C’è un pezzo di Empoli in una delle più belle realtà del rugby francese. Nello staff tecnico della squadra de La Rochelle che sabato scorso ha conquistato la sua seconda Champions Cup battendo a Dublino il Leinster dopo una partita incredibile, c’è anche Tommaso Boldrini, nostro concittadino che ormai da otto anni lavora nel club della costa atlantica nel fondamentale settore della preparazione fisica, che lui definisce ‘perf’.
Sono nato a Empoli, mio padre era di Ponte a Elsa. Ho fatto le medie alle Busoni, poi l’istituto per geometri Brunelleschi e l’Università a Firenze.
Quale facoltà?
Scienze motorie, terminata la quale ho investito molto sulla mia formazione in Italia ma anche e soprattutto all’estero con stage ed esperienze soprattutto in club di Top 14 e ProD2.
La tua famiglia vive a Empoli?
Sì, ho due sorelle, Francesca e Laura che sono anche loro entrambe laureate, una in giurisprudenza e l’altra in lingue e letterature straniere. Dobbiamo ringraziare la nostra famiglia che ha dato a tutti e tre la possibilità di studiare e poter scegliere liberamente il nostro futuro ed arrivare ad una laurea.
Torni spesso a Empoli?
Il mio lavoro in Francia mi tiene impegnato undici mesi all’anno e, quando il campionato finisce, ho tre settimane di vacanza che mi consentono di stare con la mia famiglia. Da buon italiano è per me una cosa molto importante perché amo loro ed il mio paese.
Veniamo al rugby, come hai iniziato?
Dopo la laurea ho iniziato a collaborare con il Firenze Rugby 1931 prima con i bambini e poi, nel tempo, con la prima squadra. Da lì sono andato ai Cavalieri di Prato dove abbiamo giocato per tre anni consecutivi tre finali scudetto e poi sono andato in una città importante per la palla ovale.
Quale?
Rovigo, dove ci sono cultura e tradizione e dove sono diventato responsabiledella preparazione fisica. Anche lì ho giocato tre finali di fila vincendo lo scudetto nel 2016.
E siamo all’inizio dell’avventura francese
Il responsabile della perf di allora, Michele Colosio, mi disse che stava cercando una figura come la mia che avesse una visione molto ampia e evoluta sulla perf. Ho accettato perché era un importante passo in avanti che mi avrebbe permesso di progredire e sviluppare le mie capacità in un contesto professionale.
Vista oggi fu una scelta felice
Sì, sono rimasto per otto anni ed ho visto il mio club crescere e raggiungere traguardi importanti come le due Champions Cup che abbiamo alzato negli ultimi due anni e alle finali raggiunte nel massimo campionato francese (il Top 14, ndr). Ma, naturalmente, non ci sono solo i risultati ottenuti sul campo e che tutti vedono dall’esterno ma soprattutto quelli legati allo sviluppo dei giocatori giovani e sconosciuti che fanno parte del nostro bacino giovanile per i quali nonostante molte difficoltà siamo riusciti a far performare fino alla nazionale francese. Essere a La Rochelle è un privilegio perché è un club molto attivo con un’organizzazione veramente professionale e tecnici preparati. Ciò rappresenta una componente attrattiva molto forte per i giocatori che firmano con noi perché sanno di poter vincere qualcosa raggiungendo il nostro club.
Una parentesi felice che, però, è quasi al capolinea. Il futuro si chiama Montpellier
E’ la squadra campione di Francia in carica e, come capita a volte nello sport, è stata protagonista quest’anno di una stagione al di sotto delle aspettative.
Il vostro campionato, il Top 14, invece come va?
Manca una giornata alla fine della regular season che per noi sarà ininfluente visto che siamo già qualificati per la semifinale come secondi, un punto dietro alla capolista Stade Toulousain (la squadra che schiera mezza Nazionale francese, ndr). Giocheremo la semifinale a San Sebastian in Spagna e, se dovesse andare bene, la finale sarà allo stade de France a Parigi. Poter lavorare in un campionato come quello francese a questo livello è un privilegio.
