"Nello studio di Gabrio Ciampalini", la cronaca di Andrea Mancini a quasi 10 anni dalla scomparsa dell'artista sanminiatese
Importante, anche se oggi assai poco frequentato, ha vissuto gran parte della sua vita vicino a Ponte a Egola, dov’era nato nel 1945. Gabrio Ciampalini, a quasi dieci anni dalla prematura scomparsa, torna prepotentemente a far parlare di sé, con due importanti mostre che si apriranno nei prossimi mesi, tra San Miniato e Firenze. Gabrio – come spesso si firmava – ha vissuto a lungo, insieme alla moglie Maria Calvetti - a fianco del poeta Piero Santi, suo amico e scopritore, a partire da una prima mostra nel 1972, alla Galleria L’Indiano di piazza dell’Olio a Firenze, a pochi metri dal battistero e dal duomo. Ciampalini poté in questo modo entrare in contatto con tutto il mondo culturale che circolava intorno a Santi, che oltre a scrivere su di lui, ne favorì molto la pittura e l’attività espositiva. Dopo questa lunga parentesi fiorentina, Gabrio si ritirò nella sua casa nei pressi di Molino d’Egola, dove è morto prematuramente nel 2013.
L’atelier di Gabrio Ciampalini, purtroppo non esiste più. Si trovava nella sua casa, nella campagna toscana, tra Santa Croce sull’Arno e San Miniato, verso Molino d’Egola, ai piedi della collina, vicino ad una bella chiesetta medievale che, a quanto dicono, conserva all’interno interessanti affreschi. Ma – come altre opere che si stanno disperdendo nel territorio – non siamo mai riusciti a vederlo. Di Gabrio e del suo Studio ha per fortuna parlato un grande critico, Rolando Bellini, professore a Brera e in altre prestigiose accademie. Bellini ha scritto a introduzione del catalogo (pubblicato da Bandecchi & Vivaldi editori, nel 2009) per una tra le ultime mostre, di Gabrio, realizzata presso il Centro per l’Arte Otello Cirri di Pontedera.
Il saggio si intitola “G.C. demiurgo di un universo artistico per il nuovo millennio”, un titolo importante per un artista in realtà molto appartato. “Lo studio di lui… - scrive Bellini – questa vasta cascina nuda e cruda, interamente occupata d’opere e come immersa in una splendida-strana realtà animata da opposizioni stridenti, una terra un po’ misera, ma al contempo una nobile e vuota campagna toscana, fiancheggiata di quando in quando da lacerti di bosco caratterizzato da macchia mediterranea spontanea, questa gran fabbrica scaldata unicamente dal cuore tiepido del vasto camino, che si presenta come un’ampia, isolata e un po’ malconcia costruzione, presidiata da coppie di magnifici gatti neri, questa cascina povera dei moderni
confort, quanto di mobilia, m’ha riservato più d’una sorpresa”. È appunto questo il luogo dell’incontro con l’artista, è qui che Gabrio lavora da anni, dall’alba al tramonto, è qui che questo “artista eccentrico” crea senza soluzione di continuità, senza remore o altro.
“Egli – scrive ancora Bellini – non è solo pittore. Pittore, sì, ma anche grafico scultore e designer. Anche altro”. Tra questo saggio e gli esordi di Ciampalini ci sono quarant’anni di lavoro: il suo debutto avviene intorno ai vent’anni, dopo aver frequentato il Liceo artistico di Firenze, essersi laureato in Architettura, frequentando anche l’Accademia di Belle Arti. Dopo un paio di personali (1965) a Cagliari e a Livorno, partecipa (1967) alla realizzazione dell’Oratorio di San Rocco, in piazza Buonaparte a San Miniato. Il suo lavoro è ancora ben presente su quelle pareti e riesce tuttora a interessare i tanti visitatori. Si trova sul muro a sinistra, occupandone più di metà. A fianco ci sono le opere di Giorgio Giolli e quelle di Enzo Giani, il padre di Eugenio Giani, governatore della Regione Toscana.
