Auschwitz, aperto ai cittadini lo spettacolo di Firenza Guidi

“Il lavoro rende liberi”: è la scritta che accoglieva i deportati all’ingresso di Auschwitz. La stessa scritta sta accogliendo, questa settimana, all'Auditorium “La Tinaia”, centinaia di ragazzi delle scuole medie di Fucecchio e del circondario fino ad arrivare a Pistoia. Il lager è qui, oggi, il passato bussa alla porta e abbiamo il dovere di ascoltarlo, di essere testimoni. Da undici anni, ormai, lo spettacolo Auschwitz di Firenza Guidi, con la compagnia permanente di Elan Frantoio, ha emozionato e fatto riflettere migliaia di ragazzi delle scuole e di adulti. Si varca la soglia del campo di concentramento e già non si è più uomini o donne, non si ha più un’identità, al suo posto un numero; viene il momento della spogliazione e della rasatura, la dignità viene strappata via, si indossano le uniformi e si diventa oggetto fra gli oggetti; ci si aggira in un mondo fuori dal tempo fatto di pile di vestiti, scarpe, montagne di oggetti che prima appartenevano a qualcuno. Si avanza al ritmo della marcia, si ha l’immagine del lavoro forzato, massacrante, al freddo per ore, senza fine, corpi stremati piagati da torture sotto le quali è facile cedere. Il male è una mente lucida e minuziosa, niente è lasciato al caso. È “la macchina”, un meccanismo dal rigore matematico, sempre in movimento, che calcola tutto: un ingranaggio perfetto con i ritmi di una fabbrica, perché l’Olocausto è applicazione quotidiana di gesti semplici e monotoni. “Si percepisce un cambiamento nei giovani spettatori – dice la regista – come un entrare ragazzini e uscire con una sorta di maturità: piccoli segni, nel modo in cui parlano, nell’attenzione, nel loro silenzio, negli occhi lucidi anche dei ragazzi a prima vista più scettici, come se qualcosa fosse stato assorbito nella pelle per poi essere col tempo metabolizzato. La performance ha una responsabilità, si sporca le mani, tenta di creare un dialogo. E le reazioni dei ragazzi sono un dono che torna ai performer”. A fare da guida, in questo percorso di terrificante disumanizzazione, la voce. C’è quella distaccata della guida, perché in primo luogo è necessario capire e conoscere con la mente. C’è quella flebile e spezzata di uomini e donne che hanno vissuto l’orrore, perché in secondo luogo bisogna capire con i sensi. E c’è, infine, la voce corale, imponente, di milioni di vittime che rivendicano il ricordo, perché davanti allo sterminio la nostra mente deve rimanere vigile e presente.

Fonte: Elan Frantoio - Ufficio stampa

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