
Con riferimento alla mostra “Gente di Padule” allestita alla Centro Visite della Riserva Naturale del Padule di Fucecchio ed alla narrazione con la quale viene proposta, ci preme fare alcune riflessioni.
La rievocazione di un passato del Padule di Fucecchio “non più tanto recente”, fatto di figure pittoresche e dei loro racconti sulle pratiche gestionali e venatorie del loro tempo, è un’operazione culturale apprezzabile. Lo è nella misura in cui la si rappresenti come un segmento di storia orale raccontata da alcuni protagonisti con la loro peculiare percezione della realtà.
Diventa qualcos’altro quando se ne voglia fare un mezzo di narrazione per affermare che quel Padule e che quelle pratiche rappresentano un orizzonte a cui occorre tornare, perché ciò che è venuto dopo, con esplicito riferimento ad un approccio tecnico-scientifico alla tutela della natura e all’introduzione di alcune regole ispirate a tale approccio, avrebbe condotto ad un grave deterioramento. Anche se non esplicitato, il senso della presentazione che è stata fatta della mostra esposta a Castelmartini è proprio questo.
Ci teniamo pertanto ad esprimere alcune considerazioni generali, senza entrare in questioni troppo specifiche.
La prima è che il periodo a cui si fa riferimento è quello compreso fra il secondo dopoguerra e la fine degli anni ‘70 del secolo scorso, quando in Italia si è toccato il punto più critico dell’inquinamento causato dall’industrializzazione e la situazione di maggiore perdita di fauna selvatica e deterioramento di habitat. L’ambientalismo in Italia è nato negli anni ‘60 e ‘70 proprio per dare una risposta ad una situazione divenuta drammatica (si vadano a leggere le testimonianze di Antonio Cederna, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani, Fulco Pratesi, Giorgio Nebbia e molti altri).
Il Padule in quegli anni diviene un ricettacolo di scarichi inquinanti: le acque reflue delle decine di cartiere sorte a monte (nel pesciatino) e i residui della lavorazione delle pelli delle numerose concerie sorte a valle, nel comprensorio del cuoio. Le attività tradizionali, come la pesca professionale e la raccolta delle erbe palustri, declinano rapidamente, mentre la caccia diventa uno “sport” di massa, con poche regole.
E in quegli anni anche a livello locale ci sono state autorevoli critiche ambientaliste a quello stato di cose, all’inquinamento e alla caccia eccessiva: basti citare i numerosi scritti dell’avvocato fucecchiese Piero Malvolti, fondatore della locale sezione di Italia Nostra e curatore del libro “Fine di una Terra” che offre uno spaccato di quella realtà (Padule di Fucecchio e Colline delle Cerbaie) e delle trasformazioni causate dal rapido passaggio da un’economia rurale ad un’economia capitalistica.
La seconda considerazione attiene al fatto che è oggettivamente documentato che la pratica della biologia della conservazione della natura, a partire dalla fine degli anni 70 ad oggi, ha prodotto risultati importanti, anche se la perdita della biodiversità resta ancora oggi uno degli aspetti più gravi della crisi ambientale. Sulla spinta culturale dell’ambientalismo e sulla base di questa nuova disciplina scientifica vengono realizzate nuove aree protette e fatti accordi importanti per tutelare quel poco che restava a livello mondiale delle zone umide (nel 1971 in Iran viene firmata la Convenzione Internazionale di Ramsar). In Italia questo processo è stato fortemente ostacolato da varie lobby, fra cui, in prima linea, anche quella venatoria; ma poi soprattutto per il traino arrivato dalla Comunità (poi Unione) Europea, con le direttive Uccelli e Habitat, anche nel nostro Paese sono state introdotte regole più stringenti, come la messa la bando dell’uccellagione, ampiamente praticata fino a pochi anni fa; la fine della caccia primaverile, che faceva strage di uccelli migratori nella delicata fase pre riproduttiva; la fine della persecuzione di tutti i predatori naturali (dagli uccelli rapaci ai mammiferi carnivori) che erano considerati nella categoria dei “nocivi”, ancora ampiamente presente nella “cultura” di molti cacciatori.
