Nello studio di Andrea Simoncini

Ad Andrea Simoncini verrà dedicata una personale allo Spazio dell’Orcio di San Miniato, curata da Gabriella Gentilini, importante storica dell’arte, membro dell’Accademia dell’Arte del Disegno. La struttura medievale dell’Orcio si sposa bene con le opere di Simoncini, sia per le tematiche che per i temi affrontati. Ha scritto di lui la Gentilini: “Il territorio sterminato e mutevole che da sempre stimola la creatività di Andrea Simoncini si concilia con le sue grandi doti artistiche ed intellettuali e con le sue profonde conoscenze di studioso a tutto campo, rigoroso nella ricerca e nella tecnica, libero e fantasioso nella rappresentazione. Attraverso un itinerario pittorico ricco di tematiche e di contenuti, l’artista ci guida alla rilettura della civiltà umana dalle origini primordiali fino ai nostri giorni”.

In effetti le opere di Simoncini hanno il carattere di dejà vu, di qualcosa che conoscevamo da prima, anche se rinnovato all’interno di una importante ricerca iconografica e anche cromatica, con l’uso di un’intera gamma di colori, spesso inusuali, in volti dove predomina il rosso acceso e il verde.

Facce appunto, che rappresentano personaggi noti, citazioni da artisti importanti, anch’essi spesso rappresentati: da Dante a Piero della Francesca, da Raffaello a Michelangelo, ritratti all’interno di opere di notevole forza e originalità. Ci sembra insomma questa la caratteristica principale dell’arte di Andrea Simoncini, ciò che rende singolari le sue opere, una sorta di surrealismo, di metafisica, ottenuta costruendo universi propri, nel taglio degli spazi e nell’uso del colore, steso spesso a spatola, con una cromia molto poco naturalistica. I quadri, tra l’altro, sono divisi in più sezioni, con un sopra e un sotto, una parte destra e una sinistra, che in genere rispondono a diverse concezioni del dipingere. Più naturalistica una delle due, astratta o informale l’altra, con strisce di colore che creano armonia all’interno dell’opera.

Lo ha scritto anche Duccia Camiciotti: “Una pittura completamente sui generis…

Dal classico al cubismo, e infine al volumetrico transformale. I volti delle figure, pur così parlanti nel movimento e nella mimica, non hanno lineamenti, ma l’espressione si ricava con straordinaria evidenza e le immagini balzano in rilievo come statue, prendendo consistenza prospettica a tutto tondo attraverso le pieghe delle forme”.

Simoncini è certo figlio della scuola fiorentina, che ha frequentato attraverso quelli che ne erano i pittori soprattutto a cavallo degli anni 70-80, pensiamo ad esempio a Silvio Loffredo, recentemente riproposto al grosso pubblico, proprio grazie ad una importante mostra tenuta in piazza San Marco, nella Galleria

dell’Accademia delle Arti del Disegno; tra l’altro oggetto di un bel libro curato da Marco Moretti, che ha anche ordinato l’esposizione. Dietro alle opere di Simoncini si può intuire la scala cromatica e compositiva di artisti come Loffredo, la sua fantasia, il suo rapporto con il mondo. Chiaramente ci sono altri pittori, altre influenze, qui ci basta citare qualcuno, anche per dire che, in realtà, esiste anche una notevole distanza, tra i possibili riferimenti e l’artista di cui stiamo parlando e che, ormai l’abbiamo detto più volte, risponde ad un suo progetto esclusivo, il suo dipingere potrebbe anche non piacere, ma ha tutte le carte in regola, perché se ne possa discutere all’interno di una nuova pagina della storia dell’arte toscana e nazionale.

Si pensi al suo “Omaggio a Raffaello”, evocato attraverso uno sporto, una specie di finestra in primo piano. Ha il classico berretto, i capelli lunghi, il volto realizzato senza gli occhi e con la bocca che non si vede, occlusa dalla parte inferiore della finestra stessa. Che sia un ritratto particolare lo si capisce dall’uso dei colori, il giallo, il rosso, l’azzurro. Il quadro è attraversato da una serie di corpi astratti, linee o oggetti di varie forme e colori, che navigano nell’aria, sul fondo blu che allude ad una specie di parete, in basso poi, su un pavimento di colore arancio, c’è l’immagine di cinque magnifici futuristi riuniti, sono Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Gino Severini, a partire da una fotografia realizzata intorno al 1912, e pubblicata in occasione della mostra parigina da Le Figaro. Una immagine che è diventata icona stessa del movimento. Evidentemente Simoncini tenta una sua particolare interpretazione, si tratta di grandi personalità dell’arte in intimi rapporti con il potere: quello papale per Raffaello, quello più politico per i Futuristi. Tra l’altro Simoncini non riproduce la foto, ma la reinterpretazione che ne dà Mario Schifano, che proprio attraverso questo ciclo di quadri, denominati “Futurismo rivisitato”, ha acquisito una fama formidabile, che lo lega a doppio filo con la figurazione di Marinetti & C.

Stessa cosa riguarda la serie di opere dedicate a Dante e alla Divina Commedia, ad esempio il quadro, stavolta diviso in tre settori, con al centro una figura che pensa: forse la famosa scultura di Rodin, con le due parti laterali che sono intrecci di forme e di colori, o meglio di linee che si intersecano, creando un effetto molto particolare.

Ancora il quadro dedicato a Leonardo: lì c’è una finestra analoga a quella dell’omaggio a Raffaello, dove in alto a destra Simoncini allude all’Uomo che grida, il bellissimo disegno realizzato dal genio di Vinci per la Battaglia di Anghiari. Lo spazio è attraversato da un segno di luce, risultato di una vasta composizione cromatica. Nella parte inferiore il quadro è di nuovo un assommarsi di colori, ma soprattutto di forme architettoniche, colonne, una porta, altri elementi, con risultati notevoli.

“La cifra stilistica dell’artista… - ha scritto Silvia Renzi, nel maggio 2016 - si è consolidata da anni nella messa in opera pittorica di un linguaggio metafisico dalle oniriche visionarietà nel rito persistente della memoria, attraverso molteplici riesumazioni culturali di carattere mitico e storico/filosofico dagli stranianti sincretismi figurativi”.

Un ultimo esempio riguarda l’omaggio a Michelangelo, un uomo giunto alla fine dei suoi anni, ultraottantenne, che scolpisce la Pietà Bandini e vede se stesso - questo secondo Giorgio Vasari - attraverso il ritratto di Nicodemo. Simoncini riproduce l’ultima parte della scultura, oggi conservata al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. La testa è al centro del quadro, intitolato “Le pietre di Michelangelo”. Pietre che sono riprodotte sopra alla testa, mentre in basso c’è il solito intreccio di forme e di colori, con linee rette e figure più o meno geometriche. Il significato potrebbe essere un’allusione biografica: Michelangelo tentò di distruggere la sua opera, spaccandola a martellate, l’opera fu acquistata post mortem dalla famiglia Bandini, dopo che un allievo del maestro l’aveva in parte rimessa insieme. Le pietre possono rappresentare questo disfacimento, ma anche il disfacimento fisico dell’artista, che non era quasi più in grado di scolpire un marmo così duro, come quello che gli servì per realizzare la meravigliosa statua.

Cronaca di Andrea Mancini

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