Coronavirus negli USA, parla il fiorentino David Parenti: “La crisi più grande dopo l’11 settembre”

Proseguono le testimonianze sull’emergenza Coronavirus dei toscani all’estero e in questo capitolo, gonews.it, si ricopre di stelle e strisce attraverso il racconto del fiorentino David, direttamente dagli Stati Uniti.

David Parenti nasce il 9 gennaio del 1981 a Firenze e si trasferisce in America all’età di 16 anni, con la mamma. Finisce gli studi con la laurea in Scienze della Comunicazione, specializzandosi in giornalismo e diventando a sua volta giornalista. Per molti anni ha lavorato nella sede newyorkese della Rai e ha collaborato per alcuni network americani. Oggi è producer e lavora ancora come giornalista freelance. David vive nello Stato di New York a Yonkers, nella periferia diretta di Manhattan situato nel nord del Bronx, al momento però si trova nello Stato del West Virginia, nella Capitale Charleston. Infatti, quando l’epidemia è arrivata negli Stati Uniti, il 39enne e la compagna si trovavano fuori casa e lì sono rimasti, dopo la dichiarazione dello Stato d’emergenza a New York avvenuta il 7 marzo 2020. Entrambi continuano a lavorare a distanza dalla casa di Charleston.

David ci ha descritto per questo due realtà completamente diverse, dalla situazione che ormai tutti conosciamo in cui New York è coinvolta, epicentro del Coronavirus negli USA, a quella del West Virginia dove si trova adesso, lo Stato americano con meno contagi. “È uno Stato con una bassa densità di popolazione per km quadrato che conta circa 1milione e 800mila abitanti, mentre solo New York City ne ha circa 8milioni e 400mila”. Emerge così la descrizione di due diverse americhe, quella di uno Stato rurale con una capitale come Charleston che contiene sui 50mila abitanti e quella di una realtà come la Grande Mela, affollatissima, caotica e avvolta dall’emergenza sanitaria.

Ripercorriamo le fasi del Coronavirus, dai primi casi fino a oggi. I dispositivi di protezione individuale si trovano?

Per quanto riguarda New York il Governatore Andrew Cuomo ha dichiarato l’emergenza il 7 marzo, dopo circa una novantina di casi positivi, e l’11 marzo anche le Università hanno chiuso le porte agli studenti, iniziando le lezioni online. Lo stesso giorno Cuomo ha chiamato la Guardia Nazionale per contenere l’epidemia a New Rochelle, sempre nella contea di Westchester poco lontano da casa mia, dunque abbiamo deciso di rimanere a Charleston” ha raccontato David.

“Il Governatore Cuomo è stato diretto, ha fatto sicuramente il possibile e da questa storia ne sta uscendo un po’ come un eroe. Il Presidente Donald Trump ha conferito, a livello federale, i poteri al Governatore così Cuomo sta diventando il simbolo di questa crisi. New York non era sicuramente preparata a un’emergenza del genere, la più grave per la città dopo l’11 settembre”.

“Il New York Times il 28 marzo – ha continuato – ha riportato i dati delle chiamate al 911, il numero per il soccorso. Quel giorno il sistema è andato quasi in tilt per la quantità di telefonate ricevute relative al Coronavirus, quasi 7mila in un giorno. In tutto questo caos dottori, infermieri e soccorritori non erano preparati né avevano la quantità adatta di protezioni, nonostante l’America avesse avuto l’esempio della Cina e poi dell’Italia. È stata una situazione difficile in cui Cuomo, (Democratico), ha chiesto supporto al Presidente Repubblicano Trump, che invece si è messo a fare giochi politici”, ma della rotta adottata dall’inquilino della Casa Bianca ne riparleremo più tardi.

“Per ottenere mascherine e gel disinfettante la gente ha viaggiato da stato a stato”. David ha inizialmente prodotto un gel ‘fai da te’ consigliato sul sito del Center Disease Control, “in seguito ho avuto fortuna e sono riuscito a procurarmi guanti, un flacone di gel e le mascherine”.

Non c’è l’obbligo di indossare la mascherina né le persone si trovano in isolamento domiciliare. Come ha continuato David però, “c’è la distanza di sicurezza e comunque, la maggior parte delle persone porta mascherina e guanti. Gli americani tendono a seguire molto le leggi, soprattutto nei momenti di crisi”. A oggi, a Charleston e New York, restano aperti i supermercati, i benzinai, le farmacie con orari ridotti e alcuni ristoranti che offrono il servizio take out. “Alle 20 di ogni sera scatta il coprifuoco e, tranne che per le emergenze, non si può uscire di casa. Nelle case di riposo, dove le visite dei parenti sono state bloccate, si sono organizzati e attraverso la tecnologia come le videochiamate riescono a mettere in contatto le famiglie con i propri cari”.

