Come non ricordare Italia Donati e la sua tragica morte in vista dell’Otto Marzo, Festa internazionale della donna? Molto si è scritto su questa giovane maestra: tra le varie pubblicazioni, voglio ricordare il bel romanzo di Elena Gianini Belotti, dal titolo “Prima della quiete”. Dopo attente ricerche sui luoghi delle vicende, l’aiuto delle istituzioni locali e la lettura di un documentato articolo del pedagogista Enzo Catarsi, la scrittrice ricostruisce con abilità la vita della giovane maestra che si suicidò. Molte sono ancora oggi le donne vittime di violenza per mano di un uomo, ancor più durante il periodo della pandemia. Le prime a essere licenziate o pagate meno a parità di condizioni lavorative sono sempre loro: le donne.
Una cultura maschilista si annida ancora nella società e finché si usa violenza, anche psicologica. Contro le donne non “compiremo reali progressi di uguaglianza, sviluppo e pace”.
“Sono vittima dell’infame pubblico e non cesserò di essere perseguitata che con la morte”. Così scriveva Italia Donati al fratello Italiano prima di suicidarsi, perché le era stato insegnato che l’onore era il bene supremo per una fanciulla e solo la morte poteva restituirglielo.
Era il 31 maggio 1886, quando la maestra di Porciano (FR) si gettò nelle acque della gora del mulino sul fiume Rimaggio, dopo essersi tolta il grembiule rosso, indossato per andare a scuola e fermato con due spille l’orlo della veste perché non la trovassero con le gambe scoperte. La tragica morte di Italia Donati fu l’epilogo di continue e infamanti calunnie sui presunti rapporti, mai avvenuti e anzi respinti, con il sindaco Raffaello Torrigiani, da cui dipendeva in base alla Legge Coppino sull’istruzione obbligatoria. Il Torrigiani si vantava con gli amici delle sue conquiste e fomentava chiacchiericci a non finire, anche perché la giovane, per timidezza e per timore di essere licenziata, accettò di essere ospitata nella Villa di Papiano, dove il sindaco abitava con due donne: la moglie Maddalena e Giulia, la convivente.
Presa di mira dalle malelingue del paese, la vita della Donati da quel momento diventò un vero incubo.
Altre due maestre prima di lei avevano ricevuto le stesse attenzioni ed erano state trasferite in altre scuole. La Lastrucci era stata inviata alla scuola di Cecina, con la scusa che fosse miope e non potesse vedere le ragazze in fondo all’aula che chiacchieravano. Purtroppo questi casi non erano insoliti e i primi cittadini abusavano delle giovani insegnanti e ancor di più se di bell’aspetto come Italia.
Anche quando nel 1911, con la legge Daneo-Credaro, l’istruzione elementare passò allo Stato, la condizione delle maestre non migliorò. Più che le leggi, era la cultura del tempo la vera colpevole. La Donati subì una vera e propria inquisizione da parte della gente di Porciano, che per di più vedeva nell’obbligo scolastico l’indebita sottrazione dei figli al lavoro dei campi e la maestra colei che aveva il dovere di far rispettare quella ingiusta costrizione. Matilde Serao scrisse per il Corriere di Roma del 25 giugno 1886 “Come muoiono le maestre”, un articolo in cui denunciava la loro misera condizione e pubblicò un elenco delle vittime. Maestre, sia al Nord come al Sud d’Italia, la cui morte era determinata quasi sempre da calunnie odiose inventate da un pretendente respinto, spesso un loro superiore, che interpretava quella libertà e autonomia come segno di disponibilità, addirittura di libertinaggio.
Italia era nata a Cintolese, a due chilometri da Monsummano Terme nella Val di Nievole, da famiglia contadina, e aveva conosciuto miseria e sofferenze, ma era riuscita a conseguire la patente di maestra con l’aiuto del maestro Giuseppe Baronti. Studiando la storia patria, aveva collegato il suo nome e quello del fratello Italiano al patriottismo di suo padre Gaspero, uomo semplice e mite.
Nata nel 1863, due anni dopo la proclamazione del Regno d’Italia, aveva appreso che l’ideale unitario era molto condiviso nella zona. Si sentiva onorata di portare quel nome e sapere che Garibaldi era stato a curarsi alle terme di Grotta Giusti, il cui ricordo era impresso nella lapide commemorativa, la conduceva dritta in quella storia gloriosa. Ricordava bene quando undicenne, il fratello Italiano l’accompagnò dal Baronti a Monsummano perché la istruisse per conseguire la qualifica di maestra. Anche in quel caso, si levarono voci di disapprovazione e disprezzo con una punta d’invidia mal celata sul suo conto. Non era ammissibile che una figlia di contadini si dedicasse allo studio, perché “bisogna accontentarsi del posto dove si sta, quello che Dio ci ha assegnato! E poi a che serve l’istruzione a una ragazza!”
Così mormoravano i vicini. Conosceva bene la malignità della gente e come amasse chiacchierare e intrecciare ricami sulla vita degli altri. La vita per una ragazza di allora era limitata alla cura della famiglia e al lavoro dei campi; la professione della maestra era l’unica occasione permessa per poter uscire di casa. Ma a Italia costò la perdita della vita per difendere il proprio onore.
Nella lettera al fratello, prima di morire, scriveva che era «innocentissima» e a lui si raccomandava perché il suo giovane corpo fosse sottoposto a visita medica affinché «risorgesse» l’onore. Il Corriere della Sera inviò il giornalista Carlo Paladini a visitare i luoghi dell’accaduto e a indagare sui fatti. Il Paladini, vista la miseria in cui versava la famiglia Donati, suggerì al Corriere di promuovere una sottoscrizione per il trasporto della salma da Porciano al cimitero di Cintolese e per la lapide da porre sulla tomba. Italia, come tante altre, fu vittima di una cultura misogina e maschilista, che ancora oggi è presente nel nostro Paese e non solo.
Le donne hanno intrapreso un lungo e faticoso cammino per la loro emancipazione, ma le leggi, per quanto siano importanti, da sole non sono sufficienti a creare condizioni di pari opportunità. Occorre agire dall’educazione per promuovere una cultura diversa, che favorisca la parità di genere. Italia Donati è stata vittima di persecuzioni moleste e violenza psicologica, oggi punite in quanto reato di stalking in base alla legge istituita nel 2009 dal nostro Parlamento.
La memoria di Italia Donati non è scomparsa e anzi la scuola primaria di Cintolese porta il suo nome ed è giusto spiegare e ricordare ai più giovani chi era la maestrina di Porciano.