Studenti nella memoria a Firenze, Tatiana Bucci: "L'Italia ammetta che era dalla parte sbagliata"

Tatiana Bucci

Al Cinema La Compagnia di Firenze testimonianze e studenti all'ascolto, Nardini: "Il Giorno della Memoria serve a rinnovare quel mai più". Giani annuncia la ripartenza il prossimo anno del Treno della Memoria


Tatiana Bucci

Tatiana Bucci, una delle due sorelline finite a quattro e sei anni nel campo di sterminio di Birkenau e sopravvissute al dottor Mengele, questa mattina nel giorno della memoria ha parlato di fronte a centinaia di ragazze e ragazzi delle scuole toscane al Teatro della Compagnia di Firenze. Bucci ringrazia ancora oggi il giornalista tedesco Gunther Schwarberg che nel 1959 riscoprì la storia dei venti bambini usati come cavie ed uccisi nel campo di Neuengamme vicino ad Amburgo, contribuendo alla riapertura del processo nel 1963 e alla condanna nel 1966 del medico Kurt Heeismeyer. Tra loro c’erano anche il cuginetto di Andra e Tatiana, Sergio, che all’invito a fare un passo avanti per raggiungere la mamma non seppe resistere e da Birkenau fu trasferito nel luogo dove è morto.

“Grazie a Gunther – racconta Bucci – ho capito che non tutti i tedeschi erano uguali e che c’era differenza tra tedeschi e nazisti. Ugualmente, qualche anno dopo, ho compreso la differenza tra fascisti e italiani”. C’erano infatti anche fascisti e collaboratori italiani quando la famiglia di Tatiana ed Andra fu portata via di casa, a Fiume in Istria, e poi deportata. Lì come in molti altri rastrellamento e stragi. Altri si girarono di schiena.

“Vorrei che anche noi italiani facessimo i conti con il nostro passato come hanno fatto i tedeschi – si sofferma – Prima di andarmene mi piacerebbe ascoltare quattro parole a nome di tutta l’Italia: “eravamo dalla parte sbagliata”. Ancora invece nessuno l’ha fatto ed ha ammesso apertamente quelle colpe”. “E questo – aggiunge – mi fa male”.
Dopo aver vissuto l’orrore dei lager, si chiede “dove era Dio”. Tatiana è però ottimista sul futuro e ripone grande aspettative nei giovani. “Ne ho visti tanti nel corso di numerosi viaggi della memoria – ricorda - . Vogliono capire. Arrivano preparati. Ascoltano. Anche stamani li avete visti: tre ore di interventi e non è voluta una mosca. Un buon segno”. “Ho molta fiducia nelle giovani generazioni – conclude -. Liliana (Segre ndr) è pessimista. Io sono più ottimista: la memoria sopravviverà”.

Gli studenti toscani tornano nei luoghi di Memoria, Giani: "Il Treno ripartirà il prossimo anno"

Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana

“L’esperienza del Treno della Memoria ripartirà il prossimo anno”. Ad annunciare il ritorno per la tredicesima edizione dell’iniziativa che ha visto la Toscana come prima Regione ad organizzarla è il presidente Eugenio Giani, in occasione del Meeting con le scuole che si è svolto questa mattina, nel Giorno della Memoria, al Cinema La Compagnia di Firenze.

“Il Covid ha purtroppo turbato i nostri piani, ma dall’anno prossimo torneremo ad organizzare il viaggio con gli studenti come abbiamo sempre cercato di fare”, ha sottolineato Giani che ha spiegato come “Il Treno della Memoria necessita di un’organizzazione e una programmazione di almeno 7-8 mesi e lo scorso anno vivevamo ancora una una situazione di incertezza riguardo all’andamento della pandemia”.