No all’autocertificazione, alla chiusura tra le mura di casa e all’obbligo dei dispositivi di protezione ma… “la polizia mi ha fermato – ha continuato. Stavo andando al supermercato quando un poliziotto mi ha bloccato poiché la mia macchina ha una targa newyorkese”. Infatti, nonostante il West Virginia sia all’ultimo posto in USA per numero di contagi, la prudenza del Governatore Jim Justice non è mai abbastanza. Posti di blocco dove si controllano auto straniere o strategie particolari per allontanare i forestieri, magari privandoli degli sfizi, come quella che ci ha ironicamente raccontato il fiorentino. Una volta arrivato al supermercato dopo l’Alt e il controllo, “mi sono avvicinato al reparto alcolici. Avevo intenzione di comprare una bottiglia di vino e una di grappa ma, una volta alla cassa, la commessa mi ha indicato un cartello dove c’era scritto che se non eri residente della Virginia Occidentale e se non avevi osservato la quarantena minimo 14 giorni, non potevi comprare alcolici… una specie di tattica per allontanare le persone”.

Che misure sono state adottate? Si parla già di possibili riaperture?

“Al momento tutti lavorano da casa. A New York gli uffici sono chiusi e chi è aperto deve essere in grado di far rispettare le distanze. Ci sono uffici che continuano l’attività, come la borsa a Wall Street, ma il personale è ridotto al minimo e il resto lavora in smartworking. Sulle possibili riaperture è tutto legato a Trump – ha dichiarato David spiegandoci che ci sono delle differenze sostanziali tra gli Stati, in base all’orientamento politico dei vertici. “In teoria sono i Governatori che hanno la decisione esecutiva a livello dei singoli Stati e quelli a rappresentanza Repubblicana, che vogliono rimanere in buoni rapporti con il Presidente Trump, stanno facendo il possibile per ripartire. Il West Virginia è un caso a sé” infatti, il Governatore Justice fu eletto sotto il profilo Democratico ma poi è passato all’ala opposta. Nonostante questo e i bassi numeri di casi positivi “non vuole assolutamente sentir parlare di riaperture, resta molto prudente”.

Ma gli USA, grandi e grossi come sono, presentano situazioni varie e differenti: “C’è crisi economica e c’è paura. In alcuni Stati ci sono state molte rivolte popolari – ha proseguito – come in Pennsylvania e nel Michigan. La maggior parte delle proteste sono state organizzate da gruppi di destra, spesso con dei legami con il Presidente degli Stati Uniti. Infatti la prima protesta in Michigan, avvenuta il 15 aprile, è stata organizzata da un gruppo di destra chiamato ‘Michigan Conservative Coalition’, legato alla campagna per la rielezione di Trump. Anche nello Stato della Georgia si pensa alla riapertura, sotto le decisioni del Governatore Repubblicano Brian Kemp. Dalle ultime notizie dei media mondiali, la Stato di New York puntava ad un allentamento previsto per il 15 maggio, previsione che inizia già ad essere smentita per il numero dei contagi e dei decessi ancora presente.

Tra i 50 Stati che compongono gli Stati Uniti, dunque, la gestione dell’emergenza sembra essere spesso influenzata dalla direzione politica, caratterizzata dall’eterno scontro tra Repubblicani e Democratici.

Quindi le decisioni sono state prese singolarmente da ogni Stato? È stata seguita una linea unitaria per l’emergenza?

“L’idea era quella di un organizzazione a livello locale, dove il Governatore avrebbe gestito la situazione con la continua coordinazione della Casa Bianca. È un tira e molla tra Governatori, Sindaci e direzione centrale dove emergono personalità di spicco come Cuomo a New York, che si trova a dover sbrigliare nodi come la mancanza di apparecchiature sanitarie negli ospedali quando, in teoria, dovrebbe intervenire il Governo Federale. Tante sono state le promesse della Casa Bianca, in alcuni casi mantenute e in altri no”.

Ai telegiornali è stata trasmessa la corsa alle armi dei cittadini. Perché in molti si sono procurati una pistola per far fronte al Coronavirus?

