Tragedia del Moby Prince a Livorno, Chessa: "Bisogna fare ancora luce"

A Medì (Sant'Egidio) la testimonianza del figlio del comandante. Il 10 aprile l'anniversario: "Un momento difficile, sono più solo"


Il 10 aprile sarà l'anniversario della tragedia del Moby Prince. Luchino Chessa, figlio del comandante del traghetto in cui il 10 aprile del 1991 morirono 140 persone, poco lontano dalla costa livornese, è intervenuto al convegno della Comunità di Sant'Egidio "Medì. Le città hanno un'anima", svoltosi a Livorno. La sua voce insieme a quella di Elie Hasrouthy, ingegnere libanese che ha perso il padre nell'esplosione del porto di Beirut del 4 agosto del 2020. Una strage impunita, con il respingimento delle attese di giustizia dei familiari delle vittime.Due tragedie apparentemente lontane. Entrambe espressione di un Mediterraneo dove traffici di armi, combustibili ed esplosivi circolano e colpiscono al cuore: città ferite, dalla violenza e dall'ingiustizia, indirettamente dalla guerra. Livorno come Beirut. Centinaia di morti, nessun colpevole, almeno fino ad ora."Le tragedie sono tutte simili - continua Chessa - ovviamente ognuna nel suo grande e nel suo piccolo e ognuna nella propria situazione specifica. Però sono tutte tragedie come quella del Moby, che non ha ancora risposte".Angelo Chessa è scomparso recentemente e Loris Rispoli, l'altra voce dei famliari delle vittime della Moby, sta molto male. Per Luchino è più dura: "È molto più difficile per me quest'anno. Da giugno sono più solo".La storia che Chessa racconta rende prova di una vicenda ancora tutta da chiarire: perché tutti i soccorsi quella notte furono dirottati verso la petroliera? Perché nessuno ha pensato al Moby Prince? Perché si è aspettato 90 minuti per identificare il Moby Prince? Perché il comando della Capitaneria non ha fatto niente per salvare le persone ancora vive e non morte - come era stata detto dagli ormeggiatori che avevano recuperato l'unico sopravvissuto, Alessio Bertrand - entro 20-30 minuti, come riportato nelle perizie del primo processo? E qual era il natante che avrebbe ostacolato la rotta del Moby Prince? Cosa ci faceva nei pressi della Petroliera? Cosa si doveva nascondere? Chi ha nascosto?"Anni di manomissioni, depistaggi, omissioni, prese in giro, create ad arte per nascondere qualcosa che quella notte maledetta non doveva emergere e lo Stato, con suoi apparati vari, ha lavorato per inquinare la verità. Ma noi siamo fiduciosi perché ora lo Stato, quello virtuoso delle Commissioni Parlamentari, sta lavorando per la verità e la giustizia".Dal 2013 i familiari delle vittime della Moby non si danno per vinti. Grazie alla forza della loro resilienza e alla campagna mediatica #iosono141, portata avanti da Francesco Sanna, ad una maggiore attenzione dei mass-media, c’è maggiore attenzione alla vicenda e due commissioni parlamentari ne hanno ricostruito almeno in parte la dinamica. La seconda commissione parlamentare presieduta da Andrea Romano ha proseguito il lavoro della precedente. La relazione conclusiva è stata presentata il 15 settembre 2022 e gettato un ulteriore squarcio di luce sulla verità. Si attende una nuova commissione.Intanto la città di Livorno non dimentica, un grande applauso sale dalla platea del Goldoni, attenta e commossa, quando viene detto: "Non vi sentite soli, non siete soli. L'ingiustizia ha una strategia quando vuole restare impunita: alzare intorno alle vittime e a chi le ha amate un muto di silenzio o di diffamazione. Solo la solidarietà buca questo muro. E noi siamo con voi. Lo saremo sempre. Anche questo è nello spirito di Medì".L'appuntamento è per il 10 aprile. Con le immancabili rose rosse.

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