Mauro Valiani sull'impianto rifiuti: "Comunicazione non è partecipazione"

Può sorprendere la grande partecipazione – che molti commentatori definiscono ‘storica’, per il nostro territorio – alla manifestazione di piazza di sabato 26 novembre. Ma non chi aveva seguito le diverse partecipatissime assemblee organizzate in precedenza da diversi gruppi, tra i quali quello di ‘Trasparenza’ per Empoli’, sulla questione del gassificatore alla periferia della città, in zona attualmente agricola.

Dunque, è avanzata una prospettiva, appunto la gassificazione, che in punto di partenza si presenta come interessante, alternativa all’incenerimento e alla discarica, che offre la possibilità di ricavare prodotti, anche come combustibile, da mettere sul mercato.

Bisogna riconoscere che il comune di Empoli – a differenza di qualche altro territorio dove è sta ipotizzata la realizzazione di impianti simili a questo - ha attivato delle forme di comunicazione e informazione (che di per sé non corrisponde a effettiva ‘partecipazione’), quali un primo consiglio comunale ed alcuni incontri con la presenza di tecnici e dirigenti dell’azienda dei rifiuti e degli altri grandi partner privati. Il titolo di questi incontri portava la dizione di ‘Distretto circolare’.

Nei giorni scorsi è emerso un contrasto di punti vista circa il percorso di valutazione di accettabilità dell’impianto tra la costituzione e richiesta di riconoscimento di un Comitato scientifico composto da idonee figure professionali, scelte dalla cittadinanza (secondo me una proposta ragionevole e utile) e la proposta del comune e dei proponenti di un ‘comitato di consultazione’ denominato RAB.

In ogni caso è bene precisare che, la sindaca, ultimamente, ha dichiarato che ‘non c’è nessuna autorizzazione, non c’è niente di deciso’.

Una prima nota minore: risulta fastidioso l’uso di terminologie tecnicistiche anglofone (come ‘RAB’) agli orecchi delle persone comuni. Il senso dell’uso dell’espressione ‘distretto circolare’ può dare l’impressione che possano esistere specifici territori che realizzano, come un’isola felice, un’economia circolare. Questa espressione sarebbe quindi da usare con molte virgolette. Dovremmo piuttosto parlare di ‘potenziale di circolarità’ da valutare relativamente ad ogni azione o iniziativa o programma intrapreso.

Si tratta, dunque, di una discussione in pieno sviluppo intorno alla proposta di una tecnologia che, in teoria, potrebbe dare un contributo alla soluzione di alcuni pezzi del ciclo dei rifiuti da chiudere. Di contro, in pratica, non possiamo non considerare aspetti che fanno sorgere grossi dubbi sull’opportunità – sconsigliano - di procedere a questo tipo di impianto, che gli stessi proponenti definiscono ‘sperimentale’:

- L’inserimento nel contesto specifico. Si tratterebbe di un impianto ‘troppo grande’: previsti oltre 250mila ton. di rifiuti da trattare, 14 ettari di impiantistica, una caldaia a metano di capacità esorbitanti per raggiungere i 2000 gradi necessari, un elevatissimo consumo di acqua per necessità di ciclo (per il quale si dichiara di voler utilizzare l’acqua di riciclo del vicino depuratore cittadino senza però darne certezza); troppo a ridosso di nuclei abitati; l’impianto non rientrerebbe nella normativa per gli inceneritori (ed in effetti non lo è), ma purtuttavia in quella delle aziende a rischio di incidente rilevante (la legge cosiddetta ‘Seveso 3’). Infatti per la grandissima quantità di rifiuti da trattare (derivante dalla Toscana Centro e forse non solo ...) necessitano grandi depositi dei prodotti del ciclo produttivo da stoccare (metanolo, idrogeno,… prodotti altamente infiammabili). Io penso che l’elemento ‘preoccupazione’, a questo proposito, particolarmente dei cittadini delle due o tre frazioni del comune di Empoli, sia ben comprensibile!

- La collocazione prevista non rispetta le attuali previsioni della pianificazione territoriale, ricadrebbe infatti in zona agricola, da sempre mantenuta quale zona cuscinetto tra l’attuale zona industriale e l’abitato densamente popolato. Zona soggetta per altro a rischio alluvionale.

