"Nello studio di Elisa Zadi", la cronaca di Andrea Mancini
Dice Elisa Zadi: "L’arte non può che essere sacra". Anche quando i temi sono più laici e quotidiani, il suo percorso, ma soprattutto il suo dipingere, sono ricchi di un grande attenzione all’iconografia dei pittori che per secoli hanno lavorato nelle chiese. Può rappresentare uno sguardo, un atto o un oggetto della sua giornata, come se realizzasse reliquiari o opere che ci conducono verso un di là, da noi distante. L’abbiamo ammirata, Elisa Zadi, in una bellissima mostra a Palazzo Datini - il più bell’edificio medievale di Prato - l’abbiamo rincontrata sull’Appenino, nascosta nel suo Studio, vicino e lontano dalla villa di Pratolino: ogni volta siamo rimasti affascinati dal suo fare, ci ha stupito il rapporto con una spiritualità che oggi, sempre di più, pare tornare ad aleggiare sull’arte contemporanea. Rientra dalla porta principale negli spazi della sacralità, a scaldare una fede sempre meno luminosa.
Elisa Zadi è ancora giovanissima, avendo passato da poco i quaranta, ma il suo lavoro ha già attraversato luoghi critici e spazi materiali di prima grandezza. Ci ha ad esempio colpito, nella sua biografia, la frequentazione (2008-2010), con acquisizione del prestigioso diploma, del corso di perfezionamento per l’Arte Sacra della Fondazione Stauròs di San Gabriele, a Teramo e a Foligno, connessa – almeno ci pare – con una mostra, tenuta qualche anno dopo (2014) presso il Palazzo delle Esposizioni della Fondazione Banca del Monte di Lucca, in piazza San Martino, la stessa dove si apre il Duomo, con la splendida statua di Ilaria del Carretto, capolavoro di Jacopo della Quercia.
L’importante esposizione si intitolava “Sacri Miti. Storie di uomini e santi”, ed era dedicata ad alcune figure della storia e della leggenda della città, a partire proprio da san Martino; con una serie di opere di grandissimo fascino, impostate appunto su uno stile a noi contemporaneo, ma con una iconografia classica. Ecco appunto l’immagine del santo, o meglio quella del suo mantello e di una piccola parte del cavallo. La Zadi ci mostra in realtà soltanto il povero, visto nella nudità del corpo, solo parzialmente coperto dalla stoffa, ceduta dal suo benefattore. Il trittico – perché di questo si tratta – si completa con una immagine della chiesa, una specie di grande cartolina e con un’altra del mantello che, particolare almeno curioso, ha l’etichetta - il marchio di fabbrica – che riproduce il labirinto presente, in basso a destra, sulla facciata di san Martino, quasi a rappresentare il mistero di questo drappo, o magari l’originalità del manufatto.
Al centro sta appunto il povero, con lo sguardo perso nel vuoto o forse conquistato dal gesto di Martino. Le sue mani sono – la prima - a reggere il mantello, l’altra in posizione di accoglienza, per prendere o dare carità, o forse solo amicizia nei confronti del santo. I colori sono, come quasi sempre per la Zadi, azzurri (anche gli occhi del personaggio hanno queste sfumature), oppure bruni, grigi e anche il rosso non è troppo intenso, mezzi toni; a volte anche la tela del fondo predomina, con il suo cromatismo poco evidenziato.
La Zadi lavora con tessuti grezzi, producendo addirittura i telai delle sue opere e le vernici che usa, tratte spesso da elementi naturali o da pigmenti, con loro riesce ad ottenere colori assai poco usuali. Ad esempio, un’altra installazione della stessa mostra è dedicata a santa Zita, realizzata in ben sedici pezzi, che riproducono le fattezze della pittrice – anche questa è una costante di Elisa Zadi - replicate più volte e coperte da un saio di lino, cucito e pronto magari per essere davvero indossato.
Anche qui i colori restano quelli della stoffa originale, esaltati dall’immagine dei volti e da alcuni fiori dipinti in varie posizioni, a decorare l’opera. C’è poi il Volto Santo, e santa Giulia, anche questa quasi una crocifissione canonica, con la santa a braccia aperte, sotto di lei gli strumenti di tortura, posti in bella evidenza: chiodo, martello, un teschio, un giglio, della corda. Il seno nudo è torturato da pinze di oggi, a noi contemporanee, il volto è in estasi, le foglie di palma, poste in alto, sono in posizioni tali da esaltarne la presenza, sono frutto di precise scelte decorative, da parte di chi ha composto l’opera.