La stessa presenza oggi al Meeting di due sopravvissute, da bambine, all’inferno dei campi di sterminio nazisti come Tatiana Bucci e Lidia Maksymowicz dimostra quanto sia “importante – ha dichiarato il presidente - trasmettere alle giovani generazioni il senso della Memoria del momento più drammatico che l’umanità ha vissuto, quando si sterminavano per motivi etnici, religiosi, razziali, persone assolutamente innocenti e prive di qualsiasi profilo di responsabilità”.

“Sono il nazismo e il fascismo che ci hanno portato a questo e dal nazismo e dal fascismo dobbiamo stare tutti assolutamente lontani”, ha tenuto a sottolineare Giani, aggiungendo con lo sguardo rivolto all’attualità: “lontani anche da quei meccanismi che poi con il populismo, il sovranismo possono portare a prendere quella china che drammaticamente portò a episodi che oggi noi cerchiamo di tenere vivi con la memoria perché non accadano mai più”.

In apertura del Meeting, l’assessora all’istruzione e alle politiche per la Memoria Alessandra Nardini mostra la sua soddisfazione per il ritorno nella manifestazione delle testimonianze dal vivo come quelle di Tatiana e Lidia. Il suo intervento si concentra sul senso del Giorno della Memoria: “Una giornata necessaria”. Perché, citando Primo Levi, “La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia”.

Di fronte ai timori espressi da Liliana Segre sui rischi che tra qualche anno della Memoria della Shoah resti solo una riga sui libri di storia, Nardini ha osservato: “Lo impediremo. La Toscana continuerà a lavorare incessantemente affinché sin tra le giovani generazioni la Memoria di ciò che è stato sia salvaguardata e promossa”.

“Il Giorno della Memoria serve – ha detto Nardini davanti ai 400 ragazze e ragazzi riuniti a La Compagnia e agli oltre 6mila che seguono in streaming - a rinnovare quella promessa, quel ‘mai più’, che l’umanità fece a se stessa dopo gli orrori del nazifascismo”. “Serve – ha insistito – perché dall’abbattimento di Auschwitz sono passate quasi otto decadi, ma leggiamo ancora notizie di giovani bullizzati, persone discriminate per la propria fede religiosa, la propria disabilità, il colore della propria pelle e la loro provenienza, il proprio orientamento sessuale o identità di genere”.

“Serve a confermare – aggiunge - l’impegno a proteggere le democrazie che ci sono state consegnate da chi ha lottato per la libertà fino a sacrificare la vita e a sviluppare su di esse società fondate su uguaglianza, rispetto, pari opportunità, inclusione, non discriminazione”. Una missione di cui “le giovani generazioni devono essere assolutamente protagoniste”, in quanto “sentinelle della Memoria”, come la senatrice Segre ebbe modo di rispondere ad una lettera di una bambina toscana. Ecco perché “è necessario coinvolgere le scuole, come facciamo anche quest'anno in Toscana, per ricordare i milioni di ebrei e, insieme a loro, oppositori politici, omosessuali, rom e sinti, disabili, internati militari, che i nazisti, con la complicità dei fascisti, hanno deportato e sterminato”.

Giorno della memoria, i sopravvissuti si raccontano agli studenti toscani

Tatiana Bucci e Lidia Maksymowicz erano bambine quando furono deportate, come anche Kitty Braun Falaschi, che che non è potuta essere presente e racconta, in un video registrato nei giorni scorsi, la sua storia.

