Covid, intervista allo staff dell’Unità operativa di pneumologia Aoup

 

L'Ausl Toscana Nord, per chiarire l'evoluzione del Covid 19 in questo periodo, ha predisposto un'intervista a tutto campo allo staff dell'Unità operativa di Pneumologia dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana alla quale hanno risposto il direttore Laura Carrozzi e gli specialisti Davide Chimera, Massimiliano Desideri, Francesco Pistelli e Laura Tavanti.

 

Risponde Massimiliano Desideri - Come tutti i virus anche il SARS-CoV-2 nella sua replicazione tende a dare delle varianti (cioè mutazioni del genoma del virus) e queste sono a tutt’oggi oltre 4.000. Per fortuna la maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo; qualcuna può dare al virus alcune caratteristiche come ad esempio un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità con forme più severe di malattia o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita da un individuo o per infezione naturale o per vaccinazione.

Che dire dello scenario attuale? Che buona parte del problema è dovuto alle ‘sacche’ di popolazione che non hanno voluto o potuto terminare il ciclo vaccinale ma è anche la dimostrazione di una condizione ‘sub-cronica’, il che significa che dobbiamo fare i conti con una ‘nuova normalità’, con alti e bassi anche in rapporto all’inevitabile rallentamento delle misure di contenimento.

Rispetto alle caratteristiche dei pazienti ricoverati, non so se ci si possa aspettare una minore gravità di patologia. In Pneumologia abbiamo sempre trattato pazienti con insufficienza respiratoria che richiedono anche supporto ventilatorio e tali rimangono; sicuramente la riduzione dell’età è un fattore prognostico positivo, altre condizioni (per esempio l’obesità) sono fattori negativi anche nei soggetti più giovani. Per quanto lontani dall’avere a disposizione trattamenti specifici, c’è maggiore esperienza nella gestione della malattia

2) Tornando indietro allo scorso autunno, la seconda ondata è stata peggiore della prima in termini di gravità della malattia?

Risponde Massimiliano Desideri - Considerando lo stesso numero di giorni (109) la seconda ondata di contagi da SARS-CoV-2 (settembre-dicembre 2020) ha interessato un numero di italiani 8 volte superiore rispetto alla prima (febbraio-giugno 2020). Sebbene la pandemia sia una, queste ondate appaiono come due eventi diversi nel senso che mentre la prima ha visto raggiungere il picco in poche settimane, la seconda è stata caratterizzata da un processo più lungo, che ha raggiunto più lentamente il plateau. I dati mostrano delle differenze sostanziali (tempo al massimo picco giornaliero, andamento della crescita dei contagi, massimo tasso di positività) anche se la percentuale di coloro che hanno avuto necessità di terapia intensiva è simile (10,6% vs 9,3%); la prima ondata però è stata più letale della prima: la letalità media settimanale è stata 14,9% nella prima ondata e 1,9% nella seconda (sette volte inferiore). (Fonte: AGI - Focus dell'Instant Report Covid-19 - iniziativa dell'Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell'Università Cattolica - https://www.agi.it/cronaca/news/2021-01-12/contagi-coronavirus-differenze-prima-seconda-ondata-10989684/ )

3) E’ vero che il Covid-19 lascia pesanti strascichi sull’organismo – il cosiddetto Long-Covid - e se sì, quali sono queste conseguenze?

Rispondono Laura Tavanti e Francesco Pistelli - Il termine Long Covid, o Sindrome Post COVID è ormai usato ed accettato anche dalla letteratura internazionale (gli inglesi sono stati i primi a coniarlo) per designare due forme: Covid post-acuto in cui i sintomi durano più di 3 ma meno di 12 mesi e il Covid cronico in cui i sintomi si estendono oltre le 12 settimane; come per le manifestazioni della malattia COVID-19 acuta, l’impegno è spesso multiorgano. Al di là di questa definizione abbastanza rigida, le conoscenze sulle sue caratteristiche cliniche sono in evoluzione in rapporto ai dati e alle esperienze che si stanno raccogliendo; a nostro avviso è un fenomeno dinamico che nel tempo (e grazie al tempo) subisce variazioni spesso con lento ma progressivo miglioramento

In generale, potremmo suddividere “gli strascichi” della malattia in tre gruppi:

- una quota non elevata, stimabile al 5% (?) di soggetti, per i quali si producono danni cronici forse permanenti (per esempio patologie polmonari cosiddette fibrosanti, in cui il polmone diventa rigido e ha difficoltà a mantenere una buona funzione di ossigenazione del sangue) ma talvolta - anche se più raramente – anche sequele neurologiche o cardiache.

- una quota più numerosa di soggetti, stimabile al 20% (?), che hanno sequele polmonari che evolvono favorevolmente ma che impiegano fino ad un anno per normalizzarsi

- una quota molto numerosa di soggetti (fino al 50%?) nei quali i sintomi respiratori non persistono a lungo, comportando un impegno soprattutto psicologico talvolta con ridotta capacità di normale ripresa lavorativa.

Per tutte queste condizioni non sono noti farmaci e sono in atto solo rare esperienze di ricerca scientifica.

4) Questi strascichi dipendono dall’età del soggetto ammalato, dalle patologie preesistenti e dalla gravità della malattia?

