Ogni Natale lo stesso dilemma: meglio un albero vero o finto? Risponde il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università di Firenze: l’acquisto di alberi naturali è più sostenibile rispetto agli alberi in plastica, sia dal punto di vista delle emissioni sia per i migliori effetti che si possono generare su scala locale.
Lo certifica uno studio coordinato dal prof. Giacomo Goli e condotto con alcuni colleghi del DAGRI e del DIEF (Dipartimento di Ingegneria Industriale) dell’Università degli Studi di Firenze che ha coinvolto anche alcune aziende agricole del Casentino al fine di determinare gli impatti dei metodi di coltivazione dell’albero naturale e di produzione di quello artificiale.
Albero di Natale vero o finto: la ricerca
I risultati della ricerca evidenziano come la produzione di un albero naturale comporti l’emissione di 0,522 kg di CO2e (anidride carbonica equivalente), mentre un albero artificiale con pari caratteristiche dimensionali ed estetiche ne produce 19,4 kg (CO2e). Le stime non tengono conto delle fasi di trasporto.
“Anche ipotizzando di cambiare ogni anno l’albero naturale – spiega il prof. Goli - l’albero artificiale andrebbe riutilizzato almeno 37 volte (37 anni) per poter pareggiare gli impatti con il suo omologo in natura. Se l’utilizzatore riuscisse a far sopravvivere l’albero naturale per tempi più lunghi di 1 anno, la sua incidenza sull’ambiente si ridurrebbe ancora più drasticamente”.
Per lo studio sono stati messi a confronto alberi equivalenti in termini di dimensioni (1,8 metri di altezza) ed estetica (densità della chioma) oltre al loro ciclo produttivo: naturale in contesti rurali montani - nello specifico nella zona del Casentino - e artificiale nei grandi poli industriali, soprattutto cinesi. Molti i parametri utilizzati, su tutti la Carbon Footprint (CO2), ossia il contributo dell’uno o dell’altro prodotto all’emissione netta di gas climalteranti - che hanno un ruolo sul riscaldamento globale del pianeta - dalla “culla al cancello”, e cioè dal momento del reperimento delle materie prime o del processo agricolo fino al magazzino prima della spedizione.
Un ulteriore elemento di riflessione ha riguardato l’economia dei territori montani per i quali la produzione dell’albero di Natale rappresenta un contributo importante.
“Acquistando un albero naturale non solo emettiamo molti meno gas climalteranti, ma garantiamo un reddito alle popolazioni locali e favoriamo una filiera corta, stimolando un presidio del territorio che negli ultimi decenni è sempre più carente”, sottolinea il prof. Goli. A chi avesse ancora delle remore, il Dipartimento fa sapere che l’albero naturale non è prelevato in bosco, ma viene appositamente coltivato come una qualunque coltivazione agricola in terreni a rischio abbandono
. “La produzione dell’albero di Natale rappresenta un’importante integrazione al reddito e una diversificazione delle produzioni che può fare la differenza nel garantire la sopravvivenza di aziende medio-piccole come quelle che caratterizzano i nostri territori montani”.
E sul fine vita dell’albero? Conclude Goli: “E’ inutile tentare di trapiantare l’albero in ambiente naturale perché gli abeti, e l’abete rosso in particolare, con cui tradizionalmente si produce l’albero di Natale, non sono adatti a molti dei climi italiani. Inoltre, le piante nella fase di eradicazione precedente la vendita subiscono importanti amputazioni radicali che la rendono poco idonea ad attecchire dopo essere stata ripiantata”.
Per Natale meglio un albero naturale, da far durare quanto più a lungo possibile e, quando ha terminato il suo ciclo, da smaltire come materiale organico: questo il messaggio lanciato dal team di scienziati - Prof. Giacomo Goli (DAGRI), Prof. Andrea Laschi (Università di Palermo), Dr. Lapo Azzini (DAGRI), Prof. Enrico Marchi (DAGRI), prof. Francesco Nicese (DAGRI), Prof. Massimo Delogu (DIEF), Ing. Francesco Del Pero (DIEF) – cui sta a cuore il Natale tanto quanto la salute del nostro pianeta.
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