Arte contemporanea, a Santa Croce la mostra di Lori Lako

La videoinstallazione W-here is Balkan? 

Sarà inaugurata sabato 9 novembre 2024 alle ore 17, presso il Centro Espositivo “Villa Pacchiani” di Santa Croce sull’Arno la mostra personale Lori Lako "È da un po’ che non sogno di volare", a cura di Ilaria Mariotti.

La mostra fa parte di un programma espositivo del Comune di Santa Croce sull’Arno, realizzato nell’ambito di Toscanaincontemporanea2024, che prevede anche attività volte alla formazione del pubblico e percorsi didattici. Collaborano all’iniziativa Crédit Agricole Italia e Associazione Arturo.

Il Comune di Santa Croce sull’Arno aderisce alla rete Terre di Pisa.

Fino al prossimo 15 dicembre le sale di Villa Pacchiani ospiteranno la mostra personale di Lori Lako (Pogradec, Albania 1991), artista albanese che risiede da molti anni in Italia: un percorso articolato attraverso opere realizzate in occasioni diverse e il progetto pensato appositamente per Santa Croce sull’Arno.

Santa Croce sull’Arno, piccolo centro conosciuto in tutto il mondo per la lavorazione della pelle, è diventato nel corso degli anni un punto di arrivo per numerosi migranti: la popolazione del comune toscano (circa 14600 abitanti) è oggi costituita dal 23% di cittadini di varie origini provenienti da oltre 50 paesi diversi, dando vita a una realtà composita, interessante e complessa. La comunità albanese, la più numerosa nel comune toscano, è stata la prima ad arrivare a Santa Croce sull’Arno in un processo migratorio che risale ai primi anni Novanta dello scorso secolo.

Attraverso la sua pratica artistica Lori Lako cerca di riflettere sulla complessità dell'esistenza postmoderna utilizzando un approccio multidisciplinare e investigando come sia eventi storici e esperienze individuali siano mediate e riconfigurate nella sfera digitale.

Lori Lako lavora con la fotografia, il video, il suono realizzando opere dove l’esperienza collettiva si misura costantemente con le vicende individuali lavorando sugli archivi fotografici e sulla raccolta di testimonianze costruendo nuove narrazioni.

L’immagine fotografica e digitale si confronta con la sua possibile manipolazione e con i meccanismi di falsificazione della tradizione storica.

Le sue opere si fondano spesso su racconti raccolti, memorie tramandate, documenti visivi si intrecciano con un vissuto personale e famigliare. In primis la storia dell’Albania, la costruzione di monumenti e documenti che hanno veicolato l’immagine che la dittatura ha manipolato per la propria narrazione, fino alla disgregazione del blocco sovietico e lo spaesamento successivo di un paese che ha dovuto ricostruire una propria identità facendo i conti con il passato e con un futuro incerto. Il miraggio di un benessere legato all’immagine dei capitalisti paesi occidentali percorre gran parte dei suoi lavori che spesso nascono da narrazioni e testimonianze collegando generazioni e rilevando continuità e conflitti.

Lori Lako è nata quando l’Albania era un paese agricolo scarsamente industrializzato, estremamente impoverito ma che aveva dovuto fare i conti con i cambiamenti democratici attraversati dagli altri stati dell’Europa dell’Est ostinandosi a considerarsi l'unico paese sinceramente socialista, isolato dal resto dell’Europa nel tentativo di difendere la purezza anticapitalista.

Dai racconti dei genitori (il padre era un artista e docente di arte) Lori ha avuto contezza del modo di vivere in un’Albania chiusa al mondo, ai viaggi di studio e di conoscenza. Ha raccolto testimonianze di anni che non ha vissuto dove il Capitalismo era considerato la vera piaga sociale e dove si viveva con pochi mezzi.

La mostra si apre con l’opera Is there any alternative? (2023), che ben rappresenta il metodo di lavoro dell’artista rispetto al mondo della comunicazione contemporanea, all’utilizzo delle immagini e alla sua forma di attenzione riguardo a questioni politiche e sociali.