Rispondono Laura Tavanti e Francesco Pistelli - Certamente la persistenza di reliquati su base oragnica è condizionata dalla gravità della malattia acuta e dalla presenza di altre comorbidità; tuttavia, anche soggetti più giovani possono presentarli e soprattutto risentire delle consequenze psicologiche.

5) Come funziona la presa in carico (follow-up)? Quanti pazienti seguite?

Risponde Davide Chimera - Come pneumologhi, partendo dal presupposto che la porta di ingresso e l’organo bersaglio dell’infezione da SARS Cov2 sia l’apparato respiratorio, abbiamo fin da subito stimolato in Aoup l’organizzazione di una presa in carico dei pazienti dimessi per COVID-19 e abbiamo messo a punto un percorso condiviso primariamente con l’Unità operativa di Radiodiagnostica 2, la Medicina d’urgenza universitaria e la Geriatria, in collaborazione comunque con altre specialistiche che qui non elenco per timore di dimenticarne qualcuna. I pazienti sono stati attivamente contattati per telefono e inviati ad eseguire visita e approfondimento radiologico e funzionale toracico e respiratorio. In questo modo abbiamo controllato e stiamo controllando l’evoluzione della malattia fino a una anno dalla dimissione per tutti i pazienti dimessi da Aoup nel periodo marzo 2020-aprile 2021. Questo approccio molto standardizzato e completo ci ha permesso di conoscere meglio l’evoluzione della malattia nel tempo. Ad oggi - mentre stiamo completando questo “follow up attivo” (su chiamata telefonica) - abbiamo istituito, per i pazienti dimessi dopo il 31 marzo 2021 o anche per coloro che non sono stati ricoverati, (quelli della cosiddetta 3° ondata), un ambulatorio cui accedere con impegnativa del medico di medicina generale (inviata dal medico utilizzando un indirizzo email dedicato), dopo circa 6 mesi dalla dimissione (a meno che il medico di famiglia non ritenga opportuno richiedere prima una visita). In quell’occasione i pazienti eseguono visita ed ecografia toracica (in collaborazione anche con la Medicina d’urgenza universitaria) mentre i pazienti di età superiore a 80 anni vengono valutati dal geriatra.

Ad oggi stiamo seguendo con follow up attivo circa 600 pazienti, mentre coloro che accedono su richiesta del medico di famiglia all’ambulatorio con impegnativa sono circa 8 la settimana.

6) Cosa vi ha insegnato l’esperienza di quasi due anni di Covid-19?

Risponde Massimiliano Desideri - L’esperienza COVID-19 è stata sicuramente una sfida unica. Abbiamo infatti affrontato una patologia sconosciuta che ci ha obbligati a un continuo aggiornamento per modificare le strategie di intervento, al passo con le nuove evidenze scientifiche. Ciò ha sicuramente valorizzato la nostra specialità ponendoci in una rete di specialisti per la cura dell’insufficienza respiratoria acuta con soluzioni strumentali (ossigenoterapia ad alti flussi, CPAP, VMNI) ed ambientali (stanze a pressione negativa) che ci porteranno a incrementare l’attenzione da prestare anche in periodo non COVID-19 nella gestione di altre patologie diffusibili come per esempio le infezioni ospedaliere da “batteri Killer”.

Risponde Laura Carrozzi (direttore Unità operativa Pneumologia)

L’esperienza diretta del trattamento dei pazienti e seguendo le loro successive sequele ci ha insegnato che la malattia con cui abbiamo a che fare è potenzialmente grave, che il carattere di pandemia la manterrà nel tempo, che la prevenzione vaccinale ne limiterà la gravità ed in parte la diffusione, che dobbiamo essere preparati ad affrontarla e trattarla come patologia forse endemica per un periodo non ancora precisato. Mi preme sottolineare che abbiamo anche molto riflettuto sui nostri limiti e sulla necessità di rivedere alcuni aspetti della nostra pratica clinica anche rispetto alla gestione delle altre, ben più numerose, patologie ……ma questa è un’altra storia

8) Cosa vi sentite di dire al popolo dei No-vax e anche a quelli che non si professano No-Vax ma diffidano di questo vaccino?

Risponde Laura Carrozzi – Mi sento di dire che il vaccino è una delle misure più importanti per arginare l’estensione e la gravità della patologia COVID-19. Infatti, per quanto, grazie alla ricerca scientifica, le nostre armi di trattamento si siano un poco affinate - penso per esempio all’effetto precoce degli anticorpi monoclonali - siamo ancora lontani dall’aver individuato un protocollo di trattamento sicuramente efficace. La scoperta dei vaccini è stata uno dei risultati più importanti della scienza medica in generale; pensiamo a che cosa succederebbe se, insieme alla infezione da SARS COv2, dovessimo avere a che fare ancora con altre epidemie che sono state controllate grazie alla diffusione di vaccini specifici. Certo, come ogni sostanza introdotta per provocare reazioni nell’organismo umano, non si può escludere al 100% l’insorgenza di reazioni avverse anche gravi, che avvengono in una proporzione bassissima di casi. Per qualcuno può essere più pericoloso sottoporsi alla vaccinazione; ma va aggiunto che questi casi sono identificati e proprio il fatto che la maggior parte degli altri soggetti sia vaccinata renderà più sicura la salute anche di coloro che non possono farlo. -

Fonte: Ausl Toscana Centro - Ufficio stampa

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