Cinque condanne per la morte di Duccio Dini. È la decisione presa dalla corte d'assise di Firenze, dopo circa cinque ore di camera di consiglio. Il processo per la morte del 29enne travolto da un'auto impegnata in un inseguimento tra cittadini nomadi il 10 giugno 2018 a Firenze, vede anche l'assoluzione di due imputati, Kole Amet ed Emin Gani, che si trovavano su un furgoncino che aveva partecipato solo a una fase iniziale dell'inseguimento perché si era poi bucata una ruota.
La pena più alta inflitta è di 25 anni e 2 mesi di reclusione a Kjamuran Amet che doveva rispondere anche di tentata violenza privata. Il pm aveva chiesto la condanna di tutti e sette gli imputati, a pene da 22 a 9 anni di reclusione. Una pena di 25 anni è stata inflitta poi agli altri quattro condannati: Remzi Amet, Remzi Mustafa, che era alla guida della Volvo che travolse Dini, Dehran Mustafa e Antonio Mustafa
Gli imputati erano accusati di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Duccio Dini e di tentato omicidio di un cittadino rom, che era l'obiettivo dell'inseguimento legato a un regolamento di conti.
Il padre Duccio: "Pagano per quanto hanno fatto"
Luca Dini, padre di Duccio, commenta la sentenza di condanna per 5 dei 7 imputati per la morte di suo figlio: "Se uno compie un reato deve pagare per quello che ha fatto". "La sentenza ci soddisfa, per quanto si può essere soddisfatti, perché è un bel segnale".
All'uscita dell'aula bunker, dove si è svolto il processo davanti alla corte d'assise, la famiglia Dini è stata accolta da un lungo applauso degli amici di Duccio. "Le sentenze giuste a volte sono quelle più severe", il commento dell'avvocato Neri Pinucci, legale dei genitori di Duccio Dini. "Sentenza importante, che ha inasprito le pene richiesto dal pm, non c'è da esultare ma solo da essere vicini alla famiglia che stringiamo in un abbraccio" ha detto il vicesindaco Cristina Giachi, presente in aula: Palazzo Vecchio si è costituito parte civile. Giachi ha anche spiegato che dopo la sentenza il sindaco Dario Nardella ha chiamato il padre di Duccio.
Nardella: "È stata fatta giustizia"
"Sono arrivate le pene in primo grado per i responsabili dell'omicidio di Duccio Dini. Non ho l'abitudine di commentare le sentenze, ma questo è un risultato che rafforza la nostra fiducia nella giustizia. Oggi, proprio come nei mesi passati, siamo stati vicini alla famiglia e agli amici di Duccio. Ringrazio le forze dell'ordine, i magistrati, gli avvocati del Comune e delle altre parti civili per il grande impegno. Anche se non serve a lenire il dolore, è stata fatta giustizia". Così, su Fb, il sindaco di Firenze Dario Nardella dopo la sentenza di condanna per cinque degli imputati per la morte di Duccio Dini, 29 anni, che mentre era sul motorino a un semaforo rosso venne travolto e ucciso da un'auto impegnata in un inseguimento tra nomadi il 10 giugno 2018.
La vicesindaca Giachi: "Sentenza esemplare"
“Una sentenza esemplare, che è stata un segnale importante per la famiglia. Non c’è da esultare, ma a nome del sindaco, che ha parlato col padre subito dopo la lettura della sentenza, e di tutta la giunta ho espresso alla famiglia la nostra vicinanza, e la consapevolezza che oggi le istituzioni hanno esercitato pienamente la loro funzione”. Così la vicesindaca Giachi commenta la sentenza del processo per la morte di Duccio Dini, il giovane travolto e ucciso a 29 anni, il 10 giugno 2018 in via Canova all'Isolotto, da un'auto coinvolta in un inseguimento.
“Un grazie alla magistratura e all’avvocatura del Comune – ha aggiunto – per un processo che è stato condotto in modo esemplare. La giustizia non restituirà Duccio alla sua famiglia, e il male fatto non potrà essere cancellato, ma a quel male non sarà lasciata l’ultima parola”.
“Questa sentenza – ha proseguito la vicesindaca – riconosce che i gravissimi fatti criminosi esaminati in questo dibattimento hanno cagionato non solo morte e lesioni gravi a carico di innocenti cittadini ma anche provocato danni diretti e indiretti al Comune”.
“Il dibattimento ha dimostrato in modo efficace – ha sottolineato – che sono stati lesi gli scopi e le finalità assunti statutariamente ed istituzionalmente dall'amministrazione comunale, tesi a garantire il rispetto e la tutela delle persone e la pacifica convivenza sociale. E che è stato anche arrecato un grave danno a quel processo di integrazione ed inclusione sociale che, attraverso specifici percorsi di legalità, intende scongiurare, da un lato, fenomeni di devianza, e dall'altro, fenomeni e comportamenti discriminatori. Le ignomignose condotte dei condannati – ha rilevato – hanno vanificato in pochi minuti gli sforzi del Comune per il mantenimento di condizioni di pacifica convivenza nel tessuto cittadino. Senza poi dimenticare il notevole danno arrecato al senso di sicurezza dell'intera comunità”.
“Quel giorno – ha concluso la vicesindaca – ci fu una vera e propria spedizione punitiva condotta con piena consapevolezza delle conseguenze anche letali che avrebbe potuto causare. E questo la corte ha accertato”.
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