Covid, smartworking più esteso in Toscana sottrarrebbe 400mila pendolari

36,2% - Sono i toscani che potenzialmente potrebbero lavorare in remoto: si tratta perlopiù di professioni di tipo cognitivo, impiegatizie, legate alla finanza, alla ricerca ed alla formazione.

Ciò alleggerirebbe il sistema di trasporto della Regione Toscana di 400.000 pendolari, il 76% dei quali in macchina; notevoli i benefici in termini di incidentalità, inquinamento e congestione stradale.

18,5% - Sono gli italiani che, all'apice del lockdown, hanno lavorato da casa per almeno alcuni giorni. Prima della pandemia, invece, solo il 4,9% svolgeva la propria professione da remoto.

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In una precedente nota abbiamo analizzato quali sono le attività che possono essere svolte in modalità agile e quanti sono i lavoratori coinvolti, utilizzando l’Indagine INAPP sulle professioni (ICP) per individuare le professioni potenzialmente svolgibili da remoto e i dati dell’Indagine sulle Forze Lavoro ISTAT per quantificarne il peso in termini di occupati. Il gruppo delle professioni potenzialmente eseguibili da remoto comprende in Toscana 481.622 occupati, pari al 32,6% del totale, una percentuale nettamente superiore a quella che, secondo l’Indagine Istat sulle Forze Lavoro, lavorava abitualmente o saltuariamente da casa prima dell’emergenza sanitaria (4,9% nel 2018).

Le professioni individuate come potenzialmente eseguibili in modalità lavoro agile sono di tipo cognitivo (89,4% del totale), basate sul lavoro d’ufficio, sull’uso del PC, della posta elettronica e del telefono; si tratta di professioni caratterizzate da frequenti interazioni con colleghi e superiori, in cui le relazioni umane sono importanti, ma in parte mediabili con le tecnologie. Le professioni tipiche del gruppo sono quelle impiegatizie, quelle impegnate negli sportelli bancari e assicurativi e gli insegnanti, i ricercatori e i professori universitari.

La sperimentazione forzata di questa modalità di lavoro per una componente rilevante degli occupati regionali indotta dalla fase emergenziale ha d’altro canto suscitato un rinnovato interesse, anche aldilà delle necessità legate al contrasto della pandemia, tanto che sembra prospettarsi anche a regime un diffuso maggiore ricorso alla prestazione di lavoro da remoto. Tra gli aspetti potenzialmente più interessanti connessi ad una maggiore adozione dello smart working vi è sicuramente la riduzione del carico sul sistema regionale di mobilità.

Sappiamo infatti che le infrastrutture di trasporto regionali sono sottoposte quotidianamente ad un forte stress e al rischio di saturazione proprio in corrispondenza degli orari di inizio e di termine dell’attività lavorativa, con circa 1,5 milioni di lavoratori che ogni giorno escono dalla propria dimora per recarsi sul luogo di lavoro, dei quali il 32% al di fuori del proprio comune e il 12% al di fuori della propria provincia. Tale stress è sicuramente più forte in prossimità dei comuni capoluogo di provincia, dove sempre di più tendono a concentrasi le opportunità lavorative, mentre al contempo la competizione per gli spazi urbani e l’aumento del costo delle abitazioni spinge la residenza lontano dai centri urbani, alla ricerca di minori costi e maggiore qualità della vita.

Un ricorso diffuso al lavoro da remoto (probabilmente limitato a parte della settimana lavorativa e non esteso come durante la situazione di emergenza sanitaria) potrebbe quindi fornire una parziale soluzione alle situazioni di congestione del sistema infrastrutturale, impattando inoltre in maniera positiva sulla riduzione delle esternalità negative legate al trasporto (inquinamento, incidentalità, rumore, congestione).

