Lia Sara Millul, i ricordi donati al Museo della Deportazione di Prato

Ultimo appuntamento per il Giorno della Memoria lunedì 1 febbraio alle 18 sui canali YouTube e Facebook del Museo della Deportazione e Resistenza di Prato con la tragica storia, in parte pratese, dal titolo Lia Sara Millul - il destino di una fuga. Pisa, Prato, Firenze, Auschwitz.

E proprio il figlio dell’amica pratese di Lia Sara, Anna Caterina Dini, l’attore Roberto Visconti, questa mattina ha donato è al Museo della Deportazione alcune foto e la ciocca di capelli gelosamente conservati dalla madre. Ad accoglierlo la direttrice del Museo pratese Camilla Brunelli e l’assessore alla Cultura del Comune di Prato Simone Mangani.

“Mi madre parlava di Lia Sara come di una ragazza, di un’amica, colta, sensibile e bellissima, dentro e fuori - racconta Visconti - I suoi ricordi ancora mi circondano nella casa di Prato, perché dormo nella camera di mia madre, che è mancata dieci anni fa. Ma volevo che andassero al Museo, perché fossero vivi non solo per me ma per tutti.” Fra i doni anche la foto del fidanzato di Anna Dini, Goffredo Paggi, anche lui deportato ad Auschwitz con lo stesso treno, partito da Milano il 30 gennaio 1944, su cui fu fatta salire Liliana Segre.

“Siamo grati per questi oggetti così importanti che arricchiscono il racconto della tragica vicenda di Lia Sara. Cercheremo di valorizzarli, integrandoli al racconto che sempre facciano ai nostri studenti”, ha aggiunto Camilla Brunelli.

A raccontare in streaming la storia di Lia Sara, all’interno di un quadro più ampio sulla deportazione degli ebrei da Firenze, sarà la storica Marta Baiardi, membro del Comitato scientifico della Fondazione pratese, che ha ricostruito le tappe della breve vita della giovane, anche grazie al lavoro di Michele Di Sabato. Lo storico pratese infatti rintracciò la famiglia Millul negli elenchi inviati dall’amministrazione comunale di Prato alla prefettura di Firenze e trovò anche la sua carissima amica, Anna Caterina Dini, che negli anni ’80 del secolo scorso ancora conservava i suoi bigliettini d’amore, alcune foto e una ciocca di capelli; tutti ricordi di Lia Sara, donati  al Museo dal figlio.

Lia Sara Millul era nata a Pisa nel 1924, ma la sua famiglia si era poi trasferita Prato. Il ritratto che l’amica Anna fa di lei parla di una ragazza simpatica, vivace e colta, che aveva però dovuto interrompere gli studi magistrali a causa delle leggi razziali, e che sembra avesse legato con un ragazzo di Prato, Renato Calamai.

I Millul arrivano a Prato da Pisa il 16 settembre 1941, il padre Gino, la madre Giulia Luzzatti, la figlia maggiore Lia Vittoria Sara e il figlio minore Elio David. Abitavano all’inizio di via Zarini, nella casa annessa alla Manifattura del Bisenzio, dove lavoravano padre e figlia.

Alla fine del 1943 però, quando gli arresti diventano sempre più una minaccia concreta, Lia Sara decide di nascondersi a Firenze, mentre il padre riesce a sottrarsi alla cattura a Prato e il fratello si salva in un collegio a Livorno. Trova rifugio presso il convento delle suore francescane missionarie di Maria in piazza del Carmine a Firenze, dove diverse decine di donne e bambini avevano trovato protezione.

Giorgio Nissim, ebreo pisano il cui impegno e coraggio hanno contribuito a salvare decine di vite ricorda Lia Sara nelle sue memorie come una ragazza intelligente e di sentimenti elevati, che aveva promesso di assisterlo nella sua attività clandestina. Nissim alla fine arriva a Firenze per incontrarla quando già il destino si è compiuto per le donne di piazza del Carmine.

La notte del 26 novembre 1943 infatti nel convento fecero irruzione i nazisti e i militi fascisti della Repubblica sociale italiana, la famigerata “banda Carità”. Furono giorni di violenza ed angherie. Donne e bambini, tra cui Lia Sara, rimasero prigioniere al Carmine per quattro giorni. Fino alla sera di martedì 30 novembre, quando, fra lacrime e disperazione, avvenne la loro partenza con un grosso camion per Verona.

Il 6 dicembre 1943 Lia Sara, insieme alle altre, fu messa su un treno per Auschwitz. Nessuno si salverà. Per anni Gino Millul ha pianto la figlia senza mai farsene una ragione.

Fonte: Ufficio stampa

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