Doggy bag, parlano i ristoratori: "Non serve una legge, deve cambiare la mentalità"

cena ristorante

La pratica della doggy bag, ossia la possibilità di portare via gli avanzi dei pasti non consumati al ristorante, potrebbe non rimanere semplice opzione ma diventare obbligatoria.

Giandiego Gatta, deputato responsabile nazionale del dipartimento Pesca e acquacoltura di Forza Italia, ha avanzato una proposta di legge con l'obiettivo di contribuire a contrastare lo spreco alimentare, uno degli obiettivi fissati nell'Agenda Onu 2030. La proposta sulla doggy bag – la "borsa per il cane" che riprende la pratica di portare a casa gli avanzi da dare appunto al migliore amico dell’uomo – è stata presentata presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati mercoledì 10 gennaio dallo stesso Gatta e dal presidente dei deputati di Forza Italia Paolo Barelli, insieme ai Circoli per l'Ambiente e della cultura rurale, guidati dal presidente Alfonso Maria Fimiani.

Nello specifico, il ristoratore è obbligato a fornire la vaschetta solo in caso di richiesta espressa da parte del cliente, dunque la legge "Obbligatorietà Doggy Bag" imporrebbe soltanto che vengano opposti rifiuti a tale richiesta. I ristoranti, dunque sono tenuti a mettere a disposizione dei clienti contenitori riciclabili o riutilizzabili, altrimenti scatteranno sanzioni tra i 25 e i 125 euro.

Secondo un sondaggio online condotto da Coldiretti-Ixè quattro toscani su dieci porterebbero a casa gli avanzi dal ristorante o la bottiglia di vino non finita e il numero delle persone che non lascia gli avanzi nel piatto quando va a mangiare fuori sarebbe addirittura raddoppiato rispetto a 10 anni fa. La domanda, quindi, sorge spontanea: era davvero necessaria una nuova legge?

“Lo spreco di cibo è un problema drammatico, etico ed economico – spiega Letizia Cesani, presidente Coldiretti Toscana –. Il fenomeno determina anche effetti dirompenti sull’economia, sulla sostenibilità e sul piano ambientale per l’impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti. Ogni proposta, che vada nella direzione di ridurlo, è da accogliere positivamente alla luce anche di una sensibilità crescente da parte dei cittadini. Al momento, chiedere la doggy bag non è molto comune in Toscana, forse perché è ancora forte con un pregiudizio negativo”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Aldo Cursano, presidente Confcommercio Toscana e vicepresidente nazionale vicario di Fipe Confcommercio. “I ristoratori sono da sempre attenti ad evitare gli sprechi di cibo e mettono a disposizione contenitori per chi voglia portarsi via il pasto che non è riuscito a terminare. Non si sono mai registrati problemi o dinieghi da parte dei titolari – conferma –. “Anzi, molti dei nostri ristoratori hanno stretto accordi con le associazioni che si occupano dei meno fortunati per donare l’invenduto a fine giornata. Quindi vediamo positivamente la nuova legge, ma da sola questa non può cambiare la cultura del cliente nei confronti della doggy bag. La lotta agli sprechi alimentari – sottolinea Cursano – si combatte soprattutto instillando una nuova sensibilità nelle persone. Semmai, dal punto di vista dei titolari, è più utile la defiscalizzazione degli alimenti invenduti e donati, tema su cui Confcommercio si è spesa con grande impegno”.

Puntare su iniziative volte a sensibilizzare i clienti trova d’accordo anche Franco Brogi, presidente regionale Fiepet Confesercenti Toscana, il quale però è fermamente contrario alla nuova legge. “Aggiungere un ulteriore obbligo normativo per i ristoratori, i quali già sono ben disposti verso i clienti che domandano di portar via il cibo non consumato, si potrebbe tradurre in un rischio economico: dove c’è un obbligo, infatti, c’è anche una sanzione. Perché non mantenere la situazione com’è, visto che nessun esercente nega una vaschetta a chi la richiede?”.

Infine, Gambero Rosso fa notare che in Italia “la maggior parte degli sprechi alimentari nella ristorazione avviene durante la fase di preparazione degli alimenti (45% del totale), solo in seconda battuta si deve ricercare nei piatti dei clienti (34%), senza dimenticare il deterioramento dei cibi (21%)”.

Giovanni Gaeta

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