Se leggiamo il lavoro che Elisa Zadi ha realizzato in questi anni, partendo da queste premesse, ecco che possiamo incredibilmente sciogliere tutti gli enigmi, illuminarne il mistero. Ogni volta queste figure sembrano rispondere ad un’immagine che, a rigore, non potremmo considerare “sacra”, ma che certo trae spunto ed “eccezionalità” dall’iconografia del passato, vero luogo di origine degli sguardi, delle posizioni, della disposizione delle piante, delle grandi falene e anche degli elementi della modernità. Certo perché qualche volta la protagonista del quadro (quasi sempre una donna, quasi sempre la stessa Zadi), tiene in mano un cellulare, o un Tablet, o altri elementi che entrano comunque, dentro lo spirito poetico dell’opera, senza disturbarla in nessun modo.
Anche quando questi corpi sono nella vegetazione di un fiume, con sullo sfondo una macchina della rena, quando sono seminudi, certo morti, forse vittime di violenza, anche stavolta il risultato è qualcosa che avviene dopo, in questi quadri noi non vediamo mai il dramma, al massimo ne subiamo la rappresentazione, siamo di fronte non al fatto in se stesso, ma ad un suo doppio, quasi qualcosa di teatrale. Si pensi alle immagini delle tante sante martirizzate presenti nelle chiese, a santa Giulia appunto, o a santa Caterina d’Alessandria: la ruota su cui fu uccisa o torturata diventa solo un elemento scenico, un gioco che a volte non riusciamo neppure a percepire, anche se è centrale nella storia narrata.
È interessante leggere quanto scriveva Enrico Crispolti per una mostra del 2008. Siamo agli inizi, Elisa Zadi da pochi anni ha scoperto la sua vocazione, la mostra è già prestigiosa, realizzata alla Fondazione Sergio Vacchi del Castello di Grotti, a Monteroni d’Arbia, in provincia di Siena. Si tratta di una mostra collettiva, fatta da cinque allievi dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, diplomati con Adriano Bimbi, uno scultore che ha saputo creare anche molti pittori.
Elisa Zadi è una di questi e Crispolti non può non definire, quella che è ancora una pittura acerba, come frutto di “una frontalità certamente ora inderogata, quasi secondo un archetipo di fissità da ancestrale icona. Le sue stesure appaiono subito molto semplici, di prima mano, un po’ materiche, ma senza possibili, non dico pentimenti, ma elaborazioni: senza insomma, direi anzi, volontà di elaborazione. Il che, mi dice, corrisponde a una idea di attenersi a una semplicità ed essenzialità di cose giuste, evidenti, che si diano subito come riscontro a una purezza di visione, senza un’implicazione di ‘elaborazioni di testa’. Figure frontali, estratte da un contesto, poste entro uno ‘spazio assenza’, vuoto in dissolvenza per lasciare visibile soltanto la figura, per annullare ogni possibilità di spazio se non entro la figura stessa. Una sorta di rivalsa dell’individuo sul contesto”.
Tutto giusto, soprattutto se si pensa che, negli anni successivi, Elisa Zadi avrebbe radicalizzato il discorso. Tra l’altro, Crispolti, professore di storia dell’arte a Siena, forse avrebbe potuto capirlo: insegnando proprio nel luogo principe di Sano di Pietro, del Sassetta, di Duccio e di Simone Martini, di tutti i pittori primitivi senesi: la figura vince sempre sul contesto, anche quando – come succede alla Pinacoteca Nazionale di Palazzo Buonsignori e Brigidi - qualcosa comincia a muoversi, ad esempio nel Sassetta, in contesti certo assai diversi, rispetto a quanto accadeva nelle Maestà di Duccio. In questi piccoli quadri infatti, compare qualcuno da una parte, lungo il fiume, è seminudo, un po’ inquietante, ma anche privo di dramma, fermato nella sua posa ieratica. Così, appunto, come quando ce lo mostra la brava Elisa Zadi. Per questo capiamo ancora meglio le parole di Crispolti e anche quello che ci piace considerare il suo turbamento critico e umano, di fronte alla bellezza di queste opere.
Notizie correlate
Tutte le notizie di Firenze
<< Indietro