- C’è un collegamento, nella discussione in corso, con un’altra proposta: quella del riassetto societario del gestore dei rifiuti. Nei mesi scorsi è partito il percorso di costituzione di una grande entità finanziaria industriale per la gestione di rifiuti, acqua e energia, cosiddetta ‘Multiutility’. È prevista la quotazione in borsa del nuovo soggetto, e quindi la presenza di investitori privati, con i relativi condizionamenti derivati dalla ‘naturale’ priorità del profitto. La nuova struttura societaria, governata da un CdA lontano, priverebbe i Comuni, rappresentanti dei cittadini, di qualunque potere decisionale in merito al funzionamento dei servizi e ai necessari investimenti in una fase, come l’attuale, in cui nel processo decisionale è anche necessario tenere conto delle ricadute sull’ambiente e sulla disponibilità di risorse energetiche. Basti pensare che l’obiettivo di ridurre i consumi è evidentemente in contrasto con l’obiettivo di incrementare i fatturati. Su questo punto - particolarmente sponsorizzato dai più grandi comuni, come Firenze e Prato, ma anche Empoli e Pistoia (giunta di destra) e il presidente della Regione - è in pieno svolgimento una opportuna critica politica (ci ricordiamo del referendum sull’acqua pubblica del 2011?)

Un elemento riferito come importante per la localizzazione dell’impianto è la presenza di una vetreria nei pressi, potenziale utilizzatrice di idrogeno prodotto. Ma ci sono voci contrastanti sulla disponibilità della necessaria nuova tecnologia. Un elemento da rendere esplicito.

Questa vicenda che si sta sviluppando non ha solo un significato locale. Per certi versi può costituire un esempio di ‘crisi democratica’ di cui da tempo, genericamente, ma molto, si parla. Si assiste ad una grande lontananza tra ‘persone comuni’ e livelli di rappresentanza istituzionale, senza la funzione dei cosiddetti corpi intermedi. Una forte caduta di fiducia. Da questo punto di vista grande è l’assenza o scarsa incisività dei partiti. È quindi ovvio che, di fronte all’emergere di rilevanti scelte, si costituiscano (per fortuna) diverse forme di ‘comitati’, gruppi di partecipazione, forme di conflitto, messe su, diciamo, ‘all’impronta’.

Siccome gli interessi e quote di potere sono assai difformi nella società, possiamo dire che, purtroppo in assenza di strutture organizzate (come ad es. i partiti, o i grandi sindacati, nei quali, per un certo periodo della storia del nostro paese, si ritrovavano grandi numeri di ‘competenti’ e di persone comuni, ma tutti insieme con lo stesso diritto e dignità di scambio di punti di vista, partecipazione e voto), dobbiamo pigliare atto dei concreti, reali, tipi di aggregato che oggi si danno.

Due considerazioni a lato, che ritengo comunque importanti. Tra le ‘garanzie’ che vengono dette c’è anche il fatto che, come da previsione di legge, questi impianti sono sottoposti a valutazione dei rischi (ma solo dopo la presentazione del progetto ufficiale, che ancora non c’è) da parte di enti preposti, quali l’agenzia per la prevenzione e controllo ambientale (Arpat) e i Dipartimenti di Prevenzione delle ASL (oltre, ovviamente. Alle autorizzazioni urbanistiche del Comune).

Ebbene, queste strutture di controllo sono in gravi difficoltà di personale, in una condizione di emarginazione da parte della politica, ben poco considerate anche nella più ampia discussione sulla crisi della sanità pubblica. E in ogni caso, se il progetto andasse avanti, le strutture deputate avrebbero bisogno di risorse, in relazione alla qualità dell’impianto, che non potrebbero certo essere solo locali.

Oltre a pensare ai grandi impianti e allo sviluppo di mercato, dovremmo pensare anche a coloro che stanno in fondo alla fila. Infatti, alla base delle migliori pratiche per la gestione del ciclo dei rifiuti c’è senz’altro la raccolta differenziata, particolarmente quella porta a porta. Questa è svolta da lavoratori e lavoratrici che operano troppo spesso in condizioni difficili, spesso con contratti di lavoro non dignitosi, con mansioni ripetitive e usuranti. Oltre ai sindacati, tutti dovremmo farci parte attiva per arrivare ad un miglioramento delle condizioni di lavoro (internalizzazione di coop fasulle, contratti e remunerazione adeguati, sicurezza sul lavoro, rotazione delle mansioni). Obiettivi ambientali e lavoro buono devono andare in parallelo.

Mauro Valiani, già direttore Dipartimento Prevenzione ASL 11

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