Ritardarono il parto cesareo danneggiando il bambino: condannata l'Azienda Ospedaliera

 

I fatti risalgono al 2005, come riporta il Tirreno, quando una donna alla trentesima settimana di gravidanza si presentò all’ospedale di Livorno in serie condizioni di salute. Da lì il trasferimento tramite ambulanza all’ospedale Santa Chiara di Pisa, in quanto attrezzato di una struttura di terzo livello con un’unità di terapia intensiva neonatale.

La signora come si apprende dal quotidiano toscano, sarebbe arrivata all’ospedale di Pisa alle 10:30, qui secondo la consulenza disposta dal Giudice e accettata in sede d’Appello, venne compiuto un unico errore nella procedura medica che divenne la base per l’insorgere dei problemi di salute del piccolo.

L’errore, si legge, fu scaturito dal ginecologo il quale di fronte ad una ecografia patologia, che descriveva un “distacco di lembo distale della placenta” in concomitanza con una “discreta perdita ematica vaginale”, decise di non svolgere il parto cesareo nell’immediato (alle ore 14.35) ma di aspettare. Il parto fu eseguito alle ore 15.20, quando le perdite divennero “abbondanti” e si presentò una bradicardia fetale. Secondo gli atti del processo è possibile che fu proprio il sopraggiungere della bradicardia e la conseguente mancanza di ossigeno unito al ritardo nel decidere di operare il cesareo, a causare i danni celebrali al piccolo, influenzando la sua corretta ossigenazione celebrale e portandolo ad una disabilità permanente del 80 per cento.

Questa vicenda è stata susseguita da una battaglia legale, che momentaneamente, vede l’Azienda Ospedaliera  pisana condannata al pagamento di quasi 1.3 milioni a seguito della decisione della Corte di Appello di Firenze.

I giudici di secondo grado hanno rigettato il ricorso dell’Aoup contro la sentenza del Tribunale di Pisa del 2022, confermando la responsabilità dei sanitari e limitandosi a modificare la cifra del risarcimento per un’errata applicazione delle tabelle.

La Corte d’Appello, infatti, pur confermando la condanna di primo grado, ha modificato le tabelle applicate nel primo processo, in riferimento al danno biologico per l’invalidità, ricalcolando la percentuale di disabilità dal 90 per cento al 80 per cento. Questo ricalcolo considerando nel frattempo l’uscita di altre tabelle e la necessità di rivalutazione dal 2005, ha portato l’importo ad aumentare raggiungendo circa gli 1.3 milioni di euro.

È inoltre doveroso dire, citando gli atti giudiziari ripresi poi dal Tirreno, che il Tribunale di Pisa prima e poi la Corte di Appello di Firenze, hanno escluso qualsiasi responsabilità da parte del personale dell’ospedale livornese evidenziando al contrario un 50 per cento di responsabilità ai medici presenti in sala parto ed un altro 50 per cento alle tempistiche dell’operazione cesarea.

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