Oksana Melnyk, operatrice socio sanitaria originaria di Kolomyja, è la coordinatrice dell’accoglienza ucraina in provincia di Prato
Accoglienza e aiuti, l'impegno di Oksana unisce Prato all'Ucraina: "Non ci arrenderemo, il nostro fronte è qui"
“C’è voluta la guerra di Putin per riunire la mia famiglia nel giorno del mio compleanno”. Cerca di vedere il lato positivo in una situazione drammatica, Oksana Melnyk. Lei, 50enne operatrice socio sanitaria in forza al Nuovo Ospedale di Prato, originaria di Kolomyja – città nella regione di Ivano-Frankivs'k – e da 20 anni residente nella città di Filippo Lippi, quando si è trattato di rimboccarsi le maniche e aiutare i connazionali ucraini in fuga dalla guerra non si è tirata indietro.
Sia nel privato, ospitando ben quattro persone sotto il proprio tetto; sia nel pubblico, assumendo il ruolo di coordinatrice dell’accoglienza ucraina in provincia di Prato.
“I primi giorni dell’invasione – racconta – io e le altre donne ucraine qui in città eravamo scioccate: ci siamo arrangiate come potevamo per dare supporto e riparo, ma era chiaro che avevamo bisogno di sostegno e organizzazione. Ci siamo rivolte quindi al sindaco Matteo Biffoni, il quale voleva capire quali fossero le esigenze di chi sarebbe arrivato e di chi avrebbe accolto. Io, d’altra parte, per svolgere il ruolo di coordinatrice dovevo comprendere quali fossero le procedure burocratiche da seguire, da quelle sanitarie a quelle domiciliari, senza dimenticare il possibile inserimento scolastico per i bambini. Dopo il briefing del 28 febbraio con il Comune ho capito che insieme ce l’avremmo fatta. Quello che mi ha commosso di più – continua – è stata la grande ondata di solidarietà che ho ricevuto da amici e colleghi italiani, sempre pronti a rendersi utili per aiutarmi nella raccolta di viveri, medicinali e vestiti da inviare in Ucraina”.
Oksana, dunque, è diventata un punto di riferimento per la comunità ucraina pratese, nonché dei sindaci della provincia. A lei vengono affidati i soldi destinati all’acquisto di tutto ciò che potrà aiutare la popolazione asserragliata sotto le bombe russe. Oltre all’invio di materiale ‘tradizionale’ come medicinali e generi di prima necessità, Oksana si occupa anche di reperire e spedire oggetti più specifici. “Tramite il supporto di volontari di Croce Rossa, Misericordia e altre associazioni sono riuscita a raccogliere e inviare cibo e kit di pronto soccorso in territorio polacco, materiale che poi sarà smistato in città come Kharkiv o Mariupol. Inoltre, grazie anche al prezioso supporto di Valentyna Kit, che ha trovato un collegamento da qui alla Polonia predisponendo un nodo di smistamento, siamo riuscite a creare una linea di collegamento con Kolomyja: allestititi due pullmini, abbiamo organizzato quattro viaggi con cui i volontari hanno consegnato i materiali. Con le altre donne ucraine, infatti, abbiamo provveduto alla realizzazione e all’invio di vestiario per i soldati e biancheria termica, ginocchiere e gomitiere, zaini da 80 litri, nonché giacche, stivali e gilet ‘multitasca’. Tra materiale per medicazioni e vestiti per i ragazzi che vanno in prima linea, abbiamo raccolto in totale quasi 11.500 euro.
In questo momento – ammette – sento una grande responsabilità ma sono anche determinatissima. Mia madre guida il coro della chiesa, qui mi conoscono tutti, non potevo tirarmi indietro. Le tante badanti mi hanno affidato i risparmi di una vita per far studiare i figli e comprare una casa lì in Ucraina: ora i loro figli sono in guerra e le loro case distrutte. Noi donne ucraine siamo toste – assicura –, rispettatissime da figli e mariti. Io e le mie connazionali qui a Prato siamo un’unità combattente, il nostro fronte è qui”.
