Nel bene o nel male, l’opera dei volontari è stata spina dorsale dei primi interventi in aiuto delle zone che nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 novembre sono state travolte da acqua e fango: una tempesta che ha causato otto vittime e inabissato Campi Bisenzio, Prato, Montemurlo, Seano e Quarrata.
A questo tsunami ha risposto la marea di volontari giunti da ogni parte della Toscana e anche da fuori, armati di pala, secchi e voglia di dare una mano.
Stretto tra turni di lavoro e appuntamenti non rimandabili sono riuscito anch’io a dare il mio piccolo contributo. Ero dubbioso, perché per esperienza le azioni di volontariato spontaneo sono sempre ritratte in maniera luminosa, e ci mancherebbe, ma vengono omesse le problematiche che pure un’azione compiuta con tutto il cuore può creare, se mancano preparazione e coordinazione.
Tuttavia, quando sono passato per via Libero Roti – la strada che dalla rotonda posta tra San Donnino e San Piero a Ponti ti porta verso il centro Campi – il cuore ha sussultato: quella che era un’importante via di collegamento si era trasformata in un pontile di asfalto in mezzo a un lago dal colore terroso. L’acqua lambiva la carreggiata ed era vicinissima alle case dall’altra parte della “riva”.
Il giorno dopo, quindi, armato di secchio e indossando stivali da neve di una misura più grande – acquistati per l’occasione e mi è andata bene trovare almeno quelli – sono andato a dare una mano in un condominio di Campi Bisenzio, non lontano da Villa Montalvo e dall'esondato torrente Marina.
Nella piazzetta condominiale erano presenti anche i volontari “regolari” della Misericordia e della Protezione civile, ma a colpirmi sono stati i molti giovanissimi in azione. Qualcuno (sicuramente non più giovane) ha definito le nuove generazioni pigre e poco propense a sporcarsi le mani. Avrebbe dovuto essere lì e vedere decine di adolescenti, tra cui anche ragazzine che sì e no avrebbero pesato 40 chili bagnate, sguazzare tra fango e acque putride mentre svuotavano le cantine con i secchi. Per quello che vedevo, la spina dorsale della “forza lavoro” erano proprio ragazzi che a stento superavano la maggiore età. Oltre a farmi sentire dannatamente vecchio, la situazione mi lasciava spiazzato perché era un completo ribaltamento della realtà, con gli “over” a chiedere indicazioni agli “under”.
Nel trasportare secchi pieni di liquame e ammassare in piazzetta ciò che rimaneva di quanto era custodito negli appartamenti al pianterreno, al sicuro fino all’altro ieri, non mi sono perso a guardare la devastazione intorno a me. Ero troppo impegnato a evitare che la mia goffaggine mi facesse scivolare sul fango o facesse cadere quello che stavo portando. Solo dopo, a giornata finita, ho ripensato che tutta quella roba fradicia e fangosa, accatastata in vari punti della piazza fino a riempirla, se non addirittura lanciata come un pesante sacco dell’immondizia… era la vita di qualcuno.
I residenti, dal canto loro, facevano appello a tutta la loro forza d’animo: ci sarà un tempo per fermarsi e piangere, ma non è questo il giorno. Ora si spala e si svuota.
A un certo punto una ragazza ha chiesto se la pompa avrebbe raggiunto anche le cantine che stavamo svuotando con i secchi. Mi sono girato per ascoltare la risposta ma non c’era nessuno. Lo stava chiedendo a me; probabilmente perché in quel frangente ero l’unico adulto della squadra. “Non lo so, io tiro solo fuori la roba” rispondo.
Un altro ragazzo ha suggerito che sarebbe stato meglio aspettare che arrivasse la pompa a svuotare la cantina.
“Ma arriva davvero la pompa?” gli ha replicato la ragazza.
“Ah boh”.
Dall’altra parte del cortile hanno sentito i nostri dubbi e un volontario della Misericordia avverte che la pompa è rotta e stanno cercando di ripararla.
Intanto continuavamo il nostro facchinaggio al contrario. Ero uno di quelli con più forza, quindi mi è toccata la roba più pesante: faticoso ma (egoisticamente) appagante: è bello sentirsi utili. Dopo una mezz’ora di armadietti, reti di letto e comodini caricati e scaricati, sembra che abbiamo commesso un errore: il proprietario della cantina aveva messo da parte alcuni oggetti salvati e noi li avevamo buttati nella catasta della mobilia da rimuovere.
“Erano mattonelle pulite, non ve ne siete accorti?”. No, non ce ne eravamo accorti.
Lo sfogo è durato qualche minuto, ma il sentimento generale era di estrema riconoscenza verso chi era venuto ad aiutare, pur con tutti i limiti del caso.
“Meno male che ci siete stati voi” ha detto una donna abbracciando una delle giovanissime volontarie, entrambe coperte di fango.
Quando si è fatto buio, i lavori si sono interrotti per riprendere il giorno dopo. È il momento più amaro, secondo me, che segna la differenza tra chi torna a casa contento di aver fatto la propria parte e chi invece rimane, obbligato a riemettere insieme i cocci di quanto l’acqua non ha distrutto.
Giovanni Gaeta
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