È il 2019 e Rick Rubin acquista Cotorniano, settemila metri quadrati edificati, fra cui una bellissima villa, 160 ettari di terreno coltivabile e bosco, che comprendono anche due grandi poderi, a Casole d'Elsa (SI), il comune in cui ho vissuto fino a ieri, che conta più o meno quattromila abitanti e che considero casa. La notizia si sparge velocemente, soprattutto in paese, e viene accolta con grande entusiasmo, anche perché il guru della discografia mondiale pare che intenda aprire qui una scuola internazionale per giovani talenti della musica e un centro di registrazione fra i più avanzati del mondo.
Pochi anni dopo quel centro è realtà e Jovanotti, che si fa vedere in più di un'occasione nel borgo toscano, è proprio qui per registrare il suo ultimo disco, Il disco del Sole, documentando sui social tutto quel che succede “in questa specie di laboratorio nel mezzo della selva”.
Passano altri anni e arriviamo a pochi mesi fa, quando inizia a spargersi la voce di un festival super segreto che Rick Rubin vuole organizzare a Casole con alcuni degli artisti più importanti con cui ha lavorato nel tempo. È successo per davvero, adesso possiamo dirlo, venerdì 21 e sabato 22 giugno 2024. Il Festival of the Sun è il nome della manifestazione, in occasione del solstizio d'estate e del giorno più lungo dell'anno. Quello che si sa, anche tra chi vive in paese, è pochissimo. Fino all'ultimo è tutto top secret e ogni dettaglio oltre alle date e al luogo è accuratamente nascosto per evitare che troppe persone possano accorrere, rischiando di superare la soglia di capacità delle strutture e degli spazi, che non sono certo grandi abbastanza per accogliere decine di migliaia di persone.
Confesso di aver ingenuamente pensato una settimana fa: “Se non si sa nulla di questo festival, si rischia che non ci sia nessuno”. E invece all'organizzazione è bastato diffondere la notizia alla stampa tre giorni prima dell'evento, pubblicare online un sito internet che non contiene praticamente nessuna informazione rilevante su ospiti e programma, qualche storia sui social e il gioco è fatto. Mi scrivono conoscenti anche da molto lontano, mi scrivono gli amici di amici per chiedermi se vale la pena mettersi in macchina da Bologna, da Roma, se so qualcosa sugli ospiti presenti. Non so niente ovviamente.
Poche ore prima dall'inizio, sul sito appaiono gli orari indicativi degli spettacoli, dalle 16 alle 20 del venerdì, che non vengono propriamente rispettati. Le performance però sono tutt'altro che deludenti e si alternano tra la Collegiata di Santa Maria Assunta e la Piazza della Libertà, allestita per l'occasione con un grande palco. Suonano Krishna Das, Jovanotti con Adriano Viterbini, i Gossip, appena prima della data milanese, e James Blake, che si esibisce in un suggestivo concerto al piano nella chiesa. Jovanotti spiega come è nato tutto: “Eravamo in macchina attraverso la Toscana e Rick era estasiato e affascinato. Gli raccontavo di questa terra e lui si è innamorato, come è facile innamorarsi di queste zone. Ma lui si è innamorato perdutamente e adesso è uno di voi”.
Per le vie ci sono altri vip come Madame, Levante, Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Dario Mangiaracina (La Rappresentante di Lista), Ghali. Non sono lì per caso chiaramente, ma ospiti del festival con accessi privilegiati agli spettacoli, non tutti aperti al pubblico di noi comuni mortali.
Il giorno dopo sembra di giocare al “nome più grosso”: al bar si dice che ci sono anche Paolo Sorrentino, Sting, Robbie Williams, Leonardo Di Caprio, George Clooney, Brad Pitt e non mi stupirei se a un certo punto spuntasse chi confessa di aver intravisto addirittura il Papa.