In quest’opera il riferimento è il pensiero critico rispetto a sistemi di mercato, alle politiche globali e l’immagine come fortemente manipolata e manipolatoria: in cinque light boxes le mani di un’interprete del linguaggio dei segni con le unghie in fiamme significano il titolo del libro del filosofo inglese Mark Fisher, Realismo capitalista, pubblicato nel 2009 e in seguito descritto dal filosofo Slavoj Žižek come “la miglior diagnosi della situazione in cui ci troviamo”. Pubblicato immediatamente dopo la crisi economica globale e il naufragio del pensiero neoliberista il saggio si poneva in contrasto con la filosofia thatcheriana del “there is no alternative” e in opposizione al sostegno del pensiero pro-mercato.

L'atto di dare fuoco alle unghie dell’interprete è mutuato da quello di una blogger che in una clip di Instagram rinnova la sua vecchia manicure a partire da questa azione spettacolare.

In Librat e shtëpisë / The books of the house (2023) l’artista colleziona e espone alcuni libri recuperarti nei mercatini e sulle bancarelle più o meno improvvisate che si trovano nelle strade di Tirana.

Sono libri che trattano vari argomenti caratterizzati, tutti, dallo spirito di indottrinamento e propaganda che ha attraversato tutta la lunghissima e rigida dittatura di Enver Hoxha (dal 1944 al 1985) che ha fermamente respinto qualsiasi processo di destalinizzazione del sistema economico sociale.

Alla conclusione di quel periodo di oppressione e controllo centralizzato dell’informazione, dell’istruzione e di limitazioni della libertà di espressione, le persone hanno iniziato a liberare le proprie case da questi oggetti di propaganda così come dalle effigi del dittatore e da molti altri oggetti prodotti sotto il regime.

Anche i libri scritti da Hoxha hanno subito la stessa sorte. Una delle bancarelle dove spesso si trovano anche i libri di Hoxha si trova proprio di fronte alla lussuosa dimora del dittatore, a Tirana. Casa che è rimasta chiusa per vent’anni e che sta per essere convertita in un Centro culturale.

La costruzione di un immaginario collettivo alla ricerca di identità visiva tanto esotica e lontana quanto fuori fuoco è rappresentata, nel percorso di mostra, da Exotic Memories / Kujtime ekzotike (2019) che nasce da una serie di fotografie legate all’infanzia dell’artista e scattate negli anni '90 in uno studio fotografico della sua città natale, Pogradec. Quasi tutti avevano un ritratto fotografico scattato davanti a un identico fondale, un paesaggio esotico che contrastava con la rigidità e la serietà della postura delle persone ritratte tipiche delle foto dei primi anni dopo la caduta del sistema dittatoriale.

L’artista raccoglie quante più fotografie possibili scattate in quello studio, rimuove i ritratti e ricostruisce, come una sorta di grande collage di ricordi personali e collettivi, il fondale che le accomuna. Le piccole foto che completano l’installazione sono una sorta di making of e conservano quella dimensione intima e familiare che anima lo spirito dei ritratti originali. 

L’importanza che per l’artista le immagini assumono nella costruzione di un’identità nazionale istituzionale è rappresentata anche da Nationalism, you wild beast (2023): un arazzo realizzato nell’ambito di un progetto che consisteva nella collaborazione di artisti contemporanei con artigiani tessili.

La composizione prende spunto dal simbolo dell’aquila che si ritrova nella bandiera nazionale albanese ibridata con “altre creature”, presenti sulle bandiere degli stati nazionali: mammiferi, uccelli, rettili fino a creare un’immagine ambigua e metamorfica, una sorta di nuova chimera.

Se il kilim è stato realizzato con tecniche tradizionali, al contrario l’immagine è stata ottenuta rielaborandola digitalmente utilizzando un’estetica da vecchio videogioco.

Di creazione di un immaginario, di origine della fotografia e di allontanamento dalla realtà, di bestiario fantastico creato dall’intelligenza artificiale si può parlare anche in relazione all’opera Does AI dream of extinct birds? (2023): una serie di nove stampe digitali raffiguranti uccelli fantastici che mutua il titolo dal romanzo distopico di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep? nel quale alcuni dei temi erano generati dall’interrogativo su cosa è reale e su cosa non lo è in un immaginario dominato da dinamiche repressive e dalla manipolazione tecnologica.

