L'ex giocatore del Torino ed ex allenatore di Pisa e Fiorentina è morto oggi, aveva 80 anni. Il giornalista René Pierotti lo aveva intervistato in occasione del 70esimo compleanno, raggiungendolo nella primavera del 2014, a Piombino: ne venne fuori un ritratto dell'atleta, ma soprattutto dell'uomo
Questa intervista è stata fatta nell'aprile 2014, quando Aldo Agroppi (morto oggi a 80 anni) aveva da poco compiuto 70 anni. Originariamente era stata pubblicata sul sito Europacalcio.
La ripubblico qui su Gonews, eccola:
Arrivo a Piombino un giovedì di aprile, è caldo e c'è un bel sole. Sto per incontrare Aldo Agroppi che lunedì 14 Aprile (oggi per chi legge) festeggia 70 anni. Ancora non so che la domenica il suo Toro vincerà con due gol magnifici dopo il novantesimo, due gioielli nel sette che avranno sicuramente fatto piacere al nostro intervistato.
Quindi adesso avrei tanta voglia di chiedere ad Aldo se Cerci e Immobile possano ricordare i suoi compagni Pulici e Graziani, domanda scontata e banale, ma d'obbligo. Siccome è domenica notte e non posso chiederglielo, risponderò io: Pulici e Graziani hanno fatto la storia del Toro giocando anni e anni, vincendo uno scudetto. Ma quel Toro era una squadra più forte di quella di Cairo. E i tempi sono inesorabilmente cambiati, giocatori come Cerci e Immobile devono quasi per forza ambire a qualcosa di più, sotto forma di ingaggio certo, ma anche di competizioni più allenanti, come va di moda dire oggi. Per cui questa bella coppia di attaccanti ricorda Pulici e Graziani nel momento, nella partita, nella qualità, certo. Ma non farà la storia del club come hanno fatto quei due, a meno di scenari inimmaginabili sotto forma di sceicchi o tycoon. Giusto Aldo?
Ci sediamo al tavolino di un bar, fuori, sotto il gazebo di legno che si affaccia su una strada vietata al traffico. Durante l'ora che passo con Aldo, in un'intervista esclusiva per EuropaCalcio.it, diverse persone si avvicinano per salutarlo, dargli una pacca, strappargli una battuta, anche una vecchia compagna d'asilo: ”Lo conosco da quando aveva quattro anni!” mi dice con stupore.
Aldo, prima di tutto che giocatore eri?
"Ero un mediano che stava sulla mezzapunta avversaria, non avevo tanta elevazione né forza, ma buona tecnica, determinazione, corsa e capacità di inserimento, ho segnato 30 gol in carriera".
Dall'idea che mi sono fatto un giocatore che potrebbe ricordarti è stato Antonio Conte, sbaglio?
"No, Conte in effetti poteva ricordarmi, anche se i capelli io ce l'avevo...".
Chi sono i calciatori più forti con cui hai giocato in squadra?
"Negli anni di Torino sono diversi: Pulici, Graziani, Sala, Meroni, Ferrini...".
E contro?
"Omar Sivori, l'ho marcato quando era a fine carriera a Napoli".
Hai segnato 30 gol, il più bello?
"Il più bello, o forse il più importante, lo segnai in un derby con la Juve, fu il 2-1 decisivo (nel video al 00:20), al Comunale gremito".
Otto anni di Torino, appena arrivato ci fu lo shock Meroni, che ricordi hai di lui?
"Purtroppo esordii in serie A proprio il giorno in cui morì, il 15 ottobre 1967. E purtroppo vincemmo. Dico purtroppo perché quella vittoria fece fare all'allenatore Fabbri uno strappo alla regola: dovevamo stare in ritiro ma, data la vittoria Fabbri ci concesse di tornare a casa. Forse Gigi non sarebbe morto se non avessimo vinto. Meroni era un grande artista del pallone e un anticonformista, viveva in una soffitta. Però non era un personaggio, uno che voleva apparire, era molto riservato, geniale, estroso ma soprattutto una persona sensibile e perbene. La serie Tv fatta di recente è approssimativa, ne esce fuori un Gigi superficiale. Non era così".
