Legge elettorale, dove va l'Italia? Intervista a Dario Parrini (Pd)

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Dario Parrini

Il 9 gennaio 2020 è stato depositato in Commissione alla Camera un progetto di legge elettorale ribattezzato 'Germanicum'. Si tratta di un deciso passo verso un sistema proporzionale puro 'alla tedesca' con una soglia di sbarramento alta al 5%.

Un cambio di passo rispetto al passato: la Seconda Repubblica nasce con una 'vocazione' maggioritaria (il Mattarellum del 1993), una vera e propria rivolta contro i partiti che doveva fare da antidoto ad ogni 'inciucio', rimettendo nelle mani dei cittadini la scelta del personale politico e dell'indirizzo di Governo. Le performance del nuovo sistema, però, non sono state buone: la stabilità dei governi è rimasta bassa, la legittimità del sistema anche. Le successive leggi 'ibride' semi-maggioritarie non hanno garantito né la prima né la seconda.

La scelta non è solo di forma, ma anche di sostanza. Di norma il sistema proporzionale privilegia le logiche di rappresentanza rispetto alla governabilità, è l'espressione di sistemi parlamentari basati sulla centralità dei partiti, e tende ad essere il riflesso di società divise; il maggioritario, invece, si associa spesso a sistemi semi/presidenziali, ha come protagonisti due poli politici egemoni, privilegia l'efficienza dei Governi rispetto alla rappresentanza delle minoranze.

Il cambio di passo proposto dal PD si carica quindi di forti significati politico-istituzionali, a partire dalle nuove alleanze possibili. Per comprendere le ragioni dietro questa scelta dei Dem e gli scenari futuri abbiamo intervistato il senatore toscano Dario Parrini, Presidente della Commissione Affari Costituzionali, che segue da vicino la questione.


Ad un anno dal voto il 'Germanicum' è ancora la base che intendete discutere?

La proposta è ancora attuale. Il Pd la sostenne perché non era una proposta contro qualcuno, ma perché era una risposta sensata e razionale alla riduzione del numero dei parlamentari che allora si profilava all’orizzonte, e che nove mesi dopo fu confermata dal voto popolare.

Permette di conseguire obiettivi importanti: riduce la frammentazione rendendo più facile la formazione di stabili alleanze di governo; spinge le forze politiche a definire con nettezza la propria identità valoriale e programmatica all’interno di un panorama politico che è da tempo caratterizzato da un quadripartitismo asimmetrico la cui oggettiva complessità fa a pugni con sistemi maggioritari di coalizione a un turno che inevitabilmente conducono alla nascita di alleanze pre-elettorali fittizie e perciò intrinsecamente precarie. Per di più minate dall’eccessivo potere di interdizione di cui si trovano a godere i partiti di piccola o piccolissima dimensione.

Perché una soglia di sbarramento così alta? Non rischia di annullare gli effetti proporzionali? 

Una soglia legale di sbarramento del 5% nazionale o circoscrizionale è presente in molti Paesi Ue nei quali vige un sistema proporzionale: la Germania è l’esempio più noto, ma lo stesso meccanismo si applica in Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia.

In altri Paesi, ad esempio la Spagna e il Portogallo, il proporzionale contiene una salvaguardia anti-frammentazione non tramite una soglia legale nazionale ma grazie soglie naturali di circoscrizione spesso ben più alte del 5%: in Portogallo in 15 delle 20 circoscrizioni in cui è suddiviso il territorio nazionale e nelle quali si attribuisce il 37% del totale dei seggi la soglia di sbarramento naturale è del 7% o superiore.

Il partito che ha vinto le elezioni di domenica scorsa, il Ps di Antonio Costa, ha preso il 52% dei seggi col 42% dei voti. Dieci punti di disrappresentatività. Eppure è un sistema proporzionale.

Ritenete di avere una maggioranza parlamentare per approvare la legge o serviranno modifiche sostanziali?

Mi pare impossibile fare una riforma elettorale spaccando l’attuale maggioranza di governo. Ma vedo che la consapevolezza che il Rosatellum va superato e crescente, e che possa esserci tra le varie forze politiche un confronto ampio, costruttivo e produttivo.

La svolta maggioritaria del 1993 doveva garantire governabilità e maggiore rappresentatività dei partiti, ma ciò non sembra essere accaduto. Le coalizioni formatesi spesso si sono rotte, non hanno garantito governi stabili, le maggioranze sono apparse molto volubili e prive di una base sociale forte. Oggi in Parlamento c'è anche un terzo polo. Il fallimento del bipolarismo in Italia è colpa dei partiti o è la società italiana ad essere molto più complessa ed eterogenea?

Le cause di questo fallimento del maggioritario all’italiana sono variegate. Hanno pesato entrambi i fattori che lei cita: fin dall’esordio della stagione maggioritaria, nel 1994, i partiti hanno interpretato il collegio uninominale a un turno, meccanismo con il quale si assegnava ben il 75% dei seggi, non all’inglese, presentandosi ogni partito per conto proprio, ma all’italiana, formando coalizioni vaste e fragili cementate non dall’omogeneità programmatica ma dal comune interesse a conquistare il premio implicito insito nel meccanismo del collegio uninominale.

È così accaduto che la frammentazione parlamentare è rimasta più o meno la stessa della Prima Repubblica. Gli elettori, dal canto loro, hanno evidenziato una scarsa propensione a concentrare il grosso dei consensi su due partiti, come avviene normalmente nei Paesi dove il maggioritario uninominale a un turno ha avuto le sue applicazioni più studiate: gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada.

