Mercoledì 18 maggio 2020, il Consiglio Generale di UNIC – Concerie Italiane (associazione aderente a Confindustria Moda), coordinato dal presidente Fabrizio Nuti, ha fatto il punto sullo stato del settore, sulle sue criticità e sulle prospettive di mercato dei prossimi mesi
Il settore conciario italiano ha chiuso il 2021 con una crescita stimata attorno al 19% in valore (per un totale di 4,2 miliardi di euro) e all’11% in volume, che ha permesso un recupero solo parziale dei livelli di produzione settoriali precedenti la pandemia. Il buon andamento registrato nel primo trimestre dell’anno in corso rischia, però, di essere fortemente compromesso dalle criticità emerse nelle ultime settimane, con frenate sugli ordinativi e prospettive molto incerte per i principali segmenti di destinazione merceologica.
A livello generale, pesano sia il conflitto russo-ucraino, con le tensioni sul mercato energetico, sia la situazione in Cina, protagonista imprescindibile nella filiera internazionale delle pelli, la cui sostanziale chiusura per motivi sanitari rappresenta un’incognita di difficile lettura e comprensione.
Oltre alle impennate dei costi del gas, dell’energia e alle difficoltà sul fronte della logistica internazionale, è forte e diffusa la preoccupazione per i notevoli aumenti dei prezzi di approvvigionamento della materia prima e, soprattutto, dei prodotti chimici.
Questo mix di rialzi sul fronte dei costi nei bilanci conciari si ripercuote indirettamente anche nelle voci di spesa per depurazione ambientale e lavorazioni contoterzi e rende praticamente impossibile il loro recupero presso i clienti.
I conciatori italiani, anche alla luce dei sempre più elevati investimenti fatti in termini di strutture, servizi al cliente e miglioramenti nei vari aspetti della sostenibilità, auspicano una sensibilizzazione su questo tema nell’ottica di una solidarietà di filiera. Si tratta di impegni importanti, essenziali per rimanere competitivi ad alti livelli sul mercato, ma che necessitano di essere valorizzati sul fronte dei prezzi di vendita alla clientela. In mancanza, è altissimo il rischio di provocare sbilanciamenti finanziari (e collassi) in un’industria che da sempre rappresenta un’eccellenza del Made in Italy a livello internazionale.
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