Beko Europe ha confermato in audizione alla commissione Attività produttive della Camera il piano di dismissioni che prevede 1.935 esuberi in Italia. Gli stabilimenti coinvolti sono quelli di Siena, Comunanza (Ascoli Piceno) e Cassinetta (Varese), che secondo l’azienda registrano perdite superiori ai 50 milioni di euro all’anno ciascuno. La crisi è attribuita a una "strutturale sottoutilizzazione della capacità produttiva" in Europa, aggravata dal calo della domanda e dalla concorrenza cinese. Beko prevede per il 2024 una perdita di "224 milioni di euro" nel settore dei grandi elettrodomestici.
Maurizio David Sberna, responsabile delle relazioni esterne di Beko, ha dichiarato che l’azienda è pronta a "valutare tutte le operazioni industriali possibili" per ridurre l’impatto degli esuberi, ma solo a "invarianza di impatto economico". Ha aggiunto che è necessario intervenire subito per evitare "una situazione sicuramente peggiore" in futuro. Inoltre, ha ribadito che il piano "rispetta le prescrizioni" del Golden Power.
I sindacati hanno espresso forte dissenso. Barbara Tibaldi (Fiom-Cgil) ha parlato di "dolo", accusando l’azienda di non aver mai tentato una reale industrializzazione, ma di aver condotto "un’operazione commerciale con una logica puramente predatoria". Ha esortato il Governo a "parlare con la proprietà" per avviare una trattativa seria.
Massimiliano Nobis (Fim) ha definito la situazione "drammatica" e ha denunciato che il piano coinvolge "1.200 operai su 1.935 esuberi totali", toccando anche impiegati e funzioni centrali. Secondo lui, si tratta di "un piano non industriale ma solo commerciale", in cui il gruppo Arçelik ha puntato "solo ad acquisire quote di mercato".
Lucia Gambardella (Uil) ha parlato di "preoccupazione e dissenso", definendo il piano "devastante e inaccettabile". Secondo lei, i numeri non giustificano l’abbandono dell’Italia, ma richiedono "un piano di rilancio".
Infine, Francesco Armandi (Ugl) ha definito il piano "scellerato" e ha chiesto al Governo di intervenire con "la massima forza" per contrastare una strategia che considera più commerciale che industriale.
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