. Quel luogo del resto era da sempre è stato questo, una

fabbrica di manufatti ceramici: ci sono ancora le vasche, i forni, le scritte dei decoratori sopra le pareti. Tutto racconta di quest’arte, presente a Montelupo da più di cinque secoli. A Montelupo c’è del resto un’importante Festival della Ceramica e un Museo, a pochi passi dallo studio della Tani.

Tra l’altro, un paio di strade più in là, quasi vent’anni fa, nel 2003, io ho organizzato la bellissima antologica di Stefano Grondona, artista di grande talento, incontrato nei miei anni genovesi. Alla mostra era dedicato un libro, intitolato “Il teatro della mente”, Titivillus 2003, a cura di Sergio Noberini, suo amico e divulgatore. Grondona era un uomo davvero particolare, in quel libro c’era anche un mio saggio e stupende foto fatta all’artista, fatte durante gli incontri che avevo avuto con lui.

Ma perché Grondona e perché parlarne ora? Per la sua lunga permanenza nell’Ospedale psichiatrico di Montelupo, ma soprattutto per l’uso delle carte ritagliate e sovrapposte, che me l’hanno riportato alla memoria, entrando nello studio di Serena Tani.

Il lavoro della Tani è infatti quello di una manipolatrice della carta: le più banali, quotidiane, addirittura quelle assorbenti, che si getterebbero appena usate, le offrono il contesto per la creazione di opere bellissime, di formidabile suggestione.

Di Grondona non ha naturalmente la “follia”, un po’ maniacale, ma gli assomiglia proprio per la moltiplicazione del materiale, strappato o tagliato che sia, con risultati che nella loro potenza, ma anche nella loro semplicità, assomigliano alla bellezza dei giardini giapponesi, dove la disposizione delle pietruzze è un’operazione di notevole forza espressiva ed è prossima all’armonia che, nonostante tutto, nonostante i disastri provocati dall’uomo, governa ancora l’universo.

La Tani è alla ricerca della Leggerezza, sia nel senso che c’è la leggerezza nell’ispirazione stessa delle sue opere, ma la leggerezza è anche il contrario della pesantezza. Le sue opere sono appunto questo, un fumo bianco, un grande lenzuolo che ci avvolge, mostrandoci però anche la strada.

Lo studio tra l’altro assomiglia molto ai vecchi edifici industriali, dismessi e utilizzati, come spazi di vita, abitazioni. Ne conosciamo molti, negli Stati Uniti, ma oggi anche nelle immediate periferie delle nostre città, persino qui da noi in Italia.

Si è passati dalla perversa decisione di abbattere i segni di un passato anche recente, per sostituirli con abitazioni quasi sempre orrende, a una politica di maggiore civiltà, che ha fatto recuperare opere di grande pregio e soprattutto memoria.

Serena è appunto “il fantasma” di un luogo bellissimo, che si apre nel cerchio delle antiche mura. In questo luogo l’artista crea le sue opere, che spesso sono interventi di riutilizzazione di materiali, carte soprattutto, ma anche antichi scarti di ceramica. Qualche mese fa, proprio negli spazi che circondano il suo Studio, ha ad esempio creato un bellissimo pavimento di piccoli pezzetti di manufatti, portati da persone comuni o regalati da quattro o cinque fabbriche del paese. Pezzetti di ceramica, che ha messo insieme, quasi fossero un mandala tibetano.

Quando Serena lo ha realizzato, con una effettiva partecipazione della gente, l’assessore alla cultura di Montelupo, Aglaia Viviani, ha notato come l’opera della Tani fosse al centro “fisicamente e anche metaforicamente di un cantiere di arte contemporanea sul quale il Comune lavora da anni”.

In effetti l’artista riesce a creare situazioni di notevole concettualità espressiva, che però possono essere anche lette nella maniera più semplice. Serena mi racconta addirittura di una esposizione all’interno di un piccolo nido per l’infanzia, i bambini da zero a tre anni hanno saputo apprezzare il suo lavoro, che è sceso al grado minimo di comprensibilità, senza per questo perdere di forza e di spessore.

Scriviamo questo perché l’artista da sempre riesce egregiamente a mettersi in gioco. Sia in mostre, aperte alla più alta “cultura dell’arte” (penso ad esempio alla lunga collaborazione con Roberto Milani e la Casa d’Arte San Lorenzo), sia in interventi di carattere più popolare, come Mercantia, l’eccezionale kermesse di Certaldo, dove centinaia di artisti vengono fagocitati da una specie di macchina infernale, con migliaia di persone che consumano tutto ciò che gli capita sott’occhio.

Anche le carte di Simona Tani, appunto, che per più anni è stata presente con i suoi interventi, sul “palcoscenico” di Certaldo Alta. In particolare ha creato un bellissimo Angelo, un paio di grandi ali appese all’interno della chiesa di San Tommaso e Prospero, vicino al Tabernacolo dei Giustiziati di Benozzo Gozzoli, quello “strappato” dai pressi del torrente Agliena.

Le ali dell’Angelo hanno stupito e sconcertato chi le ha potute ammirare, anche perché la Tani le ha realizzate utilizzando - con splendida manualità - della semplicissima carta igienica. Un “incontro - dice la Tani - con una materia viva all’apparenza fragile, invece resistente e duttile”, con la luce “che si posa a gratificare il tatto”.

Serena ci appassiona, è circondata dal bianco abbacinante della parete, che copre le tracce degli anni e del lavoro, o meglio più che coprirle le mette sotto una nuova luce, le fa diventare esse stesse opera d’arte; su queste pareti si aprono altre opere, altre carte, anch’esse bianche, spesso sovrapposizioni di colori che vanno dal bianco latte all’avorio, fino a qualche chiarissimo bruno, un cromatismo ai minimi termini, che ben si apparenta, creando una musica minimale, in una semplicità oggi amata da molti, che aborriscono il caos della contemporaneità.

Quando sto per andarmene vedo, appoggiato alla parete, sotto altre opere, qualcosa che invece conserva tracce di colore. Chiedo lumi, e Serena, con la consueta semplicità mi dice: “Sì ho fatto anche esperimenti di questo tipo, lavori con un maggiore uso del colore, di forte impatto cromatico, ma li tengo nascosti”.

Chiedo di vederli, di fotografarli, lei tira fuori un grande quadro e me lo mostra: a me sembra bellissimo, è la sovrapposizione di piccoli foglietti di carta, appesi solo per il lato più alto, il gioco dei colori ha - anche stavolta - una grande armonia, sebbene non vi sia alcun risparmio, c’è l’intera gamma cromatica rappresentata, a partire da un rotolo di scottex che, che si sa, ha particolare capacità di assorbimento.

Il risultato finale è un’opera di fascino sorprendente; di fronte a noi un’artista che sta lavorando sulla sottrazione, ma i cui conti, le somme rappresentate dalle sue opere, mostrano un bilancio più che positivo. Dovremo certo seguirla ancora.

Cronaca di Andrea Mancini

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