Robin Food, la coop di delivery fiorentina autogestita dai rider

I magnifici sette contro lo strapotere delle multinazionali. Sembrerebbe il titolo di un film azione, un western americano o una storia ricca di samurai e duelli all’arma bianca. Invece, siamo a Firenze e questa è la realtà: i nostri protagonisti non galoppano su un nobile destriero ma pedalano in sella a una bici. La loro arma principale è una grande determinazione, grazie alla quale hanno risposto “No!” a un sistema che li trattava solo come numeri, e si sono mesi in proprio.

Rappresentano il volto pulito del food delivery service e non a caso la loro “squadra” si chiama Robin Food; un gioco di parole che lascia ben comprendere quale sarà la mission di questa nuova cooperativa di consegne: equità e solidarietà.

Simone Di Giulio, Luca Manetti, Nadim Hammami, Duccio D’Agnano, Salvatore Settimo Micciché, Alessandro Fabbri, Mahmad Bakro hanno lasciato le multinazionali per cui lavoravano come rider e hanno scelto di costruire un modello alternativo: è nata così la cooperativa di delivery fiorentina Robin Food, autogestita appunto dai 7 giovani, tutti under 35.

La piattaforma che gestirà gli ordini in arrivo si appoggia a CoopCycle – federazione internazionale di cooperative che usano lo stesso software condiviso – e sarà disponibile da settembre. Per sostenere l’avvio dell’attività, la cooperativa ha lanciato su Eppela una campagna di crowdfunding che rimarrà attiva fino al 20 agosto: la speranza raggiungere 15mila euro per sostenere le spese dell’acquisto di e-bike aziendali, biciclette cargo per la logistica, pagare la presenza in rete, oltre alle altre spese relative al progetto.

“Ora che sono in gioco provo molta soddisfazione – esulta Luca Manetti –. Ho sempre voluto lavorare in un ambiente che andasse oltre il rapporto imprenditore-sottoposto: a me non piace ricevere e dare ordini e aver creato una realtà gestita in modo democratico è fantastico. Ho cominciato a 22 anni e sono circa 5 anni che faccio questo lavoro. Avevo iniziato per pagarmi gli studi all’Università di Fisica, poi mi sono innamorato di questo lavoro perché ti muovi in bicicletta all’aria aperta. Molto meglio che stare al chiuso in un ufficio davanti al computer. Ho pedalato per varie imprese di food delivery; infatti è molto comune che i rider lavorino per più piattaforme proprio perché affidarsi a una sola non garantisce uno stipendio adeguato”.

“L’idea di una coop di rider circolava già da qualche tempo – racconta Luca –, serviva l’occasione per metterla in pratica, che grazie alla Cgil si è presentata lo scorso anno”. I ragazzi, infatti, hanno partecipato alla terza edizione di ‘Smart and Coop’, il bando promosso da Legacoop Toscana e Fondazione Cr Firenze per sostenere la nascita di nuove coop formate da giovani under 35.

“Avevamo la conoscenza del settore, ma ci mancava la formazione imprenditoriale. Con il corso di avviamento all’impresa ‘Smart and Coop’, durato dall’autunno scorso a questa primavera, abbiamo appreso le nozioni tecniche e burocratiche necessarie per aprire e gestire un’azienda. D’altronde – assicura – una volta entrato nel maccanismo ci vuole poco per accorgersi che il lavoratore-rider non è una mera pedina, ma anzi può addirittura fare a meno di un’azienda strutturata come quelle “classiche”.

Veterani del settore e attivi nelle lotte sindacali, i sette Robin Food fanno questo lavoro da quando le multinazionali del food delivery hanno preso piede – anzi ruota – a Firenze, e hanno sperimentato sulla loro pelle l’evoluzione del settore in questi ultimi anni.

“L’espansione vertiginosa – illustra Manetti – si è trasformata in vero e proprio boom in epoca Covid, un’esplosione che ha radicalmente mutato il volto della ristorazione. Una manna per le aziende, le quali hanno peraltro beneficiato del vuoto legislativo che interessa le realtà della gig economy (modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, ndr). Le piattaforme di delivery sono riuscite così a sfuggire all’inquadramento definito dai contratti nazionali di lavoro e hanno avuto la possibilità di retribuire i lavoratori con forme di pagamento di cottimo, generando insostenibili situazioni di sfruttamento. Fortunatamente, grazie anche all’interessamento di istituzioni e Cgil la situazione sembra in procinto di cambiare”.

La filosofia di Robin Food si poggia su tre pilastri. In primo luogo, la dignità del lavoratore e la democrazia sul posto di lavoro, raggiunta attraverso la forma della cooperativa. “Noi offriamo contratti da dipendenti: fisso orario, ferie, malattia, assicurazioni, nonché tutte le tutele che i contratti nazionali prevedono. Con la formula della cooperativa vogliamo che l’azienda sia gestita dai lavoratori stessi: ogni rider che entrerà nei ranghi di Robin Food diverrà socio-lavoratore e parteciperà alla gestione orizzontale della cooperativa. Un netto capovolgimento in confronto alla struttura gerarchica e spersonalizzante tipica delle piattaforme delivery, in cui il rider è l’ultima ruota del carro. Inoltre, a differenza del mondo delle aziende, costantemente in guerra fra loro, tra cooperative si può instaurare un dialogo, condivisione di informazioni e collaborazione per creare una economia solidale”.

Il 23 giugno, infatti, è stato siglato un protocollo di intesa con Nidil Cgil Firenze attraverso il quale la cooperativa si impegna ad applicare a lavoratori e soci-lavoratori la disciplina del lavoro subordinato secondo il Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al settore delivery.

Il secondo pilastro è l’offerta di una soluzione solidale ai ristoratori, che nel corso della pandemia sono stati costretti ad accettare le condizioni imposte dalle multinazionali delivery per restare a galla: “Proponiamo commissioni molto più eque sullo scontrino: rispetto al 35-40% sull’ordine che impongono le multinazionali, siamo convinti che chiedendo una cifra più bassa, intorno al 27%, possiamo comunque avere dignitosi margini di guadagno. Le commissioni così alte – prosegue il nostro “Robin” – sono legate al fatto che le piattaforme delivery sono costantemente in lotta per diventare l’unica piattaforma sul territorio, quindi non rappresentano le cifre di un mercato sostenibile. Le vittime di questa guerra tra colossi sono stati ristoratori e rider. Pensiamo che uscendo da questo paradigma di continua competizione ed espansione sia possibile creare una realtà economica sana e pagare i rider quanto dovuto”.

Il terzo pilastro, infine, è la proposta di una ciclo-logistica diversa, attenta all’ambiente e che cerchi di promuovere un’economia realmente green, in favore di una città eco friendly.

“Ci presenteremo ai ristoratori locali come alternativa equa e solidale allo strapotere delle grandi piattaforme – promette Luca – con l’obiettivo di creare una sinergia tra esercenti e rider locali capace di emanciparli dalle logiche dell’algoritmo. Il food delivery è un mercato in fortissima espansione, che genera enormi profitti; non è giusto che la comunità in cui vengono generati questi profitti non ne abbia alcun ritorno”.

Giovanni Gaeta



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