Coronavirus, la Spagna prova a ripartire: la testimonianza dell'empolese Fabio

Un percorso un po’ a zig zag quello della Spagna nella gestione dell’emergenza Coronavirus, non riguardo ai presunti errori commessi in una questione che purtroppo ha trovato impreparato tutto il globo, ma riferita alle decisioni che lo stato ha adottato restringendo gradualmente la libertà dei cittadini per la loro salvaguardia, poiché anche nella Penisola Iberica l’epidemia non si è fatta attendere. Nelle interviste dei Toscani all’estero a cura di gonews.it, in merito alla diversa gestione dell’emergenza sanitaria fuori dai confini italiani, siamo al terzo testimone che ci parla dalla Spagna.

Il Paese del sole e delle belle vacanze, bagnato del Mediterraneo e faccia a faccia con l’Italia, si trova infatti da molti giorni in una situazione critica. Dopo che lo Stato bianco rosso e verde, dallo scoppio del primo caso il 21 febbraio, si era piazzato al primo posto per numero di contagi in Europa e poi nel mondo, la Spagna l’ha infatti raggiunto e ben presto superato. A oggi si trova al primo posto europeo nel numero di casi positivi, nel mondo dopo gli Stati Uniti e prima dell’Italia. Nonostante questa premessa è delle ultime ore la notizia di un lento ritorno al lavoro in alcuni settori.

A parlarci di come la situazione adesso sembra ad un assestamento è Fabio Borri. Fabio ha 30 anni, è di Empoli e vive a Barcellona dal 2017. Dopo la laurea in Chimica all’Università di Firenze, gli studi l'hanno portato a viaggiare molto e dopo una permanenza in Germana è venuto il momento del suo arrivo nel centro della Catalogna, patria della Sagrada Familia e della Metropoli affacciata sul mare. In seguito a un tirocinio è stata l’ora del lavoro fino all’impiego di oggi, in un’azienda di consulenza nel settore farmaceutico.

Quando l’emergenza è stata dichiarata ufficialmente, il 14 marzo, io ero in Grecia per lavoro, per fortuna ce l’ho fatta a rientrare – ha raccontato Fabio. La prima settimana è stata di transizione, era già quarantena ma io continuavo ad andare a lavoro in ufficio. Dalla settimana dopo è iniziata la chiusura vera e propria. Durante i primi tempi non c’erano tanti controlli, ora la situazione è come in Italia, hanno iniziato a fare parecchie multe e gente in giro non ce n’è più. È stato un processo graduale – ha continuato - ma i livelli di sicurezza si sono alzati, anche riguardo alla responsabilizzazione della gente, non solo sui controlli”. Fabio al momento sta lavorando da casa “soprattutto con la Cina, la sola che si stà sbloccando un po’ “.
Vicino a Barcellona c’è Igualada, un paese che è stato chiuso prima dell’emergenza perché riportava più casi, un po’ come Codogno in Italia. Le misure adottate nelle città sono state abbastanza indipendenti tra loro – ha proseguito – e la sensazione che ho avuto è che tutti hanno cercato di rimandare il più possibile e di vedere cosa facevano gli altri stati. Fino a quando l'epidemia non ha toccato direttamente il Paese nessuno credeva troppo alla pericolosità dell’emergenza. Anche io stesso ci sono arrivato dopo e, viaggiando molto per lavoro, mi sono accorto tutto insieme della gravità della situazione”.

A oggi martedì 14 aprile, come spiegato da Fabio, la Spagna ha elevato le misure di restrizione, tra cui l’obbligo di restare a casa e la chiusura delle attività, “prolungate fino all’11 maggio”. Sorprende comunque molti la scelta, in queste condizioni, della graduale riapertura e reinserimento dei lavoratori. Infatti dopo le vacanze di Pasqua appena terminate, il Governo spagnolo ha deciso di “correre il rischio” e di far ripartire le fabbriche e i cantieri.

