Nello studio di Valentina Naldini

Valentina Naldini (1982) è un architetto che da qualche anno si è specializzata nella realizzazione di elementi grafici di notevole fascino, sono una serie di intense Madonne Nere e, prima di queste, le carte dei Tarocchi, con i quali, almeno dal 1400, si giocano partite legate a mitologie antichissime, addirittura preistoriche.

Nelle prossime settimane la Naldini sarà presente, presso l’Orcio d’Oro di San Miniato, a parlare del suo mazzo di Tarocchi, quelli maggiori e quelli minori, settantotto carte più una (la “papessa nera”), che lei ha realizzato negli ultimi due anni. Sarà l’occasione per conversare su uno dei più interessanti repertori iconografici della tradizione occidentale, dove una serie di figure, come quella del Matto o dell’Appeso, di Forza e Temperanza, di Imperatore e Imperatrice, rimandano a repertori antichissimi, spesso pre-cristiani.

I Tarocchi rappresentano una tradizione di figure che, in Occidente, è seconda come numero, soltanto all’iconografia sacra, cioè ai santi e alle immagini di Cristo. Ci sono alcune di queste carte, davvero importanti, anche all’interno della storia dell’arte, come quelle attribuite al Mantegna o altre, di fattura ricchissima, proprietà delle grandi famiglie nobili, dal Rinascimento in qua, anche queste realizzate in esemplari preziosissimi, da artisti di chiara fama. Stessa cosa, per il 900, e anche per anni più recenti: in molti si sono avventurati in questo ricchissimo patrimonio di immagini, da Gentilini a Guttuso, da Baj a Luzzati. Certo non solo graficamente, basti pensare al libro di Italo Calvino, “Il castello dei destini incrociati”, pubblicato una prima volta nel 1969, proprio per accompagnare la riproduzione di un mazzo di Tarocchi. Lo stesso romanzo uscì ancora, per Franco Maria Ricci, in una edizione ampliata e di grande pregio.

Calvino realizzò le sue storie, a partire dalla combinazione casuale di alcune carte, collegandosi a studi sulle favole, da Vladimir Jaja Propp a Claude Lévi-Strauss, ma anche a modelli più antichi, con precisi riferimenti, che vanno da Ariosto a Boccaccio e Cervantes, solo per citare alcuni narratori che usano espedienti predeterminati per impostare il loro lavoro.

Forse l’impegno che negli ultimi anni Valentina Naldini ha dedicato allo studio dei Tarocchi, ha un’origine analoga, anche se ci sembra abbia tentato anche un confronto serrato con l’universo femminile, quello delle grandi madri preistoriche, andando dunque a ricercare un patrimonio molto più antico, che ha dato origine alle figure via via riprodotte sulle carte, che possono rappresentare un materiale con il quale confrontarsi. Scriviamo questo, proprio in riferimento agli artifici narrativi usati da Calvino, che dopo “Il castello dei destini incrociati”, scrisse una “Taverna” dagli stessi destini e fu poi tentato da una terza storia, in realtà mai redatta: “Il motel dei destini incrociati”, dove un gruppo di persone, in un futuro post-atomico, cominciano a raccontare, utilizzando come spunto le tavole di un fumetto. Quello stesso genere che in anni più recenti è diventato, anche da noi in Italia, il luogo dove si può ben riflettere su tutto, persino sulla contemporaneità. Perché se le storie per immagini, raccontate nelle chiese (e appunto anche nei Tarocchi), potevano rappresentare la Biblia Pauperum del Medioevo, Rinascimento e anche dei secoli successivi, il fumetto – che privilegia la figura, rispetto alla parte scritta - può diventare l’elemento principe in anni come i nostri, di analfabetismo di ritorno.

“I Tarocchi – scrive la Naldini – non sono altro che specchi, riflettono solo quello che è già dentro ognuno di noi. Per questo motivo troverete, insieme alle carte, un libretto composto solo da pagine bianche, su cui ognuno potrà, se vorrà, raccontare qualcosa di sé”. Ci va insomma, di immaginare che il libretto proposto dall’artista, potrebbe essere messo a disposizione anche del grande scrittore: per ogni nuova combinazione delle carte, un nuovo racconto. Tra l’altro questo della Naldini, come racconto è assolutamente nuovo. Lo notava lo stesso Calvino, c’è una grande differenza tra un mazzo e l’altro, tra la versione più popolare dei Tarocchi di Marsiglia e quella ben più colta, realizzata da grandi artisti per le corti del Rinascimento. Stessa cosa per Valentina Naldini, che parte dalla tradizione, cioè dall’iconografia storica, poi la reinterpreta, realizzando un mazzo di grandissimo fascino, certo non esente dalla sua ricerca grafica e architettonica. Dunque, si nota un rigore di stile che la allontana dagli interventi precedenti, un uso parco dei colori, spesso non distante dal bianco e nero con cui aveva realizzato una prima esperienza di Tarocchi.

Sono immagini di notevole fascino, che montano spesso parti del corpo della stessa autrice, mani, piedi, e altro ancora. Questo insieme a brani della scultura classica, che può anche essere una parte del David o il ritratto di Perseo, l’Appennino del Giambologna o altri elementi non immediatamente riconoscibili. Insomma, un viaggio nella grafica e nel digitale, ma anche una ricerca introspettiva nella femminilità, come percorso di guarigione, che l’ha fatta avvicinare al “femminile oscuro”, alla grande madre, alle cosiddette papesse nere, che hanno dietro anche immagini di Maria Santissima.

Così la Naldini descrive il suo percorso, come “un viaggio fatto di lacrime, ferite, sangue, incubi, proiezioni, pensieri invadenti, cuori che fanno fatica ad aprirsi, silenzi, consapevolezze, risvegli, sogni, visioni, immagini, musica, colori, sorrisi, abbracci, respiri, voci, mani, occhi, vino, cristalli, numeri, simboli, stelle, connessioni. Anime ritrovate. Amore. Un viaggio che ha trasformato quel dolore e che ha trasformato me”.

Da questo viaggio nei Tarocchi, la Naldini sembra far nascere, senza soluzione di continuità, quello più recente sulle Madonne Nere, un culto anche questo molto antico, immesso – come spesso succede – nella tradizione cristologica e mariana, ma probabilmente molto precedente, attraverso la dea Iside che era nera, a rappresentare la Notte che partorisce l’Alba, ma anche più indietro fino alla Grande Madre e al matriarcato, che si ritrovano agli albori della civiltà.

Insomma anche Valentina si è lasciata in qualche modo conquistare da una mitologia sempre ben presente, ma su cui si è cominciato a riflettere solo in anni recenti, un patrimonio di miti e anche di immagini di eccezionale portata, con ricerche ancora agli esordi, che potranno modificare moltissimo la storia e anche la storia dell’arte, Facciamo un unico esempio, le meravigliose caverne dipinte dall’uomo primitivo, sono in realtà – è l’opinione di molti studiosi – state realizzate dalla donna primitiva, che restava nelle rustiche dimore, a mantenere e salvaguardare la vita dei propri figli e anche dei propri uomini, ai quali era demandata la caccia, la lotta con i grandi animali, dal Mammuth allo Smilodonte, la cosiddetta Tigre dai denti di sciabola, quelle stesse lotte che si trovano rappresentate, con fini apotropaici, sulle pareti delle grotte e che stanno dietro al grande lavoro di Valentina Naldini.

Andrea Mancini

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