Sull’archivio personale di Francesco Fagnani, reporter che visitò l'Albania nel 1993, è costruita la serie fotografica Imperfect Lullaby (2023).

Le foto originali in bianco e nero di piccolo formato sono state ingrandite e colorate attraverso un'applicazione online che si avvale dell'intelligenza artificiale.

Alle immagini sono state aggiunte, a margine, didascalie non dialogiche, come sottotitoli che raccontano ai sordi ciò che si sente (e non si vede) nella scena.

Molti dei lavori di Lori Lako attenzionano il paesaggio quale dispositivo attraverso il quale cogliere le trasformazioni dei Balcani.

Ramiz Alia (segretario generale del partito nel 1986 e capo dello stato nel 1987) nel 1990 cercò di riconfigurare l’identità nazionale dell’Albania riconnettendola culturalmente e economicamente agli altri paesi della penisola balcanica. Tuttavia i Balcani sono stati scenario di guerre per tutto il corso del Novecento, a partire dal secondo decennio del secolo fino ad arrivare ai più recenti anni Novanta.

La trasformazione del paesaggio, della sua antropizzazione e della rovina e dell’abbandono poi di strutture produttive o urbane dà modo di costruire senso in merito a questioni sociali, economiche e culturali.

Nella videoinstallazione W-here is Balkan? (2023) l’edificio dove si svolge l’azione è il Palazzo della Gioventù e dello Sport di Prishtina, simbolo e punto di riferimento importante della città dal 1977, anno della sua costruzione ma il cui ambiente principale, teatro di molti eventi sportivi dell’ex Jugoslavia e dei Balcani, è stato devastato da un incendio nel 2000 e da allora utilizzata come parcheggio.

Nel video si vede un gruppo di bambini che rigenerano la sua funzione originaria giocando a calcio con un pallone che reca, sulla sua superficie, la mappa dei Balcani, penisola scenario di guerre e conflitti secessionisti. Nel gioco i bambini calciano la palla lontano da loro poiché è sempre l'altro a essere “i Balcani”, un territorio ampio, complesso, che identifica paesi differenti per lingua, religione attraversato da esodi forzati, guerre civili e instabilità.

Nel video May the best of your yesterdays be the worst of your tomorrows (2022) la scena si svolge in un'azienda con sede a Banja Luka, la seconda città per grandezza della Bosnia ed Erzegovina, originariamente produttrice di prodotti in cellulosa, viscosa e carta.

Fondata nel 1954, fu un importante insediamento industriale durante l'era socialista.

Dopo un periodo di declino negli anni '80 e la guerra in Bosnia negli anni '90, la fabbrica chiuse i battenti e fu successivamente divisa in diverse imprese più piccole.

L’area è in gran parte dismessa e viene spesso nominata come la “Fukushima di Banja Luka”.

Questi luoghi che segnano il paesaggio postindustriale caratterizzato da edifici dismessi e disabitati che, nei Balcani, segna la fine dell’era socialista, possono essere considerati i fantasmi della città, in attesa di un loro futuro destino.

Il video mette in scena una delle forme più comuni di incontro sociale negli spazi pubblici dei Balcani: gli uomini che bevono rakia e fanno un brindisi dopo l’altro, augurandosi giorni migliori, fino alla loro sparizione.

Le frontiere dell’Albania sono state chiuse per molto tempo. La popolazione non poteva ottenere visti per l’estero e non poteva viaggiare. Visti di lavoro iniziarono a essere concessi a partire dal 1990 e di quell’anno è l’invasione delle ambasciate da parte di richiedenti asilo politico.

Gli anni Novanta sono stati il decennio delle migrazioni del popolo albanese. L’immagine iconica del grande esodo e dello sbarco in Italia è quella della nave mercantile Vlora che nell'agosto del 1991 attraccò al porto di Bari con a bordo oltre 2000 persone.

Nell’opera video Now and then (2016) l’artista costruisce una sorta di corto circuito tra tempi e luoghi. Il video unisce due eventi storici legati all’attraversamento illegale dei confini nazionali.