Quanto ti ha seccato essere andato via dal Toro l'anno prima dello scudetto?
"Fui mandato a Perugia, nel tratto in macchina piangevo come un bambino. Tuttavia devo riconoscere che la dirigenza operò bene: venivamo da un campionato mediocre, ci fu una mezza rivoluzione, ce ne andammo, tra gli altri, io e Ferrini. Furono scelte giuste visto che arrivò lo scudetto".
La vittoria del Perugia (come nel 2000, ndr) sulla Juve fu fondamentale per lo scudetto granata? Giocasti?
"Non giocai perché ero infortunato, mi piazzai dietro la porta e al gol del povero Renato Curi esplosi! Ero felicissimo, in qualche modo sentivo mia quella vittoria ed ero contento di aver dato una mano, seppur da tifoso, alla mia ex squadra".
Raccontami qualcosa di Pulici - Graziani...
"Fenomenali. Pulici era forte fisicamente, sentiva la porta, poteva segnare indifferentemente di destro, sinistro o di testa, era un uomo d'area. Graziani invece era più tecnico e svariava di più, aveva capacità di assist-man. Ma a dire la verità a fare la loro fortuna fu anche il poeta del gol, Claudio Sala".
Claudio Sala è stato l'erede di Meroni?
"No, Claudio Sala era un grandissimo giocatore, concreto, efficace, elegante e tecnico. Ma il vero erede mancato di Meroni era Emiliano Mondonico. Peccato che prima di diventare un bravo allenatore era un calciatore creativo, geniale, ma svogliato. Mai avrei creduto che diventasse allenatore".
Sei arrivato anche in Nazionale...
"Si, feci cinque presenze ai tempi di Valcareggi, tra il Mondiale in Messico e quello in Germania. Ma c'erano altri giocatori e trovai poco spazio".
Poi hai iniziato a fare l'allenatore...
"Ho iniziato allenando per due anni le giovanili del Perugia, la mia ultima squadra da calciatore. Ero portato per gestire un gruppo, poi sono passato alla prima squadra del Pescara e ho iniziato davvero...".
Hai avuto due presidenti storici: Anconetani e Costantino Rozzi, che figure erano?
"Di loro ho ricordi opposti: Anconetani era un presidente a tempo pieno, stava sempre con la squadra, attento a tutte le esigenze, presente, partecipe. Invece Rozzi pensava alle sue aziende e lo vedevi solo la domenica quando giocavamo in casa, con quei calzini rossi per cui è ricordato".
Perché Anconetani era sempre presente, non lavorava?
"Romeo prima di diventare presidente del Pisa era stato un grandissimo procuratore, con le sue agendine su cui annotava migliaia di giocatori. Quando iniziò a occuparsi degli interessi dei giocatori era l'unico a farlo. Quando prese il Pisa aveva agganci sufficienti e tali che pur non disponendo di enormi cifre e di aziende riusciva a fare ottime compravendite. Era un grandissimo stratega".
Aldo tu eri un livornese a Pisa, come ti accettarono?
"All'inizio non fu facile, ma sai, i tifosi non sono stupidi, quando videro l'impegno e i risultati (il Pisa fu promosso in Serie A, ndr) furono ben felici di accogliere questo livornese-piombinese un po' burbero ma sincero".
Tu hai allenato la Fiorentina due volte, la prima nel 1985/86 con il quarto posto e le vittorie su Juve, Milan e Inter, con Baggio infortunato, il giovane Berti, Passarella, Massaro, Antognoni, Gentile, Oriali. Che ricordi hai di quell'annata?
"Ottimo, grande squadra, grandi giocatori, come hai detto tu. Però in attacco avevamo Monelli e Iorio, avessimo avuto Batistuta e Mutu avremmo vinto lo scudetto".