Non vola mosca nel teatro quando Tatiana Bucci inizia a parlare ricordando quella notte di fine marzo 1944 in cui tutto per loro è cambiato. Gli occhi dei ragazzi sono fissi su di lei.
Parla della nonna inginocchiata, a supplicare tedeschi e fascisti italiani che portassero via lei e non la nipote e la figlia. Tatiana aveva sei anni e quattro la sorella Andra. Si assomigliavano tantissimo e fu la loro fortuna, perché il dottor Mengele cercava per i suoi studi ed esperimenti soprattutto gemelli e non finirono così all’arrivo ad Auschwitz nelle camere a gas. Racconta di come fossero ammassati nel convoglio che le portò da Trieste al campo e del secchio in un angolo per fare i bisogni. Storie simili a quelle di tanti altri deportati. E poi l’arrivo: i cani che abbaiavano (una delle sorelle ne ha ancora terrore), la selezione sommaria e gli inabili ed anziani (come la nonna) subito incolonnati verso la morte, la spoliazione di ogni bene, le donne rasate, la mamma che diventava sempre più magra e che avevano paura ad abbracciare. Tatiana rievoca anche la tragedia del cuginetto Simone, che dalla deportazione non ha mai fatto ritorno e quello che è successo dopo la liberazione del campo: i mesi passati in Cecoslovacchia, poi l’orfanotrodio in Inghilterra e il ritorno a casa, con le famiglie delle comunità ebrauica romana a chiedere loro se avessero incontrato i loro figli deportati e non tornati.

Kitty Braun, classe 1936, esule fiumana dopo la guerra a Firenze, dove ha insegnato a lungo alle scuole medie e dove tuttora vive, aveva nove anni quando fu arrestata e deportata. “Fummo discriminati perché ebrei – dice – Il babbo perse il lavoro in banca e io non potei più andare alla scuola pubblica”. Il giorno del suo compleanno era sul treno che la portava a Ravensbruck. La mamma barattò con alcune partigiane un uovo e un po’ di zucchero in una tazza e preparò per lei, il fratello e il cugino Silvio una zabaione. “E fu festa” ripete ogni volta Kitty. Dopo Ravesnsbruck fu trasferita a Bergen Belsen, il campo di Anna Frank. Costretta a starsene per giorni seduta con le gambe piegate, aveva gli arti quasi atrofizzati quando il campo fu liberato. Ricorda l’ odore nauseabondo della zuppa di rape, che provocava spesso diarrea, e il fratello, che morirà subito dopo la liberazione, che si era ammalato di tubercolosi e piangeva perché voleva la mamma. Durante il giorno i bambini rimanevano da soli in baracca. “Stavo appoggiata sotto, al muro, e raccontavo ogni giorno novelle che inventavo – ha ricordato altre volte – Le raccontavo a mio fratello e a mio cugino, gli unici che potevano comprendere l’italiano. Ma anche gli altri bambini si avvicinavano e stavano ad ascoltare”. Anche se non capivano, infondeva a tutti serenità.

La storia di Lidia Maksymowicz, deportata ad Auschwitz quando non aveva ancora compiuto tre anni perché la madre aveva aderito alla Resistenza bielorussa. Anche Lidia, nata a Leopoli ed oggi cittadina polacca, finisce nella “baracca dei bambini” da cui il dottor Mengele prelevava le cavie per i suoi orribili esperimenti.

La sua storia di deportata è simile a quella di tanti altri: gli orrori del campo, la mamma – poi trasferita altrove - senza capelli che la spaventava e di cui si ricorda solo le mani e non la faccia, gli insetti. Dopo la liberazione fu adottata, come altri bambini, da una famiglia polacca.

I segni di Auschwitz ancora però si sentivano: Lidia giocava spesso ‘ai bambini nel campo’, dividendo quelli che dovevano sopravvivere da chi doveva invece andare nelle camere a gas. “Facevo paura ai miei compagni e ai loro genitori” confessa. La mamma intanto la cercava in Russia, perché si raccontava che lì erano stati portati i bambini sopravvissuti. Ma solo dopo diciassette anni si ricongiuranno. Una bella foto in bianco e nero immortala il momento dell’incontro, con la due mamme che tendono la mano attorno a Lidia e si abbracciano.

Oggi Lidia è una testimone della memoria. “Nonostante le violenze subito comunque non provo odio – racconta – Odiando non potrei infatti trasmettere il mio messaggio”.

Fonte: Regione Toscana - Ufficio stampa

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