“Il West Virginia è uno Stato di campagna e le armi da fuoco sono usate per la caccia, quindi qui non ho notato la corsa alle armi. C’è stato comunque un incremento degli acquisti perché l’americano medio arriva spesso a toccare gli estremi. Per questo motivo, forse, le armi hanno fornito un senso di sicurezza di fronte alla paura per la pandemia”.  

Dopo l’assalto alla carta igienica gli americani hanno iniziato a comprare bidet, che hanno registrato un vero boom di vendite. Il Covid sta cambiando anche le abitudini negli USA?

“Metri e metri di enormi scaffali, dedicati solo alla carta igienica, completamente vuoti. Non avere il bidet ha spinto gli americani a procurarsi quanta più possibile carta. Due miei amici italiani che vivono a New York si sono fatti installare il bidet proprio in questi giorni di emergenza e come loro, molte altre famiglie.  Da italiano posso dire che il Paese, che si definisce e che effettivamente è il più progredito al mondo, non ha una cosa così essenziale ed è un’ironia pazzesca”.

Negli Stati Uniti questo 2020 caratterizzato dal Coronavirus prevede, al momento, un 3 novembre importante nel quale gli americani eleggeranno il Presidente, la Camera e un terzo del Senato. Si iniziano già a sentire varie ipotesi su come potrebbe essere andare a votare convivendo con l’epidemia, come quella di far esprimere i cittadini tramite posta.

La politica americana è seguita in tutto il mondo e differisce da quella a cui sono abituati gli italiani. Grosse campagne elettorali, dibattiti televisivi, slogan giganteschi in ogni dove e promo pubblicitarie. Una politica che punta a sminuire l’altro, come dimostrano gli studi, piuttosto che a descrivere di fronte all’elettore le proprie, possibili attraenti, qualità. Gli USA hanno quindi questo lato, di una politica molto sentita dai cittadini, seguita in televisione come fosse il Super Bowl e che, dall’avvento dell’era ‘Trumpiana’ ha scatenato non poche polemiche anche dai famosi personaggi di Hollywood, fermamente contro il Presidente Repubblicano. Quest’ultimo è protagonista quotidiano dei giornali a livello mondiale, o per aver ipoteticamente ignorato le comunicazioni sul Coronavirus che provenivano dall’estero prima dell’arrivo dell’epidemia, o quando inizialmente sminuiva il Covid fino alle ultime dichiarazioni sulle iniezioni di liquido disinfettante ed esposizione ai raggi ultravioletti che, qualche giorno fa, hanno fatto discutere tutto il planisfero.

L’approccio del Presidente Trump verso l’epidemia, dai primi contagi a ora, come è cambiato? Pensi che le misure siano state adottate in tempo?

“Dall’inizio di questa crisi il Presidente ha messo se stesso davanti a ogni cosa, con tono retorico e ripetitivo. È un anno particolare per via delle elezioni – ha continuato David – e Trump cerca sempre di dire quello che la gente vuol sentirsi dire. Affermava che non ci sarebbero stati cambiamenti drastici, che il Coronavirus era come un’influenza e che sarebbe presto andato via. Insomma, ha cercato di convincere il suo elettorato di non credere alla prevenzione”. Mentre l’Italia registrava il suo primo caso il 21 febbraio e la Cina continuava a lottare, l’epidemia negli Stati Uniti “era in secondo piano. Invece di sbrigarsi, prendere precauzioni dal punto di vista logistico, accumulare materiale e preparare gli Stati, regnava l’indifferenza. Tutto questo avrebbe potuto contenere l’epidemia a New York e in tutto il Paese”.

“Intanto – ha incalzato il 39enne – sono continuate e continuano oggi le conferenze stampa in simbiosi con i suoi tweet isterici e narcisistici. Per Trump questa poteva essere un’occasione in cui comportarsi in maniera presidenziale, prendere le cose sul serio, dare la parola agli scienziati e così avrebbe potuto gestire a suo vantaggio questa situazione in vista delle elezioni. Tutto era quindi a favore del Presidente che “è comunque riuscito a toppare tramite la sua mancanza di tatto, per non parlare delle Tasks Forces dedicate al Coronavirus che ha eretto alla Casa Bianca – ha continuato il fiorentino – la prima composta da Mike Pence, Vice Presidente degli Stati Uniti. Una persona che non crede nella scienza e che pensa che le preghiere siano il vaccino contro l’aids. Il secondo elemento che si occupa dell’emergenza, in un’altra task force dedicata alla pianificazione dei centri per svolgere i test sul Covid-19 e distribuzione delle forniture mediche, è il genero di Trump, Jared Kushner. Quest’ultimo non ha nessuna competenza e penso che sia tremendamente offensivo, visto che esistono persone qualificate, anche nello stesso partito. Gli Stati Uniti hanno superato il milione di contagi… e il Presidente pochi giorni fa ha consigliato di iniettarsi o bere disinfettante. Il giorno dopo ha cercato di smentire, dichiarando che aveva detto una cosa del genere in maniera sarcastica per provocare i giornalisti di sinistra… nonostante questo il ‘trumpiano’ medio sembra  invasato, come se avesse bevuto una pozione. Per queste elezioni era arrivata l’ora della verità ma Joe Biden, (candidato Democratico in corsa alle elezioni presidenziali) è al momento fermo e in svantaggio pazzesco nella campagna elettorale”.

