Ospedale di Empoli, pronto soccorso in affanno: "Siamo un territorio vulnerabile"

L'intervista a Gianni Piccini, segretario aziendale Nursind Empolese Valdelsa e Valdarno Inferiore


È passata l’Epifania, che tutte le feste porta via, ma il periodo natalizio è stato tutt’altro che gioioso negli ospedali toscani. La sindrome influenzale scatenatasi come ultimo colpo di coda del 2023 ha reso ancor più gravoso il lavoro di medici, infermieri e operatori sociosanitari, rendendo ancor più critica una situazione “da codice rosso” già da molti anni. Il sistema sanitario regionale, ripetono costantemente le associazioni sindacali dei professionisti della salute, è un malato la cui condizione si sta aggravando sempre di più e la nottata è ben lungi dal passare, semmai lo farà.

Non fa eccezione l’ospedale San Giuseppe di Empoli, polo sanitario chiamato a servire un territorio che non si limita al circondario empolese, ma copre anche Valdelsa e la zona del Cuoio.

“Il pronto soccorso del San Giuseppe ha registrato oltre 200 accessi al giorno durante le festività natalizie – dichiara Gianni Piccini, segretario aziendale Nursind Empolese Valdelsa e Valdarno Inferiore –. E non si tratta di un exploit: l’ospedale di Empoli è inferiore per accessi al pronto soccorso solo al Santo Stefano di Prato, dal momento che i pazienti del capoluogo toscano vengono sparititi tra i presidi sanitari fiorentini. Quest’inverno, poi, è mancata una programmazione sanitaria capace di affrontare adeguatamente una sindrome influenzale dai sintomi molto forti e il ripresentarsi dei contagi covid”.

A preoccupare il sindacalista Nursind sono le lunghe attese per ricoveri. “Siamo arrivati ad avere tutta l’Osservazione breve occupata da pazienti in attesa di posto letto, perché tutti i reparti, in particolare la Degenza medica, sono quasi sempre al completo. La direzione aziendale empolese ha deciso di incrementare di un posto letto ogni setting medico, ma la situazione rimane sempre ingolfata. Addirittura, nella sala delle emergenze del pronto soccorso, che ha una capienza di tre posti letto, molto spesso erano presenti quattro letti, tutti occupati. Tale situazione, si va a ripercuotere sulle attività svolte dalle ambulanze, costrette a rimanere ferme anche un paio d’ore con il paziente in barella”.

A rendere più sconfortante la situazione è la consapevolezza di essere di fronte a una ferita ormai incancrenita, perché alla carenza strutturale si affianca la ben nota insufficienza di personale medico e infermieristico. Criticità che vengono da lontano, e che l’emergenza covid ha solo acutizzato.

“Se si creassero più posti letto si potrebbe creare anche ipotizzare un aumento di personale, che comunque non mostra numeri incoraggianti nelle graduatorie. Purtroppo, esistono vincoli sulle assunzioni che risalgono a una legge del governo del 2004, che sostanzialmente ha bloccato qualsiasi aumento di personale. La stagnazione che viviamo oggi è partita 20 anni fa ed è frutto di una decisione politica”.

In Toscana, poi, la scure è calata in maniera particolarmente pesante. “I tagli eseguiti dalla nostra Regione negli ultimi 20 anni si attestano tra i più pesanti rispetto a tutte le altre regioni italiane. Oggi si registrano 3,2 posti letto ogni 1000 abitanti, mentre il parametro nazionale e medio e di 3,7”.

A rendere ancora più drammatica la situazione ci pensa il calo di iscritti alla facoltà universitaria. “Il gioco non vale la candela – ammette Piccini –. Di fronte a pesanti responsabilità, carichi di lavoro sempre più gravosi e situazioni stressogene in costante aumento viene corrisposto uno stipendio palesemente inadeguato. Non è una sorpresa che Medicina e Infermieristica non riscuotano l’appeal di un tempo”.

A svuotarsi di medici e infermieri, tuttavia, sono soprattutto le corsie degli ospedali pubblici. L’emorragia di personale, infatti, in realtà è un sistema di vasi comunicanti che va a vantaggio delle strutture private, capaci di garantire stipendi più alti e situazioni di lavoro più tranquille. Un esodo che per ora riguarda soprattutto i medici, ma che lentamente sta coinvolgendo sempre più anche gli infermieri. “E dire che trent’anni fa sarebbe stata una scelta singolare licenziarsi dal pubblico per andare nel privato” sospira il segretario Nursind empolese.

Piccini sottolinea come l’Empolese-Valdelsa e il Valdarno Inferiore dal punto di vista sanitario siano caratterizzati da una preoccupante debolezza. Con la chiusura degli ospedali periferici, orientata a costruire un unico polo per gli acuti, secondo Nursind non sono stati predisposti gli strumenti necessari per gestire adeguatamente i pazienti cronici a casa, rendendo vana anche l’idea alla base della riorganizzazione sanitaria.

“Il medico di famiglia si occupa di oltre 1500 pazienti mutuati, non può certo svolgere il controllo stretto di cui necessita una persona fragile. Una visita ritardata anche solo di un paio di giorni può costringere al ricovero un paziente fragile. A causa delle mancate prestazioni mediche molti pazienti cronici si riacutizzano e vengono ricoverati in ospedale, gravando sui posti letto disponibili tarati su un numero minore di accessi. La carenza di posti letto, quindi, costringe a dimissioni precoci e non è raro che lo stesso paziente ritorni dopo pochi giorni di nuovo in ospedale”.

“Di fronte a un paese che invecchia inesorabilmente – conclude – è necessaria una rete di assistenza territoriale capillare ed efficiente. Potenziare il numero degli infermieri di famiglia e di comunità sarebbe di grande giovamento per la Toscana, ma servirebbero ingenti investimenti di cui al momento non se ne riscontra la volontà politica”.

Giovanni Gaeta

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