Ecco di seguito un intervento, in occasione della Giornata internazionale della donna, della Presidente del Consiglio Comunale di Certaldo, la dottoressa Romina Renzi.
Provengo da una nonna materna che veniva chiamata “massaia” da suo marito. Vedova a causa della guerra si è dovuta risposare, succube dei pregiudizi del tempo, che vedevano con poca speranza le donne sole con figli ai fini della loro sopravvivenza e conduzione di una vita dignitosa. Durante la guerra ha allattato figli di altre donne che per i traumi subiti non avevano ormai più latte, combattuto contro ogni tipo di pretesa dei militari che invadevano e importunavano i civili raccolti nei rifugi, prepotenti nel voler soddisfare ogni loro bisogno, ha continuato a lavorare i campi tra una bomba e l’altra, la notte anziché il giorno, pur di contribuire alla sopravvivenza in tempi di guerra di anziani, bambini e altre donne. E’ stata forte compiendo gesta per le quali ho sempre nutrito ammirazione. Mio nonno la chiamava “Massaia” e le rivolgeva parole solo in merito alla conduzione della casa per informarlo se lei avesse portato a termine le molteplici commissioni domestiche; tacitamente la nonna portava avanti ogni aspetto di quella famiglia e non solo le faccende domestiche! Ma niente le veniva riconosciuto e lei resisteva nonostante la sua consapevolezza del sé. Mia nonna non aveva la patente, lavorava nei campi ininterrottamente ma allo stato civile risultava coniugata e casalinga. Era una donna degli anni ‘20.
Mia madre, divorziata e grande lavoratrice. Sono nata da una donna che stava divorziando da mio padre, una grande lavoratrice che nonostante i pregiudizi che aleggiavano intorno alla sua figura poiché donna sola, divorziata – il divorzio disonorava la famiglia del marito-, è andata dritta per la sua strada crescendo me e mio fratello. Questa donna è diplomata, è patentata, ha sostenuto da sola il carico della famiglia e gestito egregiamente gli affari economici. Una giovane ragazza negli anni 70. Nel 2000, nonostante i pregiudizi sulle famiglie allargate e miste, si è riaccompagnata con un uomo che ha accettato e cresciuto i figli di lei come fossero i suoi. E’ proprio vero, i genitori sono quelli che ti crescono.
Ed eccomi qua, io, una donna di 34 anni, laureata, con più titoli che capelli, proiettata nella consapevolezza che per posizionarmi nel mondo del lavoro sfruttando i miei titoli di studio, ho dovuto tacitamente sacrificare la parte di me, come dire più “affettivo-sentimentale”, per paura di distrazioni lungo il percorso di crescita accademica e lavorativa. Difatti crescevo con la consapevolezza che il percorso di carriera per una donna che fa figli è molto più complesso, e le probabilità di successo sono minori. Ebbene ho scoperto che questa domanda è corrente nella maggior parte delle giovani donne, si insinua automaticamente e all’incirca recita: “scelgo di continuare gli studi, andare all’università, sognare e impegnarmi per raggiungere la posizione lavorativa per cui mi sento portata o comincio a lavorare per dare spazio all’emisfero degli affetti e della famiglia?” Ho taciuto per anni sull’essermi posta questa domanda e nell’aver dato una risposta, quasi per vergogna, poi negli anni ho scoperto l’automatismo di questa domanda e oggi, approfitto della mia carica per denunciarla. Le giovani donne si fanno questa domanda. E’ una domanda che un giovane uomo non si pone.
Attualmente lavoro, sono presidentessa del Consiglio Comunale di Certaldo, continuo a studiare, ma non sono sposata e non ho figli, passo oltre, scanso e salto ogni forma di pregiudizio sulle donne sole non sposate senza figli con “solo” una posizione sociale e lavorativa.
Mi ritrovo con una partita iva, con tante domande sul futuro e sull’esistenza di sussidi qualora il mio lavoro dovesse diminuire per dedicarmi finalmente alla realizzazione della tanto desiderata famiglia. La situazione attuale a riguardo non è piacevole. Pertanto quella domanda ancora persiste dentro di me, ma questa volta è più impaziente.
Apro il cassetto dei sogni e al primo rigo del mio taccuino vi è questo: “Voglio essere libera di essere”. Lasciatemi, anzi lasciateci, libere di scegliere e di non scegliere!Liberateci dall’automatismo di quella domanda! Voglio e vogliamo essere libere di realizzarci in ogni nostra forma senza dover sacrificare niente, senza dover attendere niente: vogliamo solo essere.
Mi rivolgo alla gente dei pregiudizi affinché si svegli e veda il mondo con nuovi occhi lontani da canoni imposti di “bellezza” “stabilità” rigidi e restrittivi proprio al fine dell’esplicazione della donna in ogni sua parte e forma. Mi rivolgo alla nostra politica nazionale, affinché si presti a considerare ogni forma di struttura, investimento, incentivo diretta all’annullamento di quella fatidica domanda e apra le gabbie culturali e sociali in cui sono intrappolate le donne e il loro voler essere.
La storia nel mio piccolo mondo insegna che abbiamo fatto passi da gigante grazie alla sensibilità di sane politiche di sinistra, ma dobbiamo proseguire affinché le donne siano libere di essere ciò che più soddisfi le loro ambizioni personali, lavorative e sentimentali, senza che trovino ostacoli nella realizzazione di ogni loro profilo.
Non voglio smettere di lottare per le donne, e approfitto del mio ruolo per dare voce a tutte, e nel mio piccolo, da qui in poi, visto che ogni piccola forma di lotta e contestazione ha valore perché contribuisce al cambiamento, darò ordine che sui manifesti di convocazione del Consiglio Comunale di Certaldo sia indicato alla firma “La Presidente del Consiglio Comunale di Certaldo” un articolo determinativo apostrofato al femminile simbolo del grido di ogni donna “lasciateci liberamente essere”.
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