Com’è adesso la situazione dal punto di vista sanitario?

“In posti come New York sono ancora abbastanza in difficoltà e in confronto a una realtà come il West Virginia nasce un paragone che da l’immagine di due americhe completamente diverse - ha continuato David. A New York ci sono ancora grossi problemi, non si trovano dispositivi di protezione, continuano le proteste da parte dei sanitari e nessuno si sente a suo agio. In West Virginia, dove il Governatore crede ancora nelle misure di contenimento e non nella riapertura, hanno ricominciato con le operazioni chirurgiche non emergenziali”.

Gli Stati Uniti, come ben sappiamo, prevedono un’organizzazione sanitaria molto diversa da quella italiana. Infatti se non stipuli un’assicurazione privata, poiché tutta la sanità statunitense poggia su basi privatistiche contrariamente alla sanità pubblica italiana, non ti puoi curare. Non è comunque semplice come sembra, poiché non è detto che stipulando la polizza si possa accedere ad ogni tipo di cura. Inoltre, il sistema varia da stato a stato insieme ai costi. Durante il suo mandato, l’ex Presidente Obama puntò con la riforma sanitaria ‘Obamacare’ del 2010 a coprire tutti i cittadini di una polizza di assicurazione. Negli Usa vige quindi un meccanismo completamente diverso da quello italiano, dove il Sistema Sanitario Nazionale è ‘universalistico’ e dunque, tutti i giorni ma specialmente nell’emergenza sanitaria in corso, risulta avere una copertura estremamente maggiore per i cittadini, poiché si dedica a chiunque ne abbia bisogno.

Sono stati erogati aiuti finanziari alla popolazione? A chi e in che modo?

Sì, ai disoccupati sono stati erogati dei sussidi. Per l’emergenza Coronavirus è in vigore il programma ‘Cares Act’ (The Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act), parte dell’iniziativa dello ‘Stimulus Package/Plan’. Si tratta di pacchetti di aiuti partiti il mese scorso, tramite assegni per i cittadini in difficoltà e senza lavoro, calcolati in base al reddito lordo rettificato.

Il ‘Cares Act’, firmato da Donald Trump, è il più grande intervento finanziario emesso nella storia degli Stati Uniti, da 2 trilioni di dollari (2mila miliardi), per provvedere all’assistenza delle persone colpite economicamente dal Coronavirus”. Questa manovra prevede la suddivisione dei fondi destinando 560 miliardi alle persone in difficoltà, 500 miliardi alle grandi compagnie, 377 miliardi alle piccole imprese, quasi 340 miliardi per gli enti statali e locali, oltre 153 miliardi destinati alla sanità pubblica e infine, 43.7 miliardi per i sistemi educativi e 26 miliardi per la rete di sicurezza.

È di circa una settimana fa invece, la notizia del blocco dell’immigrazione. Il Presidente Donald Trump ha infatti firmato la sospensione per almeno 60 giorni dei permessi di residenza permanenti per stranieri, le carte verdi. Questo, come riportano i giornali, “per proteggere i grandi lavoratori americani”, per “assicurare a tutti gli americani disoccupati” di essere “i primi della fila” quando l’economia riaprirà e per “preservare le risorse del nostro sistema sanitario per pazienti americani”.

Tornando alle iniziative solidali, David ha continuato: “Ci sono anche molte raccolte fondi organizzate dall’Ambasciata Italiana in Usa, destinate agli istituti medici di ricerca come lo Spallanzani di Roma, il Sacco di Milano e il Cotugno di Napoli”. David si è poi collegato alla sua città natale attraverso la squadra del cuore, la Fiorentina. Infatti il presidente della viola Rocco Commisso, ha lanciato l’iniziativa della raccolta fondi ‘Forza e Cuore’, che congiunge inevitabilmente la Toscana con gli USA, patria del presidente della squadra del giglio. “Anche il ‘Viola Club New York’ ha partecipato alla raccolta fondi insieme ad altre decine di fan club di squadre di calcio italiane, europee e mondiali tramite l’iniziativa ‘New York Kicks Coronavirus’ – come ha specificato il fiorentino.