Gli effetti di questa evoluzione normativa sono alla base del ritorno di molti uccelli anche in Padule. A partire dagli anni ‘80 sono tornati gli aironi (prima erano rari e non nidificanti), sono tornati i cormorani, gli svassi, il cavaliere d’Italia, il falco di palude. Le anatre svernanti sono passate da poche decine censite negli anni ‘80 alle 8000 censite negli ultimi anni. Sempre negli ultimi due decenni sono arrivate specie importanti, praticamente sconosciute in passato: il fenicottero rosa, la spatola, il mignattaio, il biancone, il nibbio bruno, le gru (che stanno passando proprio in questi giorni) e le cicogne (nidificanti): da questo punto di vista il Padule evocato nella mostra, in confronto ad oggi, era un deserto!
L’ultima considerazione riguarda il nemico numero uno dei cacciatori di 50 anni fa e dei cacciatori di oggi: “la cannella”. Paradossalmente, come ci spiega chiaramente il botanico Fabio Garbari, Phragmites australis (la cannuccia di palude) si è diffusa così ampiamente nel Padule di Fucecchio per effetto della pratica gestionale venatoria di dare fuoco alla vegetazione per creare aree aperte favorevoli alla caccia, dal momento che era cessata la raccolta del “sarello”. E’ difficile dire, con le poche informazioni disponibili, se il mosaico di vegetazione che era presente prima che si verificasse tale trasformazione fosse complessivamente più o meno favorevole alla biodiversità rispetto a quello odierno: probabilmente, come ci dice lo stesso Garbari, lo era sotto il profilo floristico, ma si parla di un habitat che non esiste più (quello del magnocariceto) e che difficilmente può essere ripristinato, se non in aree particolari, come la Paduletta di Ramone. Quello che è certo è che oggi il Canneto a Phragmites australis è uno degli habitat più rari e minacciati in Italia e in Europa e ad esso sono legate numerose specie di uccelli altrettanto rare e minacciate. Questi sono dati incontrovertibili, che conferiscono al soggetto gestore del Padule di Fucecchio (la Regione Toscana) una notevole responsabilità in termini di conservazione di questo habitat e delle specie che vi nidificano.
La deriva che ha visto negli ultimi anni ad un arretramento nella tutela del Padule, anche attraverso modifiche del regolamento delle aree contigue alla riserva naturale, minaccia in particolare il canneto, che da più parti si demonizza e che si vorrebbe di nuovo mettere a ferro e a fuoco quando le nidificazioni sono ancora ampiamente in atto. Ci opporremo a questa deriva oscurantista con determinazione, anche attraverso una corretta informazione.
Concludiamo con una nota sul fatto che nessuno chiama più con il suo nome l’edificio che ospita la mostra, cioè il Centro Visite della Riserva Naturale del Padule di Fucecchio. Non lo fa Federcaccia, che al momento ha in concessione la struttura e non lo fanno puntualmente nemmeno i rappresentanti delle istituzioni locali (Comuni, Consorzio di Bonifica ecc.). Anche questo ci appare come un atto di ritorno simbolico al passato, a quando cioè nel Padule non vi era nessuna area destinata alla tutela della natura e nessuna struttura che di questo si occupasse. Per fortuna ci sono anche segnali positivi: il recente incarico conferito dalla Regione alla LIPU per la gestione della Riserva Naturale e la rinascita in Valdinievole di un gruppo di Legambiente.
Queste due associazioni sono state storicamente due pilastri dell’impegno ambientalista per il Padule di Fucecchio e la loro presenza sulla scena odierna è di fondamentale importanza. Quanto a noi continueremo come sempre a fare la nostra parte.
"Amici del Padule di Fucecchio per la Biodiversità"
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