Ferrofettelite, il 100esimo minerale raro scoperto da un ricercatore di Firenze

ferrofettelite
Luca Bindi

Se le sue caratteristiche potranno portare a nuove applicazioni ancora è troppo presto per stabilirlo, ma la ferrofettelite è già un minerale da record. Si tratta del 100esimo individuato da Luca Bindi, ordinario di Mineralogia dell’Università di Firenze.

La ferrofettelite è un solfosale di argento, un sottotipo della già nota fettelite, da cui prende il nome. È stato scoperto in un campione di roccia estratto nella miniera di Odenwald in Germania e depositato nelle collezioni mineralogiche dell’University of Arizona Gem and Mineral Museum, da dove è stato inviato a Firenze perché venisse studiato da Bindi, lo scienziato italiano che ha individuato il numero più alto di nuovi minerali e fra i primi dieci ricercatori al mondo che hanno descritto nuove specie mineralogiche.

A certificare la scoperta è stata poi l’apposita commissione dell’International Mineralogical Association, che lo ha approvato, affinché venisse inserito nella lista ufficiale dei materiali naturali conosciuti dall’uomo.

Bindi non è nuovo ai primati. Nella sua carriera ha descritto circa il 2% dei 5.700 minerali conosciuti in natura. La maggior parte dei nuovi materiali è stata scoperta nel prezioso patrimonio delle collezioni del Sistema Museale dell’Ateneo fiorentino, vero e proprio paradiso mineralogico con i suoi circa 50mila esemplari. Al ricercatore spetta un ulteriore record: tra i 100 minerali da lui descritti ve ne sono 13 extraterrestri (quasi il 3% dei 470 scoperti), individuati in frammenti di meteorite, tra cui gli unici due quasicristalli naturali documentati in natura, la icosahedrite e la decagonite.

“Quando viene scoperto un materiale con una composizione finora sconosciuta e una nuova disposizione degli atomi nella sua struttura, allora siamo di fronte a un nuovo minerale – spiega Bindi -. La ferrofettelite è ovviamente un minerale molto raro e come sempre in questi casi verrà studiato per comprendere le sue caratteristiche e capire se la sua sintesi artificiale potrà portare a future applicazioni”.

Fonte: Università degli Studi di Firenze

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