Montpellier è un passo avanti per te?
Certo, ogni percorso deve avere uno sviluppo ed obiettivi da centrare. Per crescere in questo lavoro c’è bisogno di contaminarsi con realtà diverse. A La Rochelle c’è uno staff incredibile, fra i migliori in Europa ma per me ora è il momento di partire. Non essendo francese non ho il limite di voler restare nello stesso posto per sempre. Il mio paese è l’Italia e cerco sempre di alzare il mio livello per meritarmi di guidare in un prossimo futuro un cambiamento nella “Perf” in Italia. Penso di poter essere una risorsa per il rugby italiano e, per essere credibile, titolato e competente in una materia specifica non finisci mai di imparare.
Quando parli di perf cosa intendi?
Lo spiego sempre con un esempio. Immagina una sedia che per reggersi ha bisogno di quattro gambe che sono appunto la parte fisica, poi quella tecnica, tattica e infine mentale. Spesso si pensa che quello fisico sia l’aspetto più importante oggi per preparare un giocatore di alto livello tutti e quattro questi aspetti vanno considerati con la stessa importanza; questa per me si chiama appunto “Perforormance”. Noi aiutiamo i giocatori a sviluppare i quattro ambiti, in Italia non so se questo questo oggi accade. Parlo di saper ricercare la “fisio” del rugby sempre con il pallone se possibile perché il nostro lavoro dura quasi undici mesi ma dobbiamo preparare i giocatori su più competizioni allo stesso tempo (Top 14, Champions cup, 6 nazioni, Test match ) perciò basarsi solo e soltanto sull’ aspetto fisico oggi è riduttivo e non rispetta il giocatore e le sfide che deve affrontare. Questa sfida non puoi affrontarla con un approccio vecchio e datato. C’è poi un’altra immagine che spiega bene.
Ovvero?
Quella dei cerchi concentrici. Al centro c’è la cultura, l’identità del club. Il cerchio successivo è il rugby che vuoi giocare e che dipende dal primo. Il terzo sono gli standard che ti dai per giocare il rugby che vuoi rispettando sempre i primi due “cerchi" . Se il giocatore aderisce a questo tipo di messaggio allora non ha limiti e può sviluppare le sue potenzialità all’infinito. Deve essere un competitore nato.
Dicevi che in Italia si lavora in modo diverso
Sì, la cultura francese è diversa e mi chiedo come trasferire questo anche in Italia. La credibilità è il mio valore aggiunto. Non giudico il lavoro della Federazione ma dico con umiltà e senza presunzione che mi sono formato prima in Università poi solo e soltanto nei club che oggi credo mi rispettino per ciò che ho fatto. Dico grazie soprattutto al sacrificio della mia famiglia, oggi sono per loro un motivo di orgoglio. Questo fa parte delle cose che mi fanno apprezzare quello che faccio.
Il rugby è cambiato negli ultimi anni?
Sì, quindici anni fa era uno sport con caratteristiche vicine ad uno sport di resistenza, poi dieci anni fa è diventato di velocità mentre, diciamo da circa cinque anni, è per me accelerazione, decelerazione e combattimento. Ora somiglia di più al football americano con sforzi intensi, esplosivi e corti.
Come è composto il vostro staff?
Siamo venti persone per una rosa di 45/48 giocatori.
E questa finale di Dublino iniziata 0-17 e poi finita 27-26 per voi?
E’ assimilabile alla vittoria della Francia sugli All Blacks nella coppa del Mondo del ’99. Lo 0-17 inziale dimostra come il Leinster sia una squadra rispettabile e preparata. Noi eravamo pronti ad incassare la prima onda ma, quando abbiamo messo le mani sul pallone, le cose sono cambiate. Questa resterà una delle più belle finali degli ultimi venti anni.
Con l’orgoglio di avere un empolese fra i protagonisti e vedergli alzare la coppa. In bocca al lupo Tommaso e, ovviamente, ad maiora.
(ha collaborato Damiano Vezzosi)
Marco Mainardi
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