Uffizi, acquistato il perduto San Paolo dalla chiesa dell'Ultima Cena

Un grande dipinto raffigurante San Paolo entra a far parte della collezione delle Gallerie degli Uffizi. È un’opera documentata di Pellegrino Tibaldi (1527 o 1530/1531-1596) – uno dei maggiori e più versatili artisti del Cinquecento, attivo in Italia e in Spagna – e del suo allievo milanese Giovanni Pietro Gnocchi (1553 circa – 1609). La tela che arriva agli Uffizi è dipinta dallo Gnocchi da un cartone e con la supervisione del maestro Tibaldi e mostra San Paolo a figura intera, in piedi, con alle spalle un monumentale sfondo architettonico e a fianco uno scrittoio sulla cui base è iscritta la data 1585. Il santo, dalla lunga barba e coperto da vesti rosse e verdi, è riconoscibile per il suo attributo tradizionale, la spada, appoggiata al muro. L’opera verrà prossimamente esposta al primo piano del museo, negli ambienti dedicati al Cinquecento, inserendosi nella polifonia di voci della pittura della Controriforma in Italia.

È una storia particolare, quella che ha condotto all’acquisizione del San Paolo da parte degli Uffizi. Venduto nei mesi scorsi all’asta a un privato con una inattendibile attribuzione al pittore fiammingo Pietro Candido (1548 circa – 1628), il quadro stava per lasciare l’Italia. Ma il dipinto è stato bloccato dall’Ufficio Esportazione della Soprintendenza di Genova su richiesta delle Gallerie degli Uffizi, e acquistato dalla Direzione Generale Archeologia Belle Arti Paesaggio attraverso il diritto di prelazione, per il museo fiorentino.

È merito di un giovane studioso, Agostino Allegri, allievo di Giovanni Agosti all’Università Statale di Milano, l’aver ricostruito le vicende storiche del dipinto, di cui Alessandro Bagnoli aveva individuato i caratteri tibaldeschi, identificandolo nel San Paolo attestato dalle fonti nella cappella Borromeo della chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie a Milano. Nello stesso 1585 che compare iscritto sul dipinto, infatti, gli eredi di San Carlo Borromeo, tra i quali il giovane Federico, stipulano un accordo con Giovanni Pietro Gnocchi, perché entro un anno provveda a decorare la cappella di famiglia. Oltre a dorare la cupola a lanterna, l’artista viene incaricato di eseguire per l’altare una pala raffigurante San Paolo, seguendo il disegno fornito da Pellegrino Tibaldi, che a Milano aveva goduto per vent’anni del favore incondizionato di San Carlo Borromeo e che, nel 1575, era stato incaricato di ripensare l’architettura di questo spazio. Il grande dipinto risulta posto sull’altare della cappella sicuramente già nel 1587, quando viene citato in una delle Rime a stampa dell’artista e letterato milanese Giovanni Paolo Lomazzo. Oggi non è più possibile ricostruire l’aspetto originale della cappella Borromeo, dopo i bombardamenti dell’agosto 1943 che la danneggiarono gravemente. È tuttavia attestato che il San Paolo fu rimosso dall’altare già a inizio Ottocento.

Secondo gli studi di Allegri, il San Paolo, oltre ad essere un’opera molto importante nell’ambito della pittura della Controriforma, costituisce anche un tassello cruciale per capire il ruolo del Tibaldi a Milano subito prima della sua partenza per la Spagna (1586), dove era stato chiamato dal re Filippo II per decorare l’Escurial. Durante i vent’anni di permanenza in città, Pellegrino, oberato di incarichi per la Fabbrica del Duomo e non solo (dai progetti architettonici a quelli per sculture e rilievi, ornati in stucco e vetrate, intagli lignei e pavimenti), spesso si limita alla messa a punto grafica delle invenzioni, affidate poi a terzi per l’esecuzione. Ne è un esempio il San Paolo che, all’interno della carriera di Gnocchi, costituisce un exploit proprio in virtù del modello autorevole che i documenti d’archivio rivelano.

Giovanni Agosti, professore di Storia dell’arte moderna all’Università degli Studi di Milano: “Dopo avere lavorato tanti anni agli Uffizi, mi fa davvero piacere questo incremento delle collezioni, che ribadisce il carattere “nazionale” del museo. Come sarebbe bello vedere il San Paolo accanto alla Crocifissione di Bernardino Campi e alla pala di Gerolamo Figino, entrambe milanesi ed entrambe degli Uffizi fin dalla fine del Settecento. La corretta lettura stilistica di Bagnoli e la conseguente identificazione di Agostino Allegri gettano nuova luce su un capitolo, ancora così bisognoso d’indagini, della pittura a Milano”.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “Riconoscere la qualità di un dipinto e impedire che lasci l’Italia è parte del lavoro di tutela cui è chiamato il personale dello Stato, in questo caso la Soprintendenza di Genova, le Gallerie degli Uffizi e la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio. Scoprirne così velocemente la provenienza e poter ricostruire l’intera vicenda storica di committenza e di esecuzione, è un caso fortunato e nello stesso tempo rarissimo. L’unione di forze tra le istituzioni del Ministero della Cultura e l’Università, le indagini approfondite di Agostino Allegri, attualmente dottorando alla Scuola Normale di Pisa, e i contatti tra studiosi e specialisti non solo hanno fatto rivivere un capolavoro, rivelando la corretta paternità, ma hanno riportato alla luce un intero capitolo della storia dell’arte della Controriforma a Milano”.

Fonte: Gallerie degli Uffizi - Ufficio stampa

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