La seconda volta fu più difficile: arrivi in corsa a furor di popolo per sostituire Radice, però le cose non vanno bene...
"Era il '92 mi pare, in pratica avevo già smesso di allenare, soprattutto nella testa. Avevo un buon contratto con la Fininvest, eppure fui convinto da Cecchi Gori e dalla gente a provare quest'avventura, ma la squadra, a parte qualche elemento, era mediocre e la società inesistente. Venni esonerato a mia volta e sostituito da Chiarugi e Antognoni a poche giornate dalla fine, non ci salvammo, peccato".
Una curiosità su quella Fiorentina: avevo dieci anni e sentivo Cecchi Gori che declamava le doti di un giocatore: Diego Latorre, perché in Italia fallì?
"Latorre avrebbe fatto bene a Pisa, non a Firenze! A parte gli scherzi, gli osservatori della Fiorentina avevano visto un giovane interessante: Gabriel Batistuta. Decisero immediatamente di comprarlo ma i dirigenti del Boca imposero anche l'acquisto di Latorre, giocatore modesto, che il primo anno di Bati in Italia venne lasciato in prestito al Boca e arrivò l'anno dopo, giocando pochissimo".
”Un allenatore conta solo il 20%” dice Capello, i calciatori il restante 80%. È però vero che i calciatori sono minimo 20 quindi l'allenatore è l'uomo più importante. Che ne pensi? Quanto influisce un allenatore?
"Non sono Sacchi, Trapattoni o Capello a fare grande una squadra, sono i giocatori, sono loro a decidere le partite, a scendere in campo. Il Trap quando andò a Cagliari fu esonerato, il problema non era Giovanni ma la squadra, che non era all'altezza. I giocatori sono dei giovanotti strapagati, con auto di lusso, tante donne, sempre a rischio di eccedere in comportamenti non professionistici. Secondo me un allenatore, ed era quello che facevo io, deve lavorare per far si che i suoi giocatori siano professionisti seri, che facciano una vita da calciatori e non da rockstar. Quando allenavo imponevo una disciplina quasi militare, togliendo da subito il vino e la birra dal tavolo, cercando di far rispettare gli orari. Per me non contano i moduli, le tattiche, per me serve solamente che i ragazzi scendano in campo riposati e pronti, che siano dei lavoratori seri e non dei privilegiati viziati".
Da quante persone era formato il tuo staff?
"Ma che staff? C'ero io, il vice e l'allenatore dei portieri. Non credo a certe cose, Benitez ha dieci, quindici uomini che lavorano con lui. Il tattico, a che serve il tattico? Come ti dicevo la mia idea è molto più semplice. Un allenatore deve fare un po' da psicologo e da padre, deve saper far rendere i giocatori, ma questo avviene se fanno una vita sana".
Fra i giocatori che hai allenato chi era il più forte?
"Due argentini, nei due periodi alla Fiorentina: Passarella e Batistuta".
Chi ha avuto meno, o molto meno, di quello che meritava?
"Massimo Orlando, un talento cristallino fermato da troppi infortuni".
E fra i giocatori che hai allenato e sono diventati allenatori chi è il migliore?
"Iachini, che ha già fatto tre promozioni ma siccome non ha una presenza scenica viene sottovalutato. Ma se ci fai caso ha sempre fatto molto bene in ogni squadra".
Dopo la seconda parentesi viola, hai smesso. Posso chiedere perché? E quali offerte hai rifiutato?
"Ho smesso perché non sopportavo più la pressione di allenare, era un lavoro troppo stressante. Peccato, perché ero molto bravo a gestire i giocatori. Però fui molto chiaro, lo dissi ai giornali e alle tv che non avrei più allenato, quindi non ho ricevuto altre offerte".
Dunque come segui il calcio? L'altro giorno mi hai detto che sei stato a vedere una partita di tuo nipote...