Se si considerano le ultime cinque elezioni politiche, in media gli elettori hanno assegnato ai primi due partiti il 97% dei voti negli Usa, il 71% nel Regno Unito e il 68% in Canada.

In Italia, nelle tre volte (1994, 1996 e 2001) in cui si è votato con la legge elettorale del Mattarellum, utilizzata dai partiti per competizioni di coalizione e non di partito, cosa impensabile nei Paesi anglosassoni che ho citato, i due partiti maggiori hanno raccolto in media solo il 43% dei voti.

E sarebbe sbagliato sostenere che questa anomalia dipese principalmente dall’esistenza nel sistema di una piccola quota proporzionale. Né le cose, in termini di frammentazione del consenso e della rappresentanza parlamentare, quando si è passati dal maggioritario a un turno prevalentemente uninominale del Mattarellum al maggioritario a un turno prevalentemente a voto di lista e con premio alle coalizioni, il cosiddetto Porcellum con cui si è votato nel 2006, 2008 e 2013.

Con il Rosatellum, un semimaggioritario a un turno basato anch’esso su competizione tra coalizioni e applicato nel 2018, le cose sono persino peggiorate.

La verità è che in Paesi nei quali vi è un quadro multipartitico restio alla semplificazione l’unico sistema maggioritario che può portare a equilibrio accettabile tra rappresentatività, governabilità e contenimento della frammentazione è il doppio turno.

Ma nell’Italia post-1994 un effettivo maggioritario a doppio turno a livello nazionale non è mai stato sperimentato: né nella versione “alla francese” né in quella vigente nel nostro Paese dal 1993 nei comuni sopra i 15 mila abitanti, cioè il sistema col premio di coalizione combinato all’elezione diretta del capo del governo e al meccanismo stabilizzante del simul stabunt simul cadent per il quale la sfiducia al capo del governo determina lo scioglimento dell’assemblea che lo sfiducia.

Dopo la legge elettorale Mattarellum si è approvato leggi con logiche istituzionali contradditorie, che riproponevano il proporzionale e all'opposto forti premi di maggioranza, spesso a seconda delle convenienze politiche del momento. Nella scelta del proporzionale oggi prevalgono motivazioni politiche, esigenze di efficienza istituzionale o lo 'spirito politico' sottinteso ad esso (potenziare la rappresentanza e quindi la legittimità del parlamento e dei partiti)?

A mio avviso nel contesto partitico italiano, di per sé assai variegato, il proporzionale, purché combinato con una soglia di sbarramento elevata, può contribuire, insieme ad altre misure istituzionali (riforma dei regolamenti parlamentari, attuazione dell’art. 49 della Costituzione, sfiducia costruttiva), a un potenziamento del radicamento sociale dei partiti e all’irrobustimento della loro identità programmatica.

È evidente che dopo il voto serviranno delle alleanze per governare, come sono servite in Germania dopo le ultime elezioni. Ma trovo che nel contesto italiano attuale siano altamente preferibili alleanze trasparentemente formate dopo le elezioni sulla base del consenso raccolto da ogni forza politica presentandosi in autonomia davanti al corpo elettorale con un proprio programma ben caratterizzato e propri candidati, piuttosto che alleanze di comodo costituite con spirito esclusivamente elettoralistico, solo per strappare un “premio” esplicito (sistemi a premio di maggioranza) o implicito (sistemi a collegio uninominale).

Ormai non vedo più nessun elemento virtuoso né di trasparenza nella logica del “prendi il premio e separati” che ha animato le applicazioni fin qui note del maggioritario all’italiana.

Il proporzionale si accorda a logiche prettamente parlamentari e democratiche, e può essere uno strumento adatto per rappresentare una società pluralistica come quella italiana. Esso però necessità un 'sistema dei partiti' di tipo identitario e ben strutturato salvo non compromettere fortemente la stabilità degli Esecutivi. L'elezione del Presidente della Repubblica ha invece mostrato una crisi generale dei gruppi politici. Non crede che il proporzionale imponga anche un ripensamento della forma-partito e del suo rapporto con la base sociale?

Il ripensamento della forma-partito e del rapporto tra i partiti e la società è una grande esigenza ed è necessario a prescindere dal sistema elettorale che si adotta. Non sarebbe meno pressante con un sistema maggioritario.

L'elezione del presidente della Repubblica ha dimostrato trasversalmente l'incrinatura di alcune alleanze, una legge elettorale a sistema proporzionale permetterebbe a tutte le forze di correre da sole e poi fare accordi in Parlamento: in che modo questa nuova legge potrebbe cambiare la geografia del parlamento italiano? 

Insieme alla riforma imminente dei regolamenti parlamentari contenente stringenti disposizioni anti-trasformismo un sistema proporzionale con soglia elevata porterebbe ad un Parlamento meno spezzettato, e con partiti con identità più solide e profonde.

Con il proporzionale non si rischia di rendere instabile il Governo mettendolo perennemente sotto scacco di minoranze? Come prevenire questo rischio?

Col maggioritario abbiamo avuto governi instabili e prigionieri dei veti di piccole minoranze. Basta chiedere a Prodi e a Berlusconi cosa accadde loro con Bertinotti nel 1998 e Bossi nel 1994. Non si può chiedere ai sistemi elettorali quel che da soli non possono produrre.

Per rafforzare seriamente la stabilità dei governi servono riforme costituzionali di sistema. Non basta la modifica delle regole elettorali, né in un senso né nell’altro. Questa è la dura lezione che i sostenitori entusiasti della svolta maggioritaria dei primi anni Novanta, tra i quali anch’io ho a lungo militato, hanno imparato sulla propria pelle.

 

A cura di Giovanni Mennillo

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