Da una tesi di laurea di un empolese dedicata a come il Covid-19 sia stato comunicato sui media da virologi ed esperti nasce un libro, già edito e in distribuzione.
Michele Sperduto, 45enne di Monterappoli (Empoli), ha preso con profitto la strada accademica negli ultimi anni, finendo a lavorare per Apple e insegnando comunicazione all'interno di corsi per delle agenzie formative.
Nei due anni di preparazione della laurea magistrale in Strategie di Comunicazione a Padova, la pandemia ha giocato non solo un ruolo fondamentale per la vita quotidiana di Sperduto, ma anche come fonte di ispirazione per un saggio chiamato 'In virus veritas. Piccolo trattato di comunicazione in tempi di pandemia', che va ad analizzare cosa è stato compreso e cosa è stato frainteso per quanto riguarda la comunicazione scientifica della pandemia.
La comunicazione medico-scientifica ha avuto un percorso accidentato, secondo Sperduto, tra ostacoli fisiologici ed errori evitabili.
"L'ipotesi di ricerca nasce dall'osservazione dei tanti fenomeni di resistenza no vax, no green pass, no mask, che sembrano essere prova di una mancata efficacia della comunicazione. L'idea di base è che, come esseri umani, siamo predisposti all'errore quando elaboriamo un'informazione e la tendenza si rafforza in base a molte variabili. La paura condiziona molto le nostre scelte, oltre un certo livello dalla strategie di riduzione del rischio come indossare una mascherina si passa a ridurre la paura negando il Covid", spiega Sperduto in soldoni.
La scienza è sì la fonte più affidabile, ma pure quella che comunica in modo peggiore perché la popolazione non ha un'alfabetizzazione scientifica tale da comprendere i meccanismi complessi delle spiegazioni su virus, contagio, diffusione. Ecco che entrano in ballo i media, dove però la scienza difficilmente è compatibile.
"I vari Bassetti, Crisanti, Capua, Galli, hanno commesso molti errori di comunicazione, perché il loro lavoro non è comunicare la scienza, ma farla. Searebbero dovuti entrare in gioco i divulgatori, ma a parte pochissimi casi, sono solitamente chiamati a dibattere, non a divulgare, e a combattere con i tempi e i modi dei media. Serve il coraggio istituzionale e la competenza per maneggiare la comunicazione. Nei governi che si sono succeduti le comunicazioni sono state paternalistiche, prescrittive ed emotive. Nella scala degli attori della comunicazione troviamo poi in fondo anche il circo mediatico e l'influenza tra pari, ovvero i consigli tra amici e parenti, per loro natura hanno prodotto poca fiducia e troppi messaggi". Ad avvalorare la tesi un questionario compilato da 653 persone.
La conclusione del saggio vuole puntare a un cambio di paradigma nella comunicazione istituzionale: "Servono persone competenti che abbandonino il modello comunicativo attuale in tema salute, perché non funziona più. A oggi Google ci riempie di informazioni, spesso errate, il medico deve essere bravo a convincere. Dall'altra parte i cittadini devono capire che la natura della scienza è innaturale e controintuitiva, è sbagliato giudicare con l'approccio di tutti i giorni il metodo scientifico".
"Un esempio su tutti, quello di Wolpert: se chi sta leggendo questo articolo fosse totalmente all'oscuro di ogni nozione di astronomia, e si presentasse davanti a lui il dibattito tra due scienziati, uno che sostiene le tesi eliocentriche, ed uno che sostiene quelle geocentriche, cosa farebbe? Secondo Wolpert aprirebbe la finestra, osserverebbe la realtà e darebbe ragione alla teoria geocentrica. Con buona pace di Copernico. Ecco perché la comunicazione medico-scientifica è complessa: perché non ci appartiene".
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