"Lo seguo sporadicamente, martedì ho visto “Report” e mercoledì “Le Iene”, ogni tanto cambiavo per vedere i risultati ma non mi interessa molto. Per quanto riguarda il calcio giovanile è peggio di quello dei grandi: genitori impazziti, che urlano, litigano, offendono gli arbitri che sono ragazzini di 20 anni che sacrificano il sabato sera per due lire, per coltivare una passione e vengono aggrediti, maltrattati. E' una cosa indegna. Tornerei ad allenare solo ad una condizione: che mi affidassero una squadra giovanile di orfanelli".
Che ne pensi dei libri scritti dal tuo conterraneo Carlo Petrini?
"Carlo era un bravo ragazzo, ma aveva brutti vizi, fumava troppo e aveva una passione smodata per le donne. Era incontrollabile e si è rovinato con le sue mani. Però lo ricordo con affetto, veniva spesso a casa mia anche negli ultimi anni. Per quanto riguarda i suoi libri e il doping nel calcio è una questione di intelligenza: chi sceglie il doping per vincere non sta scegliendo la vita e l'onestà. Purtroppo c'è da dire che a volte qualcuno ha assunto il doping a sua insaputa".
Cosa prevedi per l'Italia di Prandelli in Brasile? E come valuti il suo lavoro in questi quattro anni?
"Mi dispiace per i ragazzi, ma spero sia eliminata al primo turno. Prandelli mi risulta insopportabile, si riempie la bocca di codice etico e poi è lui a non rispettare l'etica: quando nel 2010 assunse il ruolo di CT aveva ancora un anno di contratto con la Fiorentina. Dov'è la serietà? Ma per favore, i contratti vanno rispettati. Per quanto riguarda il suo operato ti faccio una domanda io: cosa ha vinto Prandelli in carriera?".
Niente. A proposito di non vincere niente che mi dici delle due milanesi: a gennaio si parlava tanto dell'Inter che doveva investire, che Thohir non poteva rimanere fermo, ma il Milan? Sono anni che si indebolisce, in difesa è inguardabile, e nessuno dice niente? Berlusconi non dovrebbe passare la mano?
"Intanto l'Inter ha speso male, perché per me Hernanes è più bello che utile. Glielo avevo detto al mio amico Mazzarri, stai attento, l'Inter non è una passeggiata. Ora è anche più difficile perché non si capisce bene come stanno le cose con Bombolino (il soprannome che Aldo ha dato da tempo a Thohir, ndr) e Moratti che c'è e non c'è. Stessa cosa al Milan con Barbara e Galliani. Sono situazioni confuse, ma non credo che Berlusconi, a differenza di Moratti, venderà".
In quanto a presidenti che fanno più danni che cose buone ti dico Zamparini...
"Zamparini ha buttato via una marea di soldi, ora ha il tecnico giusto (Iachini), ma sai con Zamparini non si è mai sicuri".
E De Laurentiis?
"Tratta il Napoli come una azienda, riesce a guadagnarci, è bravo, molto bravo. Il Napoli è una bella squadra, però diciamo che De Laurentiis è bravo quanto è antipatico".
Ultima domanda: anche se immagino la risposta, quale squadra ti sarebbe piaciuto allenare?
"Ovviamente il Toro. Era già tutto fatto. Metà anni 80, ricevetti una telefonata, era Moggi: "vieni a Torino, di notte. Cerca di non farti riconoscere, vieni in incognito". Eravamo durante il campionato e capii tutte le precauzioni. Andai da Moggi come un ladro e parlammo dei giocatori, dell'ingaggio e di dove avremmo svolto il ritiro estivo. Ci demmo la mano e per me in quel momento ero l'allenatore del Torino. Tornai a casa che non stavo nella pelle dalla gioia, ero euforico, avrei allenato il mio Toro. Di li a due settimane Moggi annunciò Radice. Per me la stretta di mano era come una firma, non per Moggi. L'ho attaccato ogni volta che ho potuto. Si nasce incendiari e si muore pompieri, ma io sempre un po' incendiario lo sono...".
René Pierotti
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