La quantificazione di tali impatti necessita, però, di un dettaglio informativo territorialmente più disaggregato rispetto alle analisi condotte nella nota sopra ricordata, la cui significatività riusciva a spingersi poco oltre il livello regionale. Per consentire una maggiore disaggregazione territoriale dell’analisi sono stati quindi utilizzati congiuntamente i dati dell’ultimo censimento della popolazione (per la matrice di spostamenti pendolari per motivi di lavoro) e quelli della banca dati Archimede di ISTAT (per l’aggiornamento dei livelli di pendolarismo per comune); a questi è stata aggiuntal’informazione relativa alla telelavorabilità attraverso una imputazione probabilistica basata su alcune caratteristiche individuali.

Il risultato consente di ottenere una mappatura regionale degli spostamenti (con il dettaglio della distanza percorsa, del tempo impiegato e del mezzo utilizzato) degli occupati potenzialmente telelavorabili e non. Per validare la coerenza della procedura di stima rispetto al dato originale, confrontiamo l’incidenza delle professioni telelavorabili e non telelavorabili sul totale per ciascun settore di attività, come risultano dalla stima sui dati ICP e Indagine Forze Lavoro e dalla procedura di imputazione sui dati territorializzati di fonte Censimento e Archimede .

Le differenze nei due tipi di professioni che si riflettono nei settori economici, si mantengono sostanzialmente stabili nelle due diverse procedure, consentendoci di procedere nell’analisi con
confidenza nella qualità del dato stimato. In alcuni settori dei servizi (Servizi di informazione e comunicazione, Attività finanziarie e assicurative, Amministrazione pubblica e difesa assicurazione sociale obbligatoria, Istruzione, sanità e altri servizi sociali) la telelavorabilità riguarda ben oltre la metà degli occupati, mentre in altri settori, come l’agricoltura, le costruzioni e il comparto alberghiero-ristorativo, prevalgono nettamente le professioni non telelavorabili.

In particolare, l’imputazione si basa su una regressione logistica svolta sui dati delle Forze di Lavoro Istat, cui l’appartenenza al gruppo telelavorabile/non telelavorabile è spiegata dal genere, il titolo di studio, la cittadinanza, il settore di attività economica e il gruppo professionale.

Le aree urbane – corrispondenti in larga parte ai SLL incentrati sui comuni capoluogo di provincia – sono quelle che mostrano una maggiore potenzialità di ricorso al lavoro agile, per la presenza di attività dei servizi avanzati e della pubblica amministrazione locale e centrale (Firenze, Pisa, Siena). Su livelli inferiori si attestano invece le realtà urbane con una forte presenza di aree distrettuali (Arezzo, Lucca, e ancor più Prato e Pontedera), mentre in coda all’ordinamento troviamo i SLL della Toscana del sud a prevalenza agricola e turistica.

L’utilizzo dell’informazione legata agli spostamenti pendolari consente qualche considerazione a proposito dell’impatto che il ricorso al lavoro agile può avere sul sistema della mobilità regionale. Limitando l’analisi ai flussi interni al territorio regionale (che trovano quindi sia origine che destinazione nei comuni toscani), si potrebbe ridurre di circa 400.000 unità il numero di pendolari che insistono quotidianamente sul sistema di trasporto toscano. Di questi, circa il 76% utilizza abitualmente il mezzo proprio per lo spostamento (una propensione leggermente inferiore alla media complessiva), traducibile, utilizzando un tasso di occupazione medio di 1,1 passeggeri per veicolo come da dati censuari, in circa 300.000 veicoli (270.000 auto e 30.000 moto) in meno sulle strade regionali e in circa 50.000 utenti medi giornalieri in meno sui mezzi pubblici.

Un ulteriore effetto rilevante del lavoro da remoto è il risparmio del tempo impiegato quotidianamente per lo spostamento casa/lavoro (Tabella 5). La distribuzione dei bacini di pendolarismo rende tale misura leggermente superiore alla media per le professioni potenzialmente telelavorabili (42 minuti al giorno contro i 38 delle professioni non telelavorabili). Tale valore è ovviamente correlato al raggio dello spostamento e assume valori inferiori per gli spostamenti interni ai comuni, fra i quali però i comuni capoluogo di provincia mostrano valori tendenzialmente più elevati, a causa prevalentemente della diversa proporzione di utilizzo dei mezzi (si tende ad utilizzare in misura minore il mezzo proprio).

