
È morto improvvisamente martedì mattina Marcello Frosini, un grande artista vissuto in modo assolutamente appartato tra Buti e Pontedera, per oltre novant’anni, tutti spesi a lavorare con bellissime tele, che negli ultimi anni hanno privilegiato il colore, rispetto alle forme, anche se nei suoi quadri, conservato in gallerie pubbliche e collezioni private in tutta Italia, la provenienza figurativa non è mai stata del tutto negata. Per tutta la vita ha voluto ricordare quello che considerava il suo maestro, quell’Anton Luigi Gajoni, eccezionale freschista e decoratore della maggior parte delle chiese della Diocesi di San Miniato, dove è scomparso dal 1966, dopo una vita nella quale c’è da segnalare la sua presenza parigina, quasi dodici anni passati accanto a Picasso e Severini, da De Chirico a Savinio, tanto per fare alcuni nomi. A Gajoni Frosini aveva dedicato un gruppo di artisti, durante gli anni d’Accademia, ma soprattutto ne aveva fatto un suo punto di riferimento, insieme ad un altro pittore pontederese, Gianfranco Tognarelli, che con Frosini, decisamente più anziano, aveva anche un legame di parentela.
Il critico d’arte Nicola Micieli ha più volte notato la singolarità del percorso di Frosini. Micieli nel 1980, diede il suo appoggio critico al sodalizio di quattro pittori, sotto il nome di Gruppo di Buti. C’erano oltre a Frosini, il suo amico e sodale, Tognarelli (Pontedera 1949), Franco Marconcini (Piombino 1938) e Loro Scarpellini (Buti, 1934). Micieli evidentemente apprezzava le scelte stilistiche del Gruppo, che sceglieva una ricerca del colore, della stesura materica dell’opera e dove, ognuno per suo conto, poteva persino abbandonare la figuratività, o almeno quello che si potrebbe chiamare realismo.
Se si confrontano le opere di Frosini del primo periodo, con quelle più recenti possiamo capire il senso del nostro discorso. All’inizio c’erano delle forme, in opere tutt’altro che banali, con soggetti che potremmo dire naturalistici e con un’esecuzione molto accademica, non in senso negativo, ma semplicemente per dire che si trattava di bei quadri. Oggi le opere sono spesso colore puro, ce n’è ad esempio una che secondo noi assomiglia alle ninfee di Monet. Frosini confessò che quelle ninfee neanche gli piacciono, e di fronte alla mia replica che, se Monet avesse potuto fare un altro passo, forse avrebbe dipinto il suo stesso quadro. Frosini sorrise, ed era già molto per un pittore vinto dall’ombra e dalla malinconia.
Tognarelli a proposito di Frosini dice: “Parlare dei lavori di Marcello non è facile, i suoi non sono quadri che raccontano storie o descrizioni di qualcosa ed anche i titoli sono messi a posteriori ed hanno scarsa importanza, direi che sono lavori in cui la superficie pittorica è concepita come un laboratorio ‘alchemico’ sul quale bruciando le scorie si raggiunge alla fine una forma rivelatrice di verità. Il lavoro di Marcello Frosini… è pura ricerca verso quella che definirei ‘essenzialità pittorica’, senza concessioni a compiacimenti e imbellettamenti. La sua particolare sensibilità coloristica, per la quale si è sempre distinto, è tuttora il faro conduttore, colori che tra abbandono e controllo sono sempre volti alla evocazione di sensazioni particolari, e in questo divenire si realizza una spazialità ridotta ma con piani che sono certezze. Solo quando tutto è a posto il lavoro è completo e concluso. Le strutture compositive appaiono serrate e percorse da notevole continuità di ritmo ed il registro espressivo, talvolta vicino alla sensibilità espressionista, si stempera in quella che definirei una bellezza barbarica”.
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