E a chi invita alla resa, perché “Putin è troppo forte, non serve a nulla combattere”, Oksana risponde con orgoglio: “Non ci penso nemmeno. Né io, né le donne a Prato, né gli uomini in Ucraina. Il nostro morale è alto, siamo dalla parte giusta. I nostri ragazzi che combattono dicono che resisteranno fino all’ultimo uomo. Gli uomini che combattono nelle città assediate hanno deciso autonomamente di restare ben prima che venisse emanata la legge che ha imposto ai maschi 18-60enni di non lasciare il Paese. Anzi, non credo nemmeno fosse necessaria. Hanno messo in salvo mogli e figli e sono tornati indietro ad attendere i russi. Persino alcune donne – assicura – non hanno voluto lasciare i loro uomini e le loro città, in particolare le dottoresse e le infermiere. Se avevano figli, li hanno messi in macchina o in bus affinché venissero ospitati in città ritenute più sicure come Lutsk o Ivano-Frankivs'k, ma anche Romania e Polonia; queste ultime hanno accolto i profughi a braccia aperte perché ricordano molto bene la mentalità dell’invasore russo”.
Casa Melnyk, dunque, è diventato il quartiere generale dell’accoglienza ucraina sul territorio pratese. Casa Melnyk, però, ospita anche quattro persone in più, dal momento che Oksana ha accolto una nipote e i figli di questa (sette anni e nove mesi) da Ivano-Frankivs'k, oltre a una ragazza 22enne di Bila Cerkva, figlia di un’amica e della quale Oksana è madrina. “Ha ancora il terrore negli occhi – racconta la Oss a proposito della 22enne –, è scappata dalla sua casa durante un raid aereo, con le bombe che le piovevano attorno. Si è nascosta con la famiglia in una cantina, tuttavia aveva più paura a stare rintanata là sotto che rimanere all’aperto, temeva che sarebbero stati sepolti vivi. È riuscita, da sola, a raggiungere prima Kiev e da lì un campo profughi in Repubblica Ceca, impattando con tutte le difficoltà della situazione, in primis la lingua. Ho impiegato qualche giorno a rintracciarla: alla fine le ho spiegato come raggiungere l’Italia con un Flixbus e nella prima mattina di venerdì 11 marzo è arrivata in Italia. Il bambino di sette anni, invece, vorrebbe tornare a casa. In realtà, la maggior parte di coloro che sono fuggiti vorrebbero rimanere in Italia il meno possibile e tornare in Ucraina quanto prima. Lì ci sono mariti, figli, fratelli…”.
In Italia si sono rifugiate anche la sorella di Oksana, a Prato dalla madre, e un’altra nipote, a Certaldo. Loro sono tra “i fortunati” perché hanno trovato una casa e chi è in grado di accoglierli e provvedere economicamente alle loro necessità. Altri, invece, sono arrivati in Italia con nient’altro che quello che indossavano al momento della fuga. “Non possiamo dimenticarci di queste persone” ricorda Oksana. “Oltre a inviare materiale in Ucraina, dobbiamo destinare una parte della ‘raccolta’ – che siano soldi, cibo o indumenti – ai profughi che non hanno chi li possa ospitare o a coloro che sono disposti a ospitare ma hanno bisogno di un sostegno economico perché non ce la farebbero con le proprie forze”.
Insomma, sono giorni impegnativi per Oksana. Non sono mancati, però, momenti felici: “Pochi giorni fa è stato il mio compleanno, un momento di serenità e veramente di famiglia. Se non altro non ci sarà più confusione tra ucraini e russi, ho visto molta più consapevolezza tra gli italiani. Se volessi utilizzare una metafora per descriverci, direi che noi ucraini siamo come le api: lavoratori pacifici che non danno fastidio a nessuno, pronti però a trasformarsi in guerrieri se qualcuno minaccia il nostro alveare”.
Giovanni Gaeta
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