In linea con le altre testimonianze dalla Spagna, Fabio ancora conferma la mancanza di dispositivi di protezione: “Le mascherine non si trovano, io me le ero procurate prima per conto mio. Quelle che ci sono cercano di renderle disponibili per gli ospedali. Diciamo che la Spagna adesso si sta attrezzando – ha continuato – hanno messo a disposizione i laboratori per fare tamponi e analisi che al momento vengono fatti sulle categorie a rischio o alle persone che presentano sintomi. Le prime settimane dell’emergenza era tutto intasato ora, piano piano, sembra che si stia arrivando ad una certa organizzazione. Adesso le misure vengono rispettate, se poi saranno efficaci si valuterà con il tempo. Il supermercato è l’unico contatto che abbiamo all’esterno e a un mese di distanza non c’è nessuno in giro, i negozi e le attività rispettano la chiusura”.

Come sono stati visti gli italiani in Spagna, dallo scoppio dell’emergenza a oggi?

C’è stata empatia. Come comportamenti e cultura l’Italia e la Spagna sono molto vicine, per cui le sensazioni erano le stesse. A livello di gestione dell’emergenza, le persone già si immaginavano che la direzione sarebbe stata quella dell’Italia. Non ho visto nessuna discriminazione – ha continuato il 30enne – solo viaggiando molto per lavoro ho notato qualche distanziamento e che molte persone già portavano le mascherine prima della loro diffusione”.

Come vedi la situazione in Italia adesso che sei lontano?

"È un emergenza per la quale nessuno stato era pronto, la decisione del lockdown totale è giusta ma sono scelte che non si possono montare e disfare da un giorno all’altro. Si può discutere sul ritardo di una o due settimane, ma bloccare tutto il paese non era una decisione facile da prendere e l’Italia non aveva modelli a cui ispirarsi. Il problema sarà il dopo – ha proseguito - soprattutto per i numeri, ogni regione fa le sue statistiche e non si sa quanti sono veramente i positivi fino a che non si fanno esami a tappeto. Lo sblocco sarà più di necessità economica”.

Quali sono i tuoi timori verso il coronavirus? Hai paura?

No, non ho paura per me quanto per le categorie più a rischio come anziani, immunodepressi e i più esposti ovvero il personale degli ospedali. Penso che sia più un’emergenza sanitaria, quando gli ospedali non avranno più il picco di assistenza la situazione si potrà sbloccare e forse sarà più gestibile”.

Una situazione purtroppo che ha ben poche novità quella che ci ha raccontato Fabio, ma che comunque descrive delle facce nuove nella Spagna che ha iniziato a nuotare nel mare in tempesta del Coronavirus. Progressi dal punto di vista sanitario, governativo e dai cittadini, ben coscienti dell’importanza dell’emergenza, chiusi nelle loro case e rispettosi di chi è al fronte a combattere questa battaglia. L’altra novità è appunto, come già detto, la graduale riapertura delle industrie annunciata in queste ore. La Spagna riparte da industria pesante e cantieri, con misure stringenti sui posti di lavoro per gli addetti, ognuno con i dispositivi di protezione e controlli nelle strade. Una scelta incoraggiata dal calo dei decessi ma anche discussa da politici e operatori sanitari. Un primissimo passo verso la fase 2, un passo già mosso da alcuni paesi europei a differenza di altri che restano fermi nel lockdown. Un passo che ha confermato il Ministro Sánchez, prolungando e confermando a tutti i cittadini la quarantena fino al 10 maggio.

Una Spagna quindi con qualche differenza, quella dell’empolese Fabio, nella speranza che questo piccolo passo possa ritornare ad essere la marcia svelta della quotidianità.

I dati

Oggi, martedì 14 aprile 2020, in Spagna sono 172,541 i casi positivi da coronavirus. I casi attivi 86,981 e i decessi 18,056.

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Margherita Cecchin

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