Le storie sono quelle di san Bartolomeo, realizzate con ampie campiture cromatiche, ma soprattutto con folle di personaggi realizzati con forte espressionismo pittorico. Dilvo Lotti che guidò il gruppo di giovani artisti, parla di “ancestrale vitalismo di casa nostra: gli etruschi, Michelangiolo, ecc.”. Sono riferimenti importanti e forse molto impegnativi, fatto sta che Ciampalini apre da allora, una stagione di particolare impegno, realizzando negli anni 70 numerose mostre, anche di carattere internazionale, in Germania, Danimarca, Inghilterra. Questo a partire dalla Galleria
L’Indiano di Firenze che rimarrà il suo principale punto di riferimento, in particolare grazie al suo animatore: Piero Santi, uno tra i maggiori intellettuali fiorentini del 900, poeta importante, critico d’arte e poi anche primo critico cinematografico che operi almeno in Italia, questo a giudicare dalle tante citazioni nelle storie del cinema italiano. Con Santi, dicevamo, il rapporto proseguirà negli anni, con addirittura una lunga permanenza, insieme a Maria Calvetti, la moglie di Gabrio, nella particolarissima casa di Piero, un antico edificio su una strada apparentemente di campagna, a pochi metri dal Ponte Vecchio e dall’Arno, su via dell’Erta Canina, vicino al giardino di Boboli. Un luogo magico, dove l’arte di Ciampalini si poté sviluppare liberamente, su una via quasi celata che conduce al Forte Belvedere.
Nel già citato catalogo della mostra di Pontedera, c’è riportata una lettera di Gabrio a Santi. “Ricordi Piero? – scrive Ciampalini – come spesso mi raccontavi di Sandro Penna, il tuo isolato amico, l’emarginato poeta, e quante volte parlandomene hai pianto per la vita sua disgraziata e per la sua poesia da sempre dimenticata, con sufficienza ed ignoranza dallo sciocco, imperante e mediocre conformismo culturale delle lacrime di coccodrillo. Ma nonostante questo, ogni giorno io vivo e muoio sopra le righe, nell’occhio allucinato della realtà sognante. È questa la mia eredità Piero? Dimmi, è questa? Ti prego di rispondermi al più presto, e perdonami, se vuoi, per tutte le mie lettere mai scritte”.
Piero Santi in realtà era morto da dieci anni, nel 1990 (la lettera è datata 16 maggio 2000); le domande, soprattutto l’ultima, sono dunque assai retoriche, ma significative, perché raccontano quanto Santi abbia contato nella vita di Gabrio, con tutti i suoi rapporti con la poesia fiorentina e anche italiana. Ciampalini poté entrare in sintonia con Mario Luzi, Andrea Del Guercio e tanti altri intellettuali e artisti che giravano intorno a Santi, amico di Montale, Bilenchi, Rosai, Gadda, Pratolini, Landolfi, fino appunto al grande Sandro Penna.
Insomma Ciampalini esordì con inizi figurativi, interpretati da Santi con una finezza intellettuale straordinaria, che riusciva a prevederne gli sviluppi quasi informali. Infatti, tutta l’ultima parte della vita di Gabrio (dopo anche una parentesi di vuoto creativo) è dedicata a moderne ‘tele', realizzate su e con materiali insoliti: materiali da imballaggio, cartoni, fili, foglietti: quadri mobili, bandiere di un'arte onirica, di una ricerca personale che esplora materiali poveri che l'artista manipola fino a farli diventare oggetto d'arte. Una stratificazione su più livelli di colori e di componenti vari che evocano nell'osservatore esperienze visive personali, un'occasione di incontro tra la ricerca dell'artista e l'emozione della scoperta. Ricordiamo tra le peculiarità di questa personalissima arte, il nome che un critico d'arte ha voluto dare a queste tele: "i cosiddetti casomai", avvicinandole così al dramma dei campi di sterminio degli ebrei, alle vaschette dove gli internati depositavano i loro oggetti, dove "casomai" ben rappresentava la pallida speranza di rivedere i propri averi, che sovrapposti in quell'ultimo sguardo e trasfigurati nel ricordo si avvicinano così ai vari livelli materici assemblati dal pittore.
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