In tarda mattinata, sul sito della manifestazione, vengono pubblicati gli orari del sabato: dalle 15 alle 20, anche stavolta disattesi. Intorno a me c'è gente della zona, qualcuno che è arrivato da Firenze e dalla Val di Chiana, ma anche chi è venuto a Casole d'Elsa la mattina da Livorno o da Pisa. La piazza si riempie velocemente nel pomeriggio e la fila per entrare nella Collegiata dura un'ora. È la volta del dj Cosmo Gonik, della cantautrice londinese Lucinda Chua, di Rhye, di Julia Johansen (Oracle Sisters) e della pianista Marie Awadis. Nella chiesa, sugli scalini davanti agli strumenti musicali, prende la parola Sirio Giotti, un ristoratore casolese, che racconta emozionato come ha conosciuto Rick Rubin e sua moglie Mourielle, come sono diventati amici e li ringrazia davanti a tutti per questi due straordinari giorni. Poi la scena viene rubata da Win Butler e Régine Chassagne degli Arcade Fire, che si esibiscono anche dopo in piazza, spostandosi con il pubblico da un luogo all'altro come in una sorta di processione sulle note di Wake up.
A questo punto dell'articolo, per onestà nei confronti di chi legge, devo fare coming out e dichiarare pubblicamente che sono una grande fan degli Arcade Fire. Ho tutti i loro album, mi sono persa solo un live in Italia e custodisco nel primo cassetto del mobile in soggiorno il biglietto per il concerto del prossimo 2 luglio a Milano. Non riesco a esprimere a parole lo stupore, la meraviglia, ma anche il senso di incredulità che provo nell'assistere allo spettacolo di uno dei miei gruppi preferiti direttamente a casa mia, in un piccolo paese di provincia dal quale, normalmente, tocca macinare almeno 70 chilometri per vedere un concerto dello stesso calibro. Non si tratta dell'euforia di avere davanti qualcuno di popolare e conosciuto (quindi “accessibile”, a un passo da te), ma di sentirsi parte di momento unico e irripetibile, di una connessione che solo la musica riesce a creare tra le persone. Non so dirlo, appunto, nemmeno scriverlo, ci vorrebbe forse una canzone.
Mentre siamo in chiesa e canticchio timidamente i brani che conosco meglio, fuori si sente fischiare. Se c'è un concerto dentro, non c'è nessuno che si esibisce in piazza (almeno così ho capito) e le persone iniziano a spazientirsi e a sentirsi troppo trascurate, forse anche prese in giro, perché si aspettano di vedere il live nel palco più grande, anziché nella Collegiata, in cui l'accesso è limitato a circa duecento persone (numeri a occhio, non chiedere alla questura).
Immagino che questo sia il lato negativo di non aver rivelato nulla sulla logistica e lo svolgimento dell'evento. Quello che sicuramente funziona, dal lato dell'organizzazione, è che la gente non riesce a presentarsi in massa pronta per la performance. In altre parole: non tutti vedono tutto, quindi è più facile da gestire.
Alla fine però, come preannunciato, i due artisti canadesi escono fuori e la festa termina in un grande dj set, che è quasi una jam session, ma che è anche un concerto, al quale prendono parte altri ospiti, che si mescolano alla folla, mentre il pubblico balla e salta.
Il giorno dopo è il turno degli scontenti che si sfogano sui social a colpi di commenti affilati. È innegabile che ci siano stati alcuni disagi, che la musica proposta non abbia incontrato i gusti di tutti, che qualcuno sia rimasto a bocca asciutta (l'ingresso al paese era contingentato), ma non ci dimentichiamo che questo festival non è nato per soddisfare le esigenze dei residenti locali.
Rick Rubin ha finanziato interamente l'evento di tasca propria, offrendo un'opportunità unica per i suoi ospiti, ma anche restituendo una parte alla comunità, portando un pizzico di magia in questo angolo di Toscana, creando un ponte tra la nostra quotidianità e il mondo patinato della musica internazionale.
Non tutti possono essere accontentati, è vero, ma il bilancio complessivo dell'evento dal mio punto di vista non può che essere positivo, anche solo per il prestigio dato al nome di Casole e per quanto hanno lavorato le attività della zona.
Pare che sia la prima edizione. E chissà, magari il prossimo anno ci riserverà ancora più sorprese e meraviglie...
Alessandra Angioletti
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