Gli spostamenti interni ai comuni rappresentano poco più della metà del totale degli spostamenti pendolari connessi alle professioni potenzialmente telelavorabili (circa 230.000 individui su 433.000), con una incidenza maggiore dei comuni capoluogo di provincia. La maggiore distanza media è confermata anche dalla maggiore quota di spostamenti che travalicano i confini provinciali.

La riduzione delle necessità di spostamento si porta inoltre dietro come conseguenza la riduzione delle esternalità negative connesse ai trasporti, in particolare di quelle derivanti dal trasporto stradale con mezzo proprio, che risultano essere le più rilevanti sia perché si tratta della modalità di trasporto più diffusa che per il fatto di essere la modalità più impattante per passeggero-km trasportato. Utilizzando i coefficienti suggeriti dalla commissione europea per la quantificazione dei costi esterni è possibile sia quantificare in maniera grossolana il potenziale beneficio in termini di riduzione attesa del fenomeno (per incidentalità, inquinamento atmosferico, emissione di gas climalteranti e congestione) sia darne una valutazione di tipo economico in termini di costi evitati.

Ipotizzando uno smart working basato su metà settimana sul luogo di lavoro e metà a casa, ad esempio, possiamo stimare una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 192.500 tonnellate su base annua (pari approssimativamente al 3% delle emissioni di CO2 da trasporto della Toscana). Simili stime sono riportate nella tabella 7 anche per le altre tipologie di esternalità.

L’utilizzo del censimento della popolazione e della base dati Archimede di Istat ha permesso di stimare la presenza su base comunale degli occupati in professioni telelavorabili, evidenziando la diversa distribuzione nei sistemi locali regionali, dipendente dalle varie specializzazioni produttive. Sono i capoluoghi di provincia e soprattutto Firenze, Pisa e Siena a mostrare la maggior concentrazione di potenziali smart workers, spesso residenti in altri comuni toscani.

Attuare il lavoro agile nella misura della potenzialità espressa dalla varie professioni significherebbe ridurre di circa 400.000 unità il numero di pendolari che insistono quotidianamente sul sistema di trasporto toscano.

Tuttavia, le prime indagini volte a capire l’effettivo utilizzo del lavoro da remoto nelle imprese toscane durante l’emergenza sanitaria suggeriscono una portata del fenomeno significativamente ridotta rispetto alle stime del potenziale. Secondo i dati riportati da Istat , nel pieno del periodo di lockdown (aprile 2020) hanno lavorato da casa, almeno alcuni giorni, il 18,5% degli occupati italiani, una percentuale quattro volte superiore a quella di gennaio, ma ben inferiore alla nostra stima potenziale. Una quota ancora più bassa è quella dichiarata dalle sole imprese private (8,8% in media del personale nei mesi di marzo-aprile in Italia e 7,7% in Toscana), come emerge dall’indagine “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19.

I primi dati sul ricorso allo smart working durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria sembrano quindi indicare che la possibilità di lavorare da remoto non dipende solo dalla telelavorabilità delle professione che si svolge, ma anche dalla propensione dei datori di lavoro, dalla capacità di mettere in campo soluzioni informatiche e organizzative e dal livello di competenze digitali dei lavoratori.

Capire meglio quali siano stati i fattori che determineranno in concreto l’attivazione di posizioni di smart working consentirà la costruzione di scenari più realistici per la stima degli impatti anche in termini di mobilità, e costituirà pertanto un futuro approfondimento da parte dell’osservatorio COVID dell’IRPET nel corso dei prossimi mesi.

Fonte: Irpet

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