L’audio riproduce le voci di partecipanti alla ‘Caminata Nocturna’ che si configura in prima istanza come esperienza didattica che nasce nel 2004 a nord di Città del Messico e a più di 900 km dal più vicino confine con gli USA, nel Parque EcoAlberto, per sensibilizzare i giovani sui pericoli dell’emigrazione illegale e è diventata un’attrazione turistica dove per pochi pesos gruppi di turisti intraprendono, accompagnati da guide nei panni dei trafficanti, una marcia di diverse ore che ripropone pericoli, fatiche trasformandoli per alcune ore in messicani nel disperato tentativo di varcare i confini.

Sul desiderio di allargare i propri confini, sui pericoli e le incertezze del viaggio si basa l’installazione Schwimmflügel - I haven’t dreamed of flying for a while (2019) che dà il titolo alla mostra.

Sulla superficie di 15 bracciali gonfiabili, del tipo di quelli che si utilizzano per insegnare ai bambini a nuotare, è stampato un delicato disegno raffigurante il tentativo di volo di un uccello, mentre le istruzioni per l'uso, presenti all'interno dei bracciali, vengono rese visibili e ingrandite. Il prodotto dichiara esplicitamente l’impossibilità di salvare la vita dell’utente in caso di annegamento.

Con materiali tradizionali come la terracotta è realizzata la scultura Orme (2023): due calchi di impronte lasciate dalle suole di scarpe a ricordare quelle che gli uccelli lasciano sulle spiagge e che rimangono unica traccia di un passaggio. Il calco rileva il peso della persona nell’assenza e nella sparizione del corpo che ormai è altrove.

Lori Lako ha desiderato vedere l’America attraverso i racconti di chi, a sua volta, aveva raccolto testimonianze di conoscenti e famigliari che avevano attraversato il mare in tempi diversi. Ha scelto di venire in Italia per motivi di studio e qui è rimasta. Senza avere per lungo tempo la possibilità di viaggiare a sua volta altrove perché il suo visto non lo permetteva.

Per formazione, indole e cultura la sua è una consapevolezza informata che le fa leggere i fatti della storia in una prospettiva critica.

Assuming we can reach the sky (2022) è un’opera composta da un collage digitale a partire da un album fotografico domestico e un video.

Le fotografie e le cartoline inviate dai familiari dell’artista che si sono trasferiti negli Stati Uniti negli anni 90 e nei primi anni 2000, hanno, nel tempo, costruito un immaginario e un desiderio che si confronta, in quest’opera, con il video girato con lo smartphone durante il primo effettivo viaggio dell’artista in America che riprende, lo sviluppo verticale di alcuni dei grattacieli più alti di New York per tornare poi allo sguardo nell’infinito del cielo.

L’opera Woven Echoes che Lori Lako ha realizzato appositamente per Santa Croce sull’Arno nasce da dialoghi che si sono protratti nel tempo intercorsi tra l’artista e alcune donne di origine albanese che vivono nel territorio.

L’artista ha cercato persone che avessero ancora in casa manufatti come arazzi, ricami, lavori all’uncinetto realizzati in Albania e che, nel momento di trasferirsi, affrontare il viaggio verso l’Italia o quando sono ritornate in Albania per brevi visite e poi rientrate, hanno deciso di portare con loro.

Questi oggetti di arredo e per uso domestico, realizzati con mano creativa e spesso con grande perizia, hanno frequentemente fatto parte di corredi destinati alla propria vita matrimoniale a o a quella delle loro figlie. Alcuni oggetti sono stati poi messi da parte e conservati, talvolta perché si pensava che non fossero più attuali.

Disegni e motivi decorativi tradizionali e innovativi, tecniche, utilizzo, sono stati argomenti che hanno poi portato a parlare della loro realizzazione, del contesto famigliare e di relazione, delle situazioni economiche e sociali in cui queste donne hanno vissuto la loro infanzia, adolescenza, maturità prima in Albania e poi in Italia. Sono stati l’origine di racconti sul viaggio e sulla migrazione, su cosa è importante lasciare e cosa portare in momenti delle loro vite che hanno segnato un importante cambiamento.

Lori Lako costruisce così un doppio archivio, visivo e sonoro, che riscrive la storia personale e le vicende più intime, i desideri e le vicissitudini e le proietta in una sfera collettiva.


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