Guardando all’Italia e a Firenze, le tue origini, come pensi sia stata affrontata l’emergenza?

“A me pare, sentendo la mia famiglia e secondo quello che ho letto, che la gente si stia comportando in maniera molto responsabile. Penso che ci sia un senso civico attivo, c’è voluto forse un po’ per ingranare ma a differenza degli Stati Uniti le persone si rendono conto della gravità, dei rischi e dell’importanza dei sacrifici. Gli italiani sono sempre visti sotto un occhio dubbioso all’estero mentre stavolta, forse, rappresentiamo l’eccezione alla regola”. “Qua non ci sono provvedimenti precisi come in Italia, con l’autocertificazione, le limitazioni sul lavoro, i posti di blocco delle forze dell’ordine e la quarantena – ha proseguito David. Col fatto che è tutto diviso a livello statale è un po’ un puzzle, in teoria potrei anche tornare a New York, ma con il numero dei casi confermati a Yonkers non ho tutta questa furia di rincasare”.

Hai paura del Coronavirus? Quali sono i tuoi timori?

“Paura personalmente no, cerco di fare le cose bene. Ho timore di chi non si comporta in maniera responsabile e mi preoccupo per la mia famiglia, visto che il Coronavirus colpisce tutte le età”.

Ciò che si può capire infine dalle parole del fiorentino David è quindi che tra l’immensità degli Stati Uniti, l’emergenza Coronavirus è gestita in maniera abbastanza autonoma nonostante il principio di direzione unitaria dettato dal centro politico. Un insieme di scelte influenzate dall’appartenenza partitica, dalla voglia di ripartenza e dalle abitudini di una popolazione completamente diversa da quella italiana. Inevitabile è, per questo, finire a parlare della gestione politica a partire dal Governo Federale fino a quella organizzata dai singoli Stati, in un momento storico di grande crisi e che negli USA si classifica dopo l’11 settembre, sotto un Presidente su cui cade una pioggia di critiche e in un anno importante, ovvero quello delle elezioni.

In quanti abbiamo fantasticato per una volta, o forse più di una, sul sogno americano… il mito del self-made man, la scalata verso il successo dell’uomo o della donna che dal nulla riescono con le proprie forze a far carriera. O ancora, la vita frenetica nella Grande Mela, resa affascinante soprattutto dai film e dalle serie tv che ormai siamo abituati a vedere sugli schermi in ogni angolo del mondo. Un sogno che ormai sembra appartenere a poche persone ma che un giorno, nella speranza che non sia lontano, tornerà forte come lo era un tempo e che continuerà a muovere le idee dei registi e a spingere gli americani, e gli immigrati, a fare del proprio sogno una realtà.

I dati

Oggi, giovedì 30 aprile 2020, negli Stati Uniti sono 1,064,572 i casi positivi da Coronavirus. I casi attivi 855,492 e i decessi 61,669.

Coronavirus, il timore e le testimonianze dei toscani all'estero

Coronavirus in Francia, la testimonianza dell'ex toscana Bernardetta: "Tout ira bien"

Coronavirus, il déjà vu di Camilla Fatticcioni dalla Cina all’Italia

Coronavirus a Londra, la testimonianza della toscana Benedetta: "Everything will be alright”

Coronavirus in Svizzera, la testimonianza della Toscana Teuta dal Canton Glarona

Coronavirus in Germania, la testimonianza del toscano Sergio da Düsseldorf

Coronavirus in Spagna, il racconto del fiorentino Francesco Maleci: "¡Todo irà bien!"

Stefano Cerri, infermiere in Inghilterra nella lotta al Coronavirus: "Essere pronti per la tempesta vera"

Coronavirus, emergenza sanitaria ed economica: il racconto del toscano Christopher dall’Australia

Coronavirus, la testimonianza della toscana Sheila: “La Spagna si è svegliata tardi”

Coronavirus in Danimarca, il racconto dell'empolese Filippo: "Il senso civico è molto forte"

Coronavirus, la Spagna prova a ripartire: la testimonianza dell'empolese Fabio

Coronavirus: la testimonianza delle coinquiline Alice e Rachele, due fiorentine a Parigi

Margherita Cecchin

Notizie correlate



Tutte le notizie di Firenze

